Deboli, svantaggiati  -  Paolo Cendon  -  17/11/2022

L'uomo che voleva punire se stesso

Nasce da una famiglia agiata, in parte nobile, padrona di vari immobili; avverte ben presto in sé una forte inclinazione mistica, celeste, da Golgota -  il nostro ‘’personaggio immaginario’’.

Con una spinta profonda alla povertà, al francescanesimo, all’autodistruzione borghese, mondana.

Vorrebbe entrare in Seminario, la famiglia però glielo impedisce; e questo diniego alimenta e moltiplica subito fragilità e storture del suo carattere.

La chiave di volta personologica diventa, in lui, il LANCINANTE SENSO DI COLPA per il fatto di avere tanto al sole, di essere venuto sulla terra   con molti più soldi e risorse di quanto non hanno gli altri esseri di questo mondo.

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Vorrebbe dar via tutto quello che ha, non pensa ad altro.

Il fatto però che i beni immobili di famiglia – alla morte dei genitori – siano in comunione ‘’pro indiviso’’ con due sorelle, meno inclini di lui alla prodigalità, ostacola i suoi piani; ci riesce due sole volte, persuade allora le sorelle a donare un edificio a una governante  che era sempre rimasta in casa, nonché le convince a donare un terreno al  Comune.

Da allora però dovrà accontentarsi di potersi spogliare, svenare, denudarsi patrimonialmente, soltanto rispetto a ‘’beni mobili’’ tutti suoi.

Quando ci riesce è felice, allora, sente che il suo senso di colpa finalmente si placa, si attenua.

È un forte peccato originale, quello dell’agiatezza di sangue, di ceto, di rango. Una necessità incessante, inestinguibile, divorante, quella di allontanarsi da ogni   marchio d’infamia plutocratico, anticristiano, da ogni stigmate classista.

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Studia, si laurea, si accultura, insegna, il senso di colpa non lo abbandona però mai.

No allora ai rapporti affettivi, no al matrimonio, a fidanzamenti, no anche ad amicizie profonde, no ai figli. Solitudine, clausura, romitaggio, castità, flagellazioni, rinuncia. Diventa vegetariano, sì agli animali da cortile liberamente circolanti.

No alla biancheria intima, un lusso sbagliato, recente, da signori.

No a lavarsi, un’abitudine da ricchi.

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Accetta con gioia di accogliere in casa, gratuitamente, un gruppo di giovani sbandati stranieri, che da quel giorno iniziano a circuirlo, a tormentarlo per i soldi. È felice di aver finalmente qualcuno che quotidianamente gli porti o gli strappi via qualcosa.

Ciò lo induce a fare versamenti pecuniari, a firmare carte e riconoscimenti autolesionistici.

Una vena d’ora per la triste combriccola di profittatori.

La quale in cambio canta le sue lodi, con tutti, ripete che il nostro è un vero santo, nobilissimo, mirabile, unico, la fotocopia di Francesco di Assisi.

Finalmente qualcuno che lo castiga sul serio, pensa il nostro, che davvero sa rinfacciargli e ricacciargli in gola – fra una lode e l’altra - i suoi orrendi peccati di agiatezza originaria.

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Anche se gli animali da cortile entrano in casa e la sporcano, perfino sul letto, si tratta per lui di escrementi giustificati, meritati, benedetti.

Il Cielo è con lui anche in quei passaggi, in quelle capre.

Più la sua casa diventa una discarica totale, un mondezzaio, più il bisogno di umiliazione e di degrado si lenisce nel suo cuore, evangelicamente; più lui ha uno sfogo e un sollievo momentaneo, una tregua col Signore.

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Le stesse ripetute consulenze psichiatriche ufficiali, le quali dicono che lui soffre di un forte disturbo di personalità narcisistico, con serie componenti schizoidi, in fondo non gli dispiacciono.

Pur esse lo offendono, lo trafiggono secondo lui giustamente, meritatamente, lo mettono alla gogna, lo sbeffeggiano, cioè addormentano per un attimo i suoi sensi di colpa.

Soldi dopo soldi buttati via? Ottimo, proprio quel che voleva  - il gusto per l’espiazione e il martirio è finalmente soddisfatto, esaudito, in se stesso.

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Il conto in banca però si assottiglia progressivamente.

Arriva così l’amministrazione di sostegno.

Che fare allora? E’ spezzato in due il nostro.

L’incapacità sopraggiunta con la banca, la saracinesca gestionale che è calata, è in fondo uno scudo da cui lui si sente in qualche modo difeso, era tempo ….

Però non è più in grado così - ecco la questione - di accontentare coi quattrini la gang di sanguisughe che lo spolpava e assillava sin lì.

Conflitto interno, dilaniamento.

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Ai carabinieri e all’amministratrice di sostegno confida, ogni tanto, che non ne può più di quegli avvoltoi, di quelle mantidi casalinghe che lo mangiano vivo.

Però, così, senza più autonomia dispositiva con la banca – ecco il punto - non può più prelevare, incassare, non può regalare: non riesce quindi a ricevere la stupenda ‘’dose di autopunizione, immiserimento’’ settimanale che placava i suoi tormenti; il dolce cilicio, le spine e le ortiche sacrosante, taumaturgiche, cui si era abituato.

E quando le sanguisughe conviventi lo inducono – addirittura - a pensare se commettere veri e propri ‘’reati’’, con la banca, visto che non c’è ormai altro modo; quando lo incitano a escogitare autentiche messinscene, allo sportello, per procurarsi del soldi, astutamente, attraverso furti e falsificazioni varie: ebbene, non riesce a dire  di no.

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Ci prova in effetti un brutto giorno.

Lo smascherano però, immediatamente, la firma altrui è visibilmente contraffatta, fasullo anche il timbro, lo bloccano all’istante.

 E la vergogna per lui è subito immensa.

Per un attimo vede e comprende appieno in che abisso morale ed esistenziale è piombato.

Chiede scusa allora, supplica le autorità, piange, si cosparge il capo, racconta che è stato istigato, raggirato, costretto per il quieto vivere, non vuole andare in galera, promette che non lo farà più. 

Viene perdonato infine, indulgenza, compassione, nessuna denuncia penale per quei reati.

Però quando gli chiedono di denunciare a sua volta gli aguzzini-istigatori, si tira indietro.

 In fondo è loro riconoscente, anche per questo crimine che gli hanno fatto commettere. Quella neo-vergogna è in fondo, nella gamma, un’umiliazione e una pena che ancora gli mancava, evviva.

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Spezzato in due il nostro, ancora: allorché gli proporranno la casa di riposo, si opporrà in prima battuta.

Senza la ‘’libertà’’ di movimento al 100%, come continuare a poter foraggiare, sia pur con modalità diverse dal passato, le sanguisughe di casa male-bene-dette?

Come quietare l’antico e perenne bisogno suo - che nessuno comprende - di degrado ambientale, di magrezza, di solitudine, di indigenza, di puzza, di lacerazione, di annichilimento?

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Poi accetterà, firmerà infine l’ingresso in RSA.

Oggi continua a essere tagliato in due, dentro di sè.

Per un verso, abbasso il benessere, M  la civiltà!

Però anche Il nuovo confort, sì tutto sommato, il sostegno circostante, che bello in fondo, l’affetto, il buon cibo, le medicine giuste, la pulizia, il riscaldamento, il decoro, l’accudimento, c’è del buono in tutto ciò, il bel parco, i sorrisi delle nuove presenze, non sono poi tanto male come contorni e compagni di vita …

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Ma siccome pensa di non aver ancora espiato abbastanza, il nostro, con gli altri …..

Dato che quell’antico fantasma masochistico di famiglia lo affanna, lo riprende, lo sovrasta  e lo attanaglia ancora, ogni tanto,  e così sarà per sempre …..

Poiché oggi non c’è più nessun Giuda  o  Demonio o Scippatore che lo fustighi, lo supplichi, lo minacci, lo blandisca, gli tenda agguati, lo aduli, si strofini opportunisticamente, lo derubi,  lo imbrogli  ---  e quindi  niente più che, nel segno  della punizione  e dell’oppressione, sniffando qualche dolce altra riga autodistruttiva, ‘’PLACHI  SISTEMATICAMENTE IL SUO SENSO  ANCESTRALE DI COLPA’’, come fare?

 

Io gli auguro che il pensiero ‘’Non è colpa mia se non posso più auto impoverirmi, punirmi ancora - prima se non lo facevo ero senza scuse – oggi sono loro che, tenendomi qui,  mi hanno tagliato i ponti con quei malviventi’’,  basti a consolarlo almeno in parte.

Accanto alla presa d’atto che ormai, piuma dopo piuma, nichelino dopo nichelino, è riuscito in effetti a non essere più tanto facoltoso, neanche lui, missione compiuta.

 

 

 




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