-  Fiorentin Fabio  -  14/07/2015

LIBERAZIONE CONDIZIONALE E PROTESTA DI INNOCENZA- Trib.Sorv. Milano, ord. 26 marzo 2015, pres. Di Rosa - Fabio FIORENTIN

La decisione in rassegna del Tribunale di Sorveglianza di Milano si segnala per profili di rilevante interesse relativi all"istituto della liberazione condizionale in relazione ai criteri di riconoscimento, in capo al condannato, dell'intervenuto "ravvedimento", la cui positiva sussistenza schiude la strada alla concessione della misura. Il caso trattato dal tribunale milanese assume una particolare valenza nel quadro della elaborazione giurisprudenziale dal momento che i giudici – con uno sforzo di approfondimento davvero notevole degli elementi istruttori posti a disposizione dall"osservazione della personalità svolta all"interno dell"istituto – giungono all"accertamento del "ravvedimento" di un soggetto che pure si proclama innocente. Un percorso apparentemente impervio, ma che trova saldi appigli nella scrupolosa disamina di circostanze, comportamenti, esperienze, che compongono un quadro alla fine chiaramente intellegibile che conduce – quasi inevitabilmente – alla decisione finale favorevole all"interessata: ravvedimento come pentimento? No, ravvedimento come ri-vedere se stessi, intraprendendo una messa in discussione delle proprie azioni che porta alla modifica di sè. (f.f.)


TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MILANO

riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Sigg.:

 

Dott.ssa Giovanna Di Rosa                             Presidente est.

Dott.ssa Maria Paola Caffarena                      Magistrato di Sorveglianza di Milano

Dott. Fulvio Pedrazzini                                    Esperto

Dott.Carlo Riccardi                                          Esperto

 

ha pronunciato la seguente

 

O R D I N A N Z A

In relazione al procedimento instaurato a seguito della proposizione di istanza di liberazione condizionale ex art.176 c.p. avanzata da:

R. M. L., nata a xxx il xxxx e ristretta presso la Casa di Reclusione di Milano-Bollate in espiazione della pena dell"ergastolo inflittale con la sentenza della Corte d"Assise d"Appello di Firenze in data 16.2.1991 – n.es.378/91 della Procura Generale di Firenze.

All"esito dell"odierna udienza, il Tribunale osserva quanto segue.

In primo grado la Corte d"Assise di Lucca, con sentenza del 17.4.1990, aveva assolto la R., unitamente ai coimputati L. C. e T. I. (figlia, quest"ultima, della R. e della vittima) dall"imputazione di omicidio aggravato nei confronti di I. L., consorte della R. stessa, ritenendo che non vi fosse prova certa della loro colpevolezza.

Successivamente, la sentenza di appello oggi in esecuzione riformava la decisione del primo grado, sì che la R. veniva dichiarata colpevole, in concorso con L. C., del delitto di omicidio pluriaggravato di I. L., coniuge della R., confermando invece la sentenza di assoluzione nei confronti di T. I. ai sensi dell"art.530 comma 2 c.p.p. per insufficienza di prove.

Il delitto si era consumato con diciassette coltellate vibrate all"addome e al collo della vittima, cagionandone la morte in Forte dei Marmi in data 16.7.1989.

La R. ha iniziato la carcerazione il 27.9.1991, dopo un periodo di custodia cautelare dal 5.8.1989 al 17.4.1990, il fine- pena è ovviamente indicato in "mai".

L"istanza oggi in esame importa preliminarmente la verifica della sussistenza dei presupposti oggettivi per la concessione del beneficio.

Si specifica allora al riguardo che la R. ha espiato i 26 anni di pena prescritti per la concessione del beneficio. In particolare, trattandosi di condannata all"ergastolo, l"art.176 comma 3 c.p. dispone che occorre avere espiato 26 anni di pena. Tale requisito risulta nella specie ampiamente assolto, perché la R. è ininterrottamente detenuta dal 27.9.1991 (ad oggi ha così espiato anni 23 mesi 6 di reclusione, cui vanno aggiunti 2025 giorni di liberazione anticipata, concessi sino al 14.7.2013, secondo la cartella biografica in atti, per ulteriori anni 5 mesi 6 giorni 20, oltre al periodo di custodia espiato dal 5.8.1989 al 17.4.1990).

Circa la sussistenza del requisito di cui all"art.176 comma 4 c.p., secondo cui la concessione della liberazione condizionale è subordinata all"adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato, salvo che il condannato dimostri di essere nell"impossibilità di adempiere, si osserva quanto segue.

Sul pagamento delle spese processuali dovute per il processo, visto il numero di campione penale di cui al n.38540 e 38542 Mod.29 della Corte d"Appello di Firenze, il Magistrato di Sorveglianza di Milano, con provvedimento dell"11.7.2013 ha accolto l"istanza e conseguentemente rimesso il debito, tenuto conto della regolarità della condotta della R. e del suo tenore di vita e valutate le informazioni della Guardia di Finanza, non risultando altresì ella intestataria di beni immobili o di beni mobili registrati, vista anche la modesta entità della sua pensione e aggiungendo che la pensione del marito è stata nelle more ridotta ad euro 944,00 mensili.

Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha poi disposto rinvio del presente procedimento per accertare se tutti i restanti articoli di Campione Penale aperti presso la Corte di Appello di Firenze fossero stati pagati.

Tale condizione risulta oggi assolta positivamente, come emerge dal certificato del 29.5.2014 del relativo Ufficio Recupero Crediti, che attesta l"avvenuto pagamento di tutto il dovuto, inclusa la somma di 200.000 lire in favore della Cassa Ammende derivante dal rigetto del ricorso da ella proposto avanti la Corte di Cassazione, di cui alla sentenza della Corte Suprema n.565 del 23.9.1991.

Venendo al profilo specifico del risarcimento del danno risulta che la vittima non aveva parenti prossimi, oltre ai due figli nati dal matrimonio con la R., unici eredi del patrimonio della vittima stessa. Questi ultimi hanno però deciso da anni di non avere più rapporti con la madre, rifiutando di incontrarla e in una lettera del loro difensore, in atti, hanno tramite questi ribadito questo loro intendimento, ivi aggiungendo che, poichè la R. gode di pensione sociale ed è detenuta, ella non versa in stato di bisogno tale da non poter provvedere al proprio mantenimento.

Tale volontà dei figli risulta confermata dalle informazioni dei Carabinieri di Lucca, che in data 4.11.2013 hanno riferito che i figli T. e D., interpellati quale parte lesa, hanno dichiarato di non voler concedere il perdono alla loro madre. L"espressione usata non risolve la questione dell"aspetto che si sta esaminando: il perdono costituisce infatti un elemento non richiesto e diverso dall"adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato, nè assume rilievo giuridico sotto il profilo della previsione di cui all"art.176 c.p.

Chiaramente emerge, piuttosto, l"impossibilità concreta della R. di contattare i figli e i suoi tentativi spesi in questo senso. La circostanza è documentata anche dal contenuto della relazione di osservazione redatta dal carcere di Opera in data 8.2.2013, che ricorda che i figli della condannata hanno dichiarato pubblicamente di considerarla già morta, nonché dalla relazione di osservazione redatta dal carcere di Bollate in data 19.5.2014, la quale a sua volta attesta la brusca interruzione dei rapporti con loro, la sofferenza che ciò induce nell"istante, circostanza peraltro confermata, da ultimo, nella relazione di osservazione del carcere di Bollate, aggiornata alla data dell"11.3.2015.

In questo contesto occorre anche valutare le condizioni economiche della condannata: le informazioni della Guardia di Finanza in atti confermano un reddito annuo lordo di euro 6076 annue derivante dalla pensione, la stipula di un contratto di locazione per il domicilio, l"assenza di proprietà immobiliari e, in sostanza, il fatto che ella versi in una situazione di disagio economico. La situazione patrimoniale del coniuge, che peraltro non è gravato delle obbligazioni da reato in carico alla R., ed è titolare di reddito complessivo lordo, per l"anno d"imposta 2011, di euro 22.397,00, conferma quanto detto.

Né può pretendersi che il minimo di sopravvivenza assicurato alla R. dalle sue condizioni patrimoniali possa essere in qualche misura intaccato senza pregiudicarla nell"attualità.

Ritiene dunque il Collegio evidente e documentato il fatto che la R. si trovi nell"impossibilità morale e materiale anche di tentare di risarcire i danni da reato, né è esigibile alcunché d"altro, a fronte degli elementi di cui sopra, sì che sotto questo profilo anche tale presupposto si ritiene assolto.

In relazione al presupposto dell"art.176 comma 1 c.p. che la condannata, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, secondo l"espressione letterale imposta dalla norma, che peraltro si salda con la verifica dell"aspetto risarcitorio, si osserva quanto segue.

Durante la carcerazione, trascorsa presso la casa Circondariale di Lucca e di Perugia e la Casa di Reclusione di Milano-Opera e poi di Milano-Bollate, ove attualmente si trova, la R. ha tenuto un comportamento adeguato, tradottosi in una condotta irreprensibile con tutti gli operatori del trattamento. La stessa, nel corso della carcerazione, ha fruito progressivamente dei benefici penitenziari previsti quali i permessi premio e la semilibertà e ha costantemente ottenuto la concessione della liberazione anticipata, non riportando mai alcun rapporto disciplinare.

Nell"istanza ha altresì dedotto di aver contratto matrimonio in data 11.6.2009 con tale A. A., di avere svolto e di svolgere anche attualmente attività di volontariato gratuito, sin dalla concessione della semilibertà, avvenuta nel novembre 2007, presso la Cooperativa Sociale xxx, che impiega e aiuta persone portatrici di handicap.

Circa la sua situazione personale, si osservi poi che la condannata, con successiva memoria, ha specificato che il coniuge è affetto da varie patologie, ha sofferto di disturbi neurologici e presenta un quadro clinico complesso, precisando che la casa coniugale è oggi sita in G. e che la stessa affronta viaggi quotidiani faticosi per trascorrere i momenti di permesso accanto al marito e rientrare al carcere di Bollate, ove attualmente si trova ristretta e infine, con memoria prossima all"odierna udienza, ha documentato il proprio precario stato di salute.

Il Collegio rileva altresì che M. L. R. è stata oggetto di approfondite relazioni di osservazione da parte degli operatori penitenziari.

Si ricorda al riguardo che questo Tribunale ha richiesto un approfondimento della relazione di osservazione scientifica della personalità, a cura dell"esperto criminologo e psicologo, in merito all"approfondimento del rapporto tra reato e reo sulla motivazione a delinquere, sull"eziogenesi criminosa e sulla revisione critica del reato anche alla luce delle dichiarazioni da lei rese all"udienza del 3.7.2014, avendo la stessa in tale occasione, a domanda del sostituto Procuratore Generale presente sulle ragioni per cui ella avesse ucciso il marito, risposto le seguenti frasi: "non lo so, mi è andato via il cervello (tale frase non risulta peraltro a verbale dell"udienza)" e " non lo so, è stato un processo indiziario, non mi ritengo responsabile dell"omicidio."

Il Tribunale di Sorveglianza motivava inoltre il rinvio ad oggi richiedendo una più approfondita verifica sulla reale comprensione, da parte della R., del senso della resipiscenza richiesto per la concessione della liberazione condizionale, più che sulle preoccupazioni di natura personale ed economica connesse alla prosecuzione della detenzione in regime di semilibertà.

Si osserva allora che la relazione di osservazione aggiornata ed ultima contenente il chiesto approfondimento criminologico e psicologico e già menzionata evidenzia che la R. ha sempre ricercato il confronto con l"operatore e che i colloqui successivi alla precedente osservazione sono stati molto complessi e difficili dal punto di vista emotivo.

Ripercorrere il contesto in cui è maturato il reato è risultato così particolarmente difficile in forza dell"avanzare dell"età, dei problemi della vita e delle sue dolorose vicende.

La R. continua a dichiararsi innocente, ricordando come il contesto del rapporto coniugale fosse caratterizzato da reciproci tradimenti e indifferenza, non tali comunque da determinare in lei il desiderio che l"uomo morisse perché ella e il marito godevano comunque di spazi di libertà e autonomia e ricorda anche la fascinazione per il mondo della magia che all"epoca la avvolgeva, riconoscendo che il complesso della situazione era effettivamente criminogeno, in un ambito familiare anaffettivo e caratterizzato dalla prevalenza degli aspetti economici delle relazioni.

La sua fragilità emotiva non permette allo stato, secondo gli esperti, di indagare oltre le sue dichiarazioni circa la non rispondenza della verità processuale a quanto realmente accaduto pur avendo la donna, per la prima volta nell"occasione degli ultimi colloqui, svolto ammissioni non meglio definite rispetto al ruolo della figlia T., imputata e poi mandata assolta.

Va considerato che la relazione di osservazione esplicita come non sia possibile andare oltre perché la donna non riesce a reggere la carica emotiva del dato di realtà causato dall"abbandono dei figli nei suoi confronti.

A sua volta lo psicologo, nel rilevare che la comunicazione non verbale è coerente con la narrazione, ha precisato che la donna ha rivissuto i momenti peggiori nel processo durante la scorsa udienza, precedente quella odierna, che ha dato luogo all"ordinanza contenente la richiesta di approfondimento in corso di esame. Precisa lo psicologo che la R. ha dichiarato di essere stata indotta "a un atteggiamento controreattivo", non dandosi pace per il suo comportamento involontario e ha ricordato la sua infelicità coniugale: il matrimonio per compiacere i genitori, il mancato amore del marito, mentre "non riesce a stare sul reato e sul perché sia successo, sul perché non abbia chiesto la separazione. E" un pensiero che continua a tormentarla. Gli eventi connessi al reato hanno la connotazione di veri e propri traumi non elaborati e non elaborabili."

Dato atto dunque dello stato soggettivo della condannata, lo psicologo rileva che non risultano disturbi, dall"esame obiettivo, nel funzionamento psicologico e che la stessa, per tenere a bada i sensi di colpa e di vergogna, usa la difesa dell""evitamento".

La relazione di osservazione del Carcere aggiornata al marzo 2015 precisa anche che la donna ha raggiunto il più alto livello di elaborazione possibile, in considerazione delle sue condizioni psicofisiche, della sua età anagrafica, della risalenza nel tempo del reato e dei modelli di condotta nei quali ha vissuto all"epoca del reato stesso e successivamente e conclude in senso favorevole alla concessione del beneficio.

Si rileva che già la relazione di osservazione precedente, risalente al 19.5.2014 e conclusivamente favorevole alla concessione del beneficio, precisava che la condannata ha, nel corso della lunga carcerazione, effettuato un"inversione delle proprie priorità, sapendo mettersi in discussione e riorganizzandosi, anche se sono rimaste delle resistenze introspettive rispetto alle quali ora appare estremamente difficile lavorare, dal momento che esse rappresentano un meccanismo difensivo reso, in sostanza, per sopravvivere in quanto, come si evince dalla relazione, i meccanismi di difesa che la stessa attua le evitano di fare una valutazione completamente negativa della propria vita e giungere a vissuti intollerabili nel presente.

Muovendo dunque dal dato della negazione del reato, rileva il Collegio quanto segue.

La Corte Costituzionale, nella sua ordinanza del 9.5.2001 con cui dichiarava non fondata la questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata sull"art.176 c.p. per contrasto con gli artt.3 e 27 comma 3 Cost., ha affermato che il "sicuro ravvedimento" di cui all"art.176 c.p. consiste "non nella mera astensione da violazioni delle norme penali e di disciplina penitenziaria nel corso dell"esecuzione della pena, ma postula comportamenti positivi, sintomatici dell"abbandono, anche per il futuro, delle scelte criminali". Nel caso all"esame della Corte, l"interesse per la vittima e la solidarietà nei suoi confronti da parte del condannato costituiva, secondo la Corte, un indice soggettivo dell"intervenuto ravvedimento.

La Corte Suprema, intervenuta dal canto suo con varie decisioni in materia, ha ricostruito la nozione di ravvedimento imposto dalla norma in esame come il complesso delle condotte tenute ed esteriorizzate dal condannato nel corso dell"espiazione della pena idonee a dimostrare, anche tenuto conto del percorso trattamentale compiuto, la revisione critica delle scelte criminali compiute, consentendo così di formulare un giudizio di certezza o, quantomeno, di elevata probabilità, al limite della certezza, che si possa formulare un giudizio prognostico circa l"adeguamento del soggetto, per il futuro, all"osservanza delle leggi già violate, per cui egli fu condannato (così Cass., Sez.1, 17.7.2012, n.34946) ed escludendo che il semplice "evitare di rivangare i fatti passati" postuli il positivo comportamento invece richiesto (così Cass., Sez.1., 7.10.2010, n.43687).

I criteri di fatto da usarsi per formulare il giudizio prognostico a questo fine non sono diversi, sostanzialmente, da quelli utilizzati per la concessione degli altri benefici, come precisa la Corte richiamando la giurisprudenza precedente (Cass., Sez.1, 24.4.2007, n.10822; Cass., Sez.1., 1.2.2007, n.9887).

La giurisprudenza più recente della Corte Suprema (Cass., Sez.1, 27.6.2013, n.33302, richiamando peraltro Cass., Sez.1, 26.9.2007, n.37330), cui questo Collegio ritiene di aderire ha evidenziato che la mancata ammissione delle proprie responsabilità non costituisce, di per sé, indice sicuro del mancato ravvedimento, dovendosi leggere l"art.176 c.p. come una norma che pone un requisito di sostanziale e convinta ("sicura", recita la disposizione) adesione al trattamento rieducativo, all"accettazione dell"espiazione della pena e dei suoi positivi risultati in termini di conseguito ravvedimento. L"ammissione al beneficio richiede infatti la valutazione del grado di consapevolezza e di rieducazione del condannato e la positiva evoluzione della sua personalità dopo il reato e in vista del suo reinserimento sociale. Gli elementi oggettivi sui quali fondare il giudizio prognostico sono dunque dati da un percorso di recupero concreto che si deve tradurre in un"adesione convinta al trattamento, nell"accettazione della pena e dei suoi risultati conseguiti.

La Corte Suprema ha già ritenuto che l"imputato e il condannato hanno il diritto di non confessare il reato, e ciò al fine di evitare strumentali e non spontanee ammissioni di colpevolezza (Cass.33302/2013, cit.; Cass., Sez.1, 11.7.2014, n.45042) e ha qualificato il ravvedimento come scelta netta rispetto al passato, che determina la revisione dei propri modelli di vita in una nuova ottica, a partire dal riconoscimento dei propri errori, per aderire in concreto a modelli di vita conformi a quelli riconosciuti nella società.

Questo Collegio non ignora l"orientamento giurisprudenziale secondo cui non vi è ravvedimento senza pentimento, che a sua volta impone che si chieda perdono alle vittime del reato (Cass., Sez.1., 29.5.2009, n.26754).

Ritiene il Tribunale che l"espressione lessicale "sicuro ravvedimento" richiede che la persona condannata per il reato che chiede la liberazione condizionale debba mostrare una piena e "sicura " adesione alle logiche di legalità che lo Stato ha imposto con l"esecuzione della pena nonostante il soggetto si protesti, come nel caso di specie, innocente.

La mera adesione formale alle regole previste nei circuiti penitenziari e delle misure alternative è uno degli indicatori di questa adesione, ma va accompagnata da altri elementi di riscontro certi e verificati in senso scientifico sulla personalità e sulle condotte esterne assunte.

Ravvedersi significa, secondo il Collegio, rivedere se stessi, ridiscutersi contro le logiche devianti da cui è mosso il reato. Pentirsi è un"espressione diversa e se si ritenesse che senza confessione del reato per cui si è stati condannati non si può accedere alla liberazione condizionale, si dovrebbe attribuire all"espressione contenuta nella norma un altro significato rispetto a quello che essa ha, escludendosi peraltro i casi di pur teoricamente possibile errore giudiziario e di rimozione emotiva del fatto nonché le altre ipotesi nelle quali, per una qualsiasi ragione, il condannato non ritenga di ammettere esplicitamente il fatto-reato per cui è stato condannato.

Così ricostruito il quadro normativo nel quale ci si muove, ritiene il Collegio che la R. abbia tenuto, nel corso della lunga carcerazione e senza nemmeno una sbavatura nel suo comportamento oggettivamente rilevabile, una condotta immune da qualsivoglia censura.

La R., che nella sua prospettazione si dichiara innocente, ha pienamente accettato la condanna inflittale senza contestarla in alcun modo, non ha mai rifiutato il trattamento penitenziario, non vi si è sottratta neppure indirettamente, non ha condotto alcuna recriminazione e risulta anzi avere sfruttato tutte le opportunità propostele sino all"attuale semilibertà per svolgere volontariato senza retribuzione.

La positiva evoluzione interiore maturata dalla R. nel corso dei lunghi anni di carcerazione e il suo impegno profuso nella attività lavorativa in carcere e di volontariato è dunque un dato incontrovertibile e oggettivo.

Va osservato anche che la stessa, ammessa al regime di semilibertà da un lungo periodo (oltre sette anni) e, prima al beneficio dei permessi premio, non ha mai trasgredito alcuna regola impostale e ha anzi manifestato capacità di rispetto delle prescrizioni.

Il requisito della regolarità della condotta certamente da solo non sarebbe stato sufficiente ed infatti esso, riconosciuto attraverso la concessione della liberazione anticipata per l"intero periodo di pena espiata, seppur indicativo del positivo effetto rieducativo della pena in espiazione, non è l"elemento fondante per la formulazione di questo giudizio.

L"attività di riparazione sociale indiretta assunta sotto questo profilo dal volontariato svolto durante il periodo di fruizione della semilibertà si aggiunge però al complesso degli elementi in valutazione.. Sotto questo profilo è indicativa anche la relazione della Cooperativa presso cui la donna presta volontariato. Trattandosi anzi di cooperativa finalizzata all"inserimento di persone con disagio sociale, che la R. ha imparato a stimolare e aiutare nell"esecuzione delle loro mansioni, appare anzi ulteriormente documentata la ricerca di un modo concreto di riparazione e aiuto agli altri, oltretutto appartenenti a categorie più deboli.

Si considera sotto questo profilo che la R. ha sempre dichiarato di intendere così impegnarsi in un"attività socialmente utile che rispondesse al suo profondo bisogno di riscatto (sintesi del 19.5.2014).

Anche il rapporto coniugale, caratterizzato da difficoltà dovute alla malattia del marito e reso difficile da qualche reazione (è descritto un episodio di aggressività contro di lei nel 2013) e dall"abuso di alcool del marito, oggi interrotto, è monitorato dall"Uepe, che ha confermato la volontà della donna di mantenere il vincolo coniugale risolvendo i problemi ivi insorti. Tale rapporto è ad oggi migliorato, anche grazie al trasferimento di domicilio nel frattempo avvenuto.

Certo, trascorrere maggior tempo con un marito in un rapporto coniugale caratterizzato da difficoltà potrebbe sembrare elemento di complicazione della prospettiva futura. Essendo però confermato il miglioramento, nell"attualità, della situazione, la dichiarata tenuta del rapporto di coppia e il monitoraggio che l"Uepe ha realizzato e continuerà a realizzare nella vicenda, non pare che da questo possa evincersi un elemento sufficiente per il rigetto dell"istanza.

Ritiene anzi il Collegio che il fatto che i problemi siano stati gestiti adeguatamente e con il supporto dei servizi in questi anni, in cui comunque la R. faceva rientro a casa, porta piuttosto ad escludere di ricavarne una valutazione negativa, consistente piuttosto in una prova della nuova capacità della donna di gestire le difficoltà.

La mancata sottrazione ai colloqui con gli operatori, la narrazione, la disponibilità a ripercorrere l"accaduto, senza mai cadere in contraddizione con quanto dice, l"assenza di modalità manipolatorie, il dolore e la fragilità psicologica in relazione al rapporto con i figli caratterizzano oggi il vissuto interiore della stessa, e ciò in modo ormai costante nel tempo.

Anche alla luce di questi ulteriori elementi il Collegio, sulla base di quanto riferito dagli esperti criminologi e psicologi, rileva che le approfondite relazioni di osservazione sulla stessa condotte portano a ritenere che la R. abbia adottato una vera e propria modalità difensiva, come più sopra tracciato e secondo quanto riportato a proposito dei passaggi sulla negazione del reato per affrontare la lunga carcerazione, lontano dagli affetti, con capacità critiche e analitiche verso la ricostruzione della propria vita.

Il motivo della negazione del reato si può certo tentare di identificare in un desiderio di rimozione, di tutela personale o persino di protezione della figlia; ogni ipotesi non rileva però al fine della presente decisione per le considerazioni sopra dette e culminanti nella sua totale accettazione del nuovo percorso di convinta adesione alla vita in ripulsa a quella precedente, in cui il reato è maturato.

La presente decisione non pare giovarle più di tanto in termini utilitaristici, se non sotto il profilo di agevolazioni logistiche, perchè non cambia la sua aspettativa futura.

E" invece pacifico che la R. abbia chiuso con un passato ormai lontano. Senza allora indulgere a verifiche di tipo soggettivistico e ipotetico, ma muovendo dall"osservazione dei concreti comportamenti tenuti durante l"esecuzione della pena, da cui possa desumersi la compiuta revisione critica delle scelte criminale di vita anteatta e sulla cui base possa formularsi, in termini di certezza o di elevata probabilità, un giudizio prognostico di reinserimento nel tessuto sociale e di non recidivanza" (così Cass., 24.4.2007, n.18022, cit.), il Collegio ritiene che questi elementi siano stati offerti e documentati.

L"età avanzata della condannata, le sue condizioni psicofisiche e le patologie da cui è affetta, la sussistenza del legame familiare con il marito, la lunga tenuta della carcerazione anche in semilibertà e con i problemi negli spostamenti che questa ha comportato anche rispetto alle distanze fisiche tra i luoghi da raggiungere, l"assenza di carichi pendenti e di precedenti penali oltre al titolo in espiazione, le informazioni positive sulla condotta delle Forze dell"Ordine competenti ai controlli e le relazioni di osservazione confermano univocamente il suo sicuro ravvedimento.

Non vi è alcun elemento infine che induca a ritenere, in termini di prognosi, possibili recidive.

La sola questione problematica dei rapporti con l"attuale marito è, come sopra detto, registrata e controllata attraverso l"Uepe da tempo e si è palesata da tempo, nel corso di momenti in cui la R. godeva di spazi di libertà, senza che ne sia derivata problematica di sorta.

Nei confronti di M. L. R., la pena inflitta con le attuali modalità espiative ha esaurito il suo significato retributivo e non appare più utile se non sotto un profilo puramente afflittivo. Questa considerazione non appare ultronea, ma rientra nella valutazione specifica che questo Tribunale è anzi, nell"ambito delle proprie competenze, chiamato a compiere, se pure come considerazione aggiuntiva.

Ritiene in conclusione il Tribunale, alla luce di quanto sopra, che possano dirsi soddisfatti tutti i requisiti richiesti dalla legge per la concessione della liberazione condizionale a M. L. R.

P.Q.M.

visti gli artt. 176 c.p., 682, 678 e 666 c.p.p.,

ACCOGLIE

 

l"istanza di liberazione condizionale presentata da M. L. R.

ORDINA

 

l"immediata liberazione della stessa, se non detenuta per altra causa

DISPONE

che la stessa rimanga sottoposta per cinque anni, decorrenti dalla data di notifica della presente ordinanza, alla libertà vigilata nel rispetto delle seguenti

 

PRESCRIZIONI

omissis

Milano, 26 marzo 2015

Il Presidente

Dott.ssa Giovanna Di Rosa

 

 

 

 

 

 

 

 




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