-  Rossi Stefano  -  25/06/2014

LE SCELTE DIFFICILI SUL FINE VITA IN EUROPA - Stefano ROSSI

Tutto in un giorno, il 25 giugno 2014.

Un tribunale francese ha assolto un medico accusato di aver avvelenato, donando una dolce morte, sette malati terminali, mentre la più alta Corte transalpina ha ordinato ai medici di sospendere il trattamento per un uomo in stato vegetativo, al contempo la High Court inglese ha stabilito che il divieto penalmente sanzionato del suicidio assistito può essere incompatibile con i diritti umani. Si può ben dire che le decisioni degli ultimi giorni stiano alimentando il dibattito e la discussione in Europa sulla questione se vi sia un dovere/potere dei medici a porre fine alle sofferenze di coloro per cui il trattamento è ormai superfluo, ovvero quando vi sia accanimento terapeutico.

Tuttavia le emozioni che il tema suscita sotto vari profili sono sempre stridenti, come dimostra il "caso tragico" del francese Vincent Lambert. A poche ore dalla pronuncia del Consiglio di Stato che si è schierata con la domanda di sospensione delle cure proposta dalla moglie di Lambert, la Corte europea dei diritti dell"uomo ha chiesto la sospensione della sentenza francese su richiesta dei genitori dello stesso paziente con una rapida decisione pronunciata a tarda notte.

Ma torniamo al primo caso. La Corte d"Assise di Pau, capoluogo dei Pirenei Atlantici, ha "assolto da tutte le imputazioni" Nicolas Bonnemaison, medico di 53 anni, accusato di aver volontariamente avvelenato sette pazienti fra il marzo 2010 e il luglio 2011. Le vittime erano tutte in età avanzata e malati terminali; Bonnemaison, scoperto e denunciato da alcuni infermieri, era stato licenziato dal suo posto nel pronto soccorso dell"ospedale di Bayonne.

Il medico non ha mai negato di aver somministrato iniezioni di sostanze mortali a sette pazienti malati terminali che glielo avevano richiesto, tanto che alcuni dei familiari hanno testimoniato a suo favore.

La stessa pubblica accusa nelle argomentazioni finali ha assunto un atteggiamento benevolo nei confronti del "medico pietoso" per il quale, anzichè l"ergastolo, si era limitata a chiedere una condanna quasi simbolica a cinque anni di carcere, per di più con la condizionale. "Lei non è un assassino nè un avvelenatore nel senso comune che si attribuisce a termini del genere" - ha asserito nella requisitoria il parquet Marc Mariee - "Lei ha agito da medico, ma è da medico che ha sbagliato".

Soddisfatto della pronuncia anche Jean Leonetti, il deputato conservatore promotore a suo tempo della legge sul fine vita, che ne porta il nome, vigente dal 2005: "Nessuno ha voglia di vedere il dottor Bonnemaison in prigione", aveva dichiarato ieri Leonetti, che in udienza era stato sentito come testimone e che si era espresso a sostegno dell"accusato, al pari del resto del socialista Bernard Kouchner, ex ministro della Sanità francese. Si è ribadito anche durante il processo che l"impostazione dell"attuale normativa, pur vietando l"eutanasia in senso stretto, è nella sostanza contraria all"accanimento terapeutico. Come ha chiosato lo stesso Leonetti, adesso tuttavia ci sono "domande da porsi" e risposte non semplici da ricercare.

L'eutanasia è attualmente legale in Olanda, Belgio e Lussemburgo per i pazienti la cui sofferenza è "insopportabile".

Il suicidio assistito è illegale in Gran Bretagna, anche i casi emersi sono raramente perseguiti. Per questo la sentenza della Corte Suprema britannica è stata inaspettatamente di ampia portata. Anche se la Corte ha respinto il ricorso di due uomini gravemente disabili volto ad ottenere una deroga alla legge per permettere ai medici di porre termine alle loro sofferenze, l"orientamento maggioritario della giurisprudenza britannica ha più volte sollecitato il Parlamento a modificare la legislazione in materia per renderla conforme ad una reale garanzia dei diritti umani.

Il caso inglese e l"assoluzione di Bonnemaison e la decisione su Lambert sembrano delineare un trend volto ad ampliare le frontiere normative volte a consentire la legalizzazione dell"eutanasia e del suicidio assistito.

La questione dell"eutanasia è strettamente collegata con quella del riconoscimento da dare, sul piano etico e giuridico, al cosiddetto living will, ovvero "carta di autodeterminazione" o "testamento biologico". I due profili tuttavia corrono in parallelo, non potendo essere confusi: un conto è il rifiuto di cure, un altro è l'affermazione di un preteso diritto all'eutanasia. La questione chiaramente nasce là dove si accetti il principio generale della disponibilità da parte di ciascuno della propria vita, con tutti i problemi che ne conseguono in termini giuridici ed etici.

In questa prospettiva la proposta più frequente a livello teorico non è quindi stata quella di dare corso alla creazione di una fattispecie giuridica per l"eutanasia volontaria e attiva che ne ammettesse la non punibilità, quanto piuttosto quella di introdurre una serie di attenuanti all"interno di una regolamentazione che in prima istanza facesse rientrare comunque gli atti eutanasici sotto la fattispecie dell"omicidio. Così in molti paesi europei i codici prevedono solo la possibilità di attenuanti connesse alle motivazioni umanitarie dell"atto.

I casi che hanno segnato le cronache giudiziarie europee di queste giornate è prevedibile che ingenerino un vivace dibattito su questi temi, dibattito da non scaturiranno punti fermi fino a quando non emergeranno soluzioni condivise o procedure idonee per affrontare tutti le questioni apertesi con i mutamenti nelle condizioni del morire degli esseri umani, segnati dagli sviluppi della medicina, della biologia e delle condizioni sociali.




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film