Varie  -  Redazione P&D  -  26/04/2013

LE POPOLAZIONI DEL DIRITTO: I POVERI - Livio PEPINO

 

  La storia non lascia dubbi. Ciò che non si governa (che si rifiuta di governare) con l'inclusione non può che essere gestito con il suo opposto, cioè con l'esclusione. È l"eterna storia della povertà, che la Costituzione del 1948 voleva eliminare e che la politica di questo inizio di millennio cerca semplicemente di nascondere (anche in modo brutale). 

Nel nostro sistema legislativo i termini «poveri» e «povertà» hanno avuto, a partire dalla metà del secolo scorso, scarsa cittadinanza. Qualche volta per pudore (è il caso della Costituzione, in cui non si parla mai di poveri pur facendosi ripetutamente riferimento alle loro condizioni di vita).Più spesso per rimozione o per cattiva coscienza (come nella tradizione del le leggi di ordine pubblico in cui, a partire dall"Ottocento, i poveri compaiono per lo più con definizioni colpevolizzanti come quella di «oziosi e vagabondi»).

In ogni caso, alla presenza (e anche al protagonismo sociale) dei poveri raramente si è accompagnata, nella storia del diritto, una costruzione della povertà come categoria giuridica, destinataria, in quanto tale, di una specifica disciplina. E ciò benché la stessa – intesa come condizione di marginalità determinata dalla mancanza o scarsità di beni economici – abbia sempre fortemente segnato sia il diritto privato (tradizionalmente costruito come statuto dei proprietari e a contrario dei non proprietari) che quello pubblico (se è vero – come è vero – che fino a un secolo fa era legato al censo lo stesso diritto di voto, concesso a una esigua minoranza di cittadini, pari nel nostro Paese, all"inizio dello Stato unitario, al due per cento dei maschi).

Ci fu, nella storia, un tempo in cui la povertà divenne fonte di diritti, tanto da far assurgere il patrimonio della Chiesa a «proprietà dei poveri», destinata a chi non era in grado di mantenersi con il proprio lavoro e non alienabile neppure da parte dei vescovi (con conseguente configurazione del suo uso improprio come grave illecito sanzionato con la scomunica).Ma fu eccezione: quando il diritto si è occupato dei poveri lo ha fatto, per lo più, in chiave di difesa della società. Presto, ancora in età medioevale, i poveri smarrirono il riferimento a Dio per acquisire il ruolo di peccatori, di parassiti, di esseri antisociali simili al demonio e meritevoli, per questo, di punizione.

Ciò diede la stura a una serie di interventi repressivi o di espulsione sempre più penetranti. Così nel Cinquecento dilagarono bandi, leggi e ordinanze dirette a colpire mendicanti e vagabondi che aprirono la strada al secolo della "grande reclusione", come venne definito il Seicento. A salvarsi furono solo, in parte, orfani e vedove: i poveri buoni, contrapposti ai poveri cattivi o fraudolenti, secondo una singolare classificazione giunta fino ai giorni nostri (quasi che i vagabondi e i mendicanti si dedicassero alle corrispondenti attività per un sottile e masochistico piacere personale…)

E fu un fiorire di case di correzione, di ospedali, di depositi di mendicità, di prigioni e via di seguito, in un mix – talora convergente, talaltra alternativo – di contenimento (anche in chiave assistenziale) e di rieducazione (al lavoro). Inutile dire che l"altra faccia dell"internamento era la punizione per chi trasgrediva le regole ad esso connesse. In Francia, ancora alle soglie della rivoluzione borghese, l"essere sorpresi a mendicare era fonte sanzioni assai gravi: dapprima l'internamento per almeno due mesi nell"ospedale generale; poi, la seconda volta, una reclusione crescente e la marchiatura con la lettera M (iniziale di mendiant); infine, in caso di ulteriore recidiva, anni di lavoro forzato sulle galere per gli uomini e di segregazione nell'ospedale generale per le donne (in entrambi i casi aumentabili a beneplacito dei tribunali).

La rivoluzione del 1789 introdusse alcuni elementi di discontinuità, muovendosi nella dimensione della centralità del lavoro come mezzo di riscatto dalla povertà e di elevazione sociale: ma presto fu chiaro – ed è la storia dell"Ottocento e del primo Novecento – che il lavoro negli stabilimenti della nascente società industriale era spesso sfruttamento associato al permanere della povertà.[…]




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