-  Battaglia Roberto  -  22/02/2013

LE «AZIONI DI MASSA» NEL FALLIMENTO: UNINTRODUZIONE – Roberto BATTAGLIA

(In memoria del Prof. Lino Guglielmucci).

Nel diritto fallimentare il termine «azioni di massa» indica l"insieme delle azioni che (secondo la giurisprudenza) sono dirette ad ottenere la ricostituzione del patrimonio del debitore fallito, operando dunque, una volta aperto il concorso, nell"interesse di tutti i creditori. Si può affermare, nell"ambito di un quadro normativo frammentario, che il presupposto delle azioni in oggetto può essere rinvenuto, in prima approssimazione, nella lesione della garanzia patrimoniale; l"effetto di reintegrazione della medesima si riversa a vantaggio di tutti i creditori indistintamente.

La Suprema Corte, nell"affermare la sussistenza della legittimazione del creditore concorrente ad intervenire adesivamente nel giudizio instaurato dal curatore per far valere l"azione revocatoria fallimentare, si è espressa nel senso che "il divieto di azioni esecutive previsto dall"art. 51 l. fall., secondo il pacifico orientamento di dottrina e giurisprudenza, comporta per i creditori anche il divieto di esercitare le azioni di cognizione che sono, nel diritto comune, nella titolarità dei creditori e che tendono alla ricostituzione del patrimonio del debitore, per esercitarvi la garanzia di cui all"art. 2740 c.c.. Infatti, poiché tali azioni sono strumentali ad una successiva esecuzione, il divieto di azioni esecutive individuali non può non estendersi ad esse: sotto questo aspetto, come ha rilevato la dottrina, «l"art. 51 è uno dei più chiari esempi di volontà legislativa che plus voluit, quam dixit». Pertanto, dopo la dichiarazione di fallimento, i creditori perdono la legittimazione all"esercizio di tali azioni, che possono essere esercitate solo dal curatore in nome della massa" (cfr. Cass. civ., 20 dicembre 2002, n. 18147, in Foro it., 2003, I, 770, con nota di M. Fabiani).

Nell"ambito della procedura fallimentare, la cristallizzazione del patrimonio assoggettato al concorso avviene, da un lato, attraverso lo spossessamento del debitore (che è escluso dall"amministrazione del suo patrimonio), dall"altro, attraverso la previsione (all"art. 51 l. fall.) del divieto di azioni esecutive o cautelari da parte dei creditori uti singuli, che assicura il soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par condicio.

Se è vero che il curatore può trovarsi a svolgere un ruolo non soltanto di destinatario di una pretesa creditoria (ex artt. 52 e 93 l. fall.), ma anche una funzione di garanzia del diritto del creditore, in relazione alla conservazione del patrimonio del debitore, non è facile individuare un principio generale che disciplini l"attribuzione al curatore di una legittimazione «sostitutiva».

Vi sono ipotesi di azioni in cui il curatore è parte attrice, che non possono ascriversi, a rigore, nel novero delle azioni che derivano dal fallimento ai sensi dell"art. 24 l. fall., e la cui legittimazione non potrebbe essere attribuita alla curatela alla luce del mero fatto di essere sorta dopo l"apertura del concorso (con la dichiarazione di fallimento) oppure di «aver mutato pelle» dopo il fallimento. La norma di cui all"art. 43 l. fall. stabilisce espressamente il subentro del curatore nelle azioni di carattere patrimoniale del soggetto fallito; con riferimento a rapporti compresi nel fallimento non è reperibile, invece, una disciplina di carattere generale che attribuisca al curatore il potere di sostituzione dei creditori concorsuali nel loro interesse.

E" stato osservato come nell"ipotesi di cui agli artt. 64 ss. l. fall. non si possa propriamente parlare di sostituzione, in quanto nell"ipotesi di azione revocatoria fallimentare («azione di massa» nell"accezione predetta, ma che non preesiste al fallimento) il potere processuale della curatela trova la sua origine con la sentenza dichiarativa di fallimento, senza essere in qualche modo «derivato» da quello dei creditori. Nel caso della revocatoria ordinaria nel fallimento ex art. 66 l. fall., invece, si tratta di uno strumento che prima del fallimento sarebbe senz"altro spettato al singolo, ma che per effetto dell"apertura della procedura concorsuale viene attribuito alla curatela, nell"interesse di tutti i concorrenti.

Secondo un orientamento, la legittimazione della curatela sarebbe da riconoscere solamente con riferimento alle azioni che il legislatore ha espressamente previsto (e cioè artt. 66, 146, 200, 206, 211, 240 l. fall.), affermando dunque il «numerus clausus».

Secondo una diversa interpretazione, sarebbe rinvenibile un principio generale, ricavabile dalle disposizioni relative all"esercizio di determinate azioni, che comporterebbe necessariamente la sostituzione della curatela ai creditori singoli nell"ambito delle azioni finalizzate al realizzo della garanzia patrimoniale nell"interesse della massa dei creditori indistintamente considerati: secondo la cennata impostazione, il divieto contenuto nell"art. 51 l. fall. non sarebbe limitato alle azioni esecutive, ma sarebbe estensibile alle azioni di cognizione che abbiano un carattere strumentale rispetto all"espropriazione, in virtù della finalità di realizzo della garanzia patrimoniale (nell"interesse della massa).

Sotto un profilo processuale, è stato osservato come il curatore non possa rappresentare in alcun modo gli interessi dei creditori singolarmente presi attraverso lo strumento della sostituzione processuale di cui all"art. 81 c.p.c., non potendo egli tutelare interessi diversi da quelli della massa, anche perché l"art. 81 postula che colui che agisce faccia valere una ragione altrui specificando per conto di chi egli agisce, e trova applicazione soltanto nelle ipotesi previste dalla legge.

Se la regola della tassatività trovasse sic et simpliciter applicazione, la conseguenza sarebbe quella del restringere l"ambito della sostituzione de qua alle sole ipotesi di cui agli artt. 43, 66, 67 e 146 l. fall., come, del resto, pare essere l"orientamento prevalente (salvo qualche … spiraglio) della Suprema Corte (Cass., 28 novembre 2002, n. 16878, in Fall., 2003, 1150, nonché in Giust. civ., 2003, I, 1016.)

Vi è una interconnessione fra il concetto di «azioni che derivano dal fallimento» (fra cui la revocatoria fallimentare; cfr. Cass., 8 agosto 2007, n. 17388, in Giust. civ. Mass.), cui fa riferimento il criterio di collegamento di cui all"art. 24 l. fall., e la categoria delle azioni che vengono attribuite al curatore in quanto quest"ultimo, in conseguenza dell"apertura della procedura fallimentare, viene a sostituirsi ai creditori, facendo valere i diritti della massa. Dal generico dato letterale di cui all"art. 24 l. fall. si può ricavare che l"insieme delle azioni che «derivano» dal fallimento, lungi dal coincidere con tutte le azioni in cui il Curatore sia parte, racchiuda quella i cui presupposti sorgono a seguito del fallimento: ricomprendendo le azioni che non esistono prima del fallimento e, dall"altro, quelle che in qualche modo subiscono una qualche modificazione in conseguenza della dichiarazione di fallimento.

Per «azioni che derivano dal fallimento» si devono intendere, dunque, solo quelle i cui presupposti sorgono a seguito della sentenza dichiarativa, comprendendo, da un lato, quelle che per legge spettano al curatore (e che prima del fallimento non sarebbero spettate a terzi), come ad es. le azioni revocatorie fallimentari; dall"altro comprendono le azioni che, in conseguenza del fallimento, subiscono una «deviazione dallo schema tipico», perché riguardano questioni di diritto che vanno decise in base a norme o a principi propri del concorso, come ad es. le azioni in cui si controverta del diritto del curatore di sciogliersi dal contratto pendente.

La non corrispondenza tra l"insieme delle azioni di cui all"art. 24 l. fall. e le azioni della massa è confermata dalla giurisprudenza che considera come appartenenti alla seconda categoria anche l"azione surrogatoria e l"azione di simulazione pur non potendosi, a rigore, far rientrare queste ultime nel novero delle azioni di cui la citato art. 24 l. fall..

Che esistano «azioni di massa», nell"accezione indicata supra, ma che non derivano dal fallimento, è dimostrato dall"azione surrogatoria e dall"azione di simulazione, che sono considerate «azioni di massa», ma non sono «azioni che derivano dal fallimento». L"azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali, dopo il fallimento, spetta solo al curatore, ai sensi dell"art. 146 l. fall. (con legittimazione ad esperire sia l"azione della società che quella dei creditori sociali). Essa, che è considerata «azione di massa», non rientra nel novero delle azioni che derivano dal fallimento ex art. 24 l. fall. (con conseguente non soggezione alla competenza funzionale del Tribunale fallimentare), per il fatto che coincide con l"azione che preesisteva al fallimento. Poiché, da un lato, le «azioni che derivano dal fallimento» ex art. 24 l. fall. sono: a) quelle che non esistono fuori dal fallimento, oppure b) quelle che, in virtù del fallimento, fuoriescono dallo schema che è loro tipico e, dall"altro, vi sono vari esempi di strumenti che vengono ascritti al concetto di «azione di massa», senza però «derivare» dal fallimento nel senso precisato sopra, l'art. 24 l. fall. non pare decisivo per tentare di ricomprendere tutte le «azioni di massa» a tutela degli interessi di tutti i creditori in sede di procedura concorsuale.

In virtù delle modifiche apportate dal D. Lgs. 5/2006 e dal successivo D. Lgs. 169/2007, la nuova dizione dell"art. 124 contiene l"esplicito riferimento alla cessione delle «azioni di pertinenza della massa»: dunque, tutte le azioni (non solo le revocatorie), purché già autorizzate dal Giudice delegato, onde evitare una moltiplicazione speculativa di azioni, come in effetti verosimilmente accadrebbe qualora l'iniziativa fosse lasciata all'arbitrio del cessionario. Si tratti della prima esplicitazione della categoria da parte del legislatore. In particolare, viene previsto che la facoltà di cessione possa essere esercitata solamente nell"ipotesi in cui la proposta (di concordato fallimentare) sia stata presentata da un creditore o da un terzo.

La ratio della (non espressa) esclusione della possibilità di cessione a beneficio del fallito (o dei suoi fideiussori) sarebbe, appunto, rinvenibile nell"impossibilità per il fallito medesimo di trarre vantaggio dall"esito delle azioni della massa (avendo esse normalmente ad oggetto gli atti posti in essere dal fallito): tale è l"opinione ermeneutica adottata dai Giudici delle leggi con riferimento all"azione revocatoria nell"ambito dell"amministrazione straordinaria.

L"ambito di applicazione della cessione ex art. 124 l. fall. viene così ad essere determinato dal considerarsi o meno un certo strumento come incluso nell"insieme delle azioni che abbiano le caratteristiche della azioni di massa e/o la cui legittimazione sia attribuita (espressamente o – secondo la tesi più elastica – sulla base di un principio generale ricavabile dal sistema) al curatore alla luce della ratio citata.

Ai fini di una delimitazione della categoria in oggetto, risulta indispensabile un"indagine sull"applicazione giurisprudenziale nei casi concreti, alla ricerca di un denominatore comune che fornisca un fondamento positivo della nozione delle «azioni di massa».

 

Bibliografia essenziale

R. Battaglia, Le azioni di massa. Tra garanzia patrimoniale e concorso in atmosfera protetta, Torino, 2012.

F. De Santis, La cessione delle azioni di massa, in Fall., 2008, 1121.

M. Fabiani, sub art. 24, in Comm. Jorio Fabiani, Bologna, 2006, 429).

L. Guglielmucci, L"azione revocatoria ordinaria nel fallimento, in Fall., 1991, 891.

I. Pagni, Le azioni della massa e la sostituzione del curatore ai creditori, in Fall., 2007, 1037.

M. Spiotta, Il Curatore fallimentare, Bologna, 2006.

M. Spiotta, Limiti alla legittimazione processuale attiva del curatore fallimentare: profili applicativi, in Dir. fall., 2003, I, 453.

G. Trisorio Liuzzi, Cessione delle azioni di massa nel fallimento, in Fall., 2009, 774.




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