Pubblica amministrazione  -  Alceste Santuari  -  11/05/2022

Le Aziende sanitarie locali e i rapporti con gli enti non profit: convenzioni o appalti? Anac, fasc. 887/2022

Le Aziende sanitarie devono esperire gare d’appalto se intendono acquistare beni e servizi sul mercato

Gli strumenti che, tradizionalmente, sono invalsi nella prassi amministrativa per disciplinare i rapporti giuridici tra enti pubblici, ivi incluse le aziende sanitarie, sono identificabili nelle “convenzioni”. In passato, si è dibattuto molto circa il significato esatto da attribuire a tali forme di accordo diverse dai contratti a prestazioni corrispettive. Da un lato, se ne è esaltata la capacità di contemplare tutte le diverse situazioni in cui un ente non lucrativo intendesse realizzare un’attività o un servizio in forma gratuita, ossia senza la presenza di un sinallagma. Dall’altro, la convenzione è stata considerata quale efficace strumento per comprendere gli obblighi in capo agli enti non profit proprio in assenza di uno schema contrattuale tradizionale.

In epoca recente, l’art. 56 del Codice del Terzo settore ha provveduto a regolamentare le convenzioni tra enti pubblici ed enti del terzo settore, nella direzione di confermare l’assenza di qualsiasi corrispettivo e la necessità di prevedere contenuti stringenti e verificabili. Così come anche più volte ribadito dai giudici amministrativi, affinché le convenzioni possano considerarsi legittime e, pertanto, non in violazione del principio di concorrenza di derivazione eurounitaria, esse devono riguardare servizi, attività, progetti e interventi che non siano riconducibili a dinamiche di mercato.

La giurisprudenza, amministrativa ed europea, ha altresì confermato che gli enti non profit possono invero essere qualificati alla stregua di operatori economici, nozione che non li esclude dalla possibilità di partecipare a procedure ad evidenza pubblica di natura competitiva.

Si potrebbe dunque evincere che quando un ente non profit svolge un’attività suscettibili di apprezzamento e valorizzazione economica in un dato mercato di riferimento, la sua qualificazione giuridica non ne giustifica un trattamento diverso da quello che il Codice dei contratti pubblici prevede in capo a qualsiasi altro operatore economico.

Anac (fascicolo n. 887/2022) ha ribadito che quando un’azienda sanitaria intende acquistare sul mercato taluni servizi ovvero prestazioni deve farlo ricorrendo agli strumenti contrattuali previsti dall’ordinamento. Nello specifico, l’Autorità anticorruzione ha richiamato l’art. 1655 del Codice civile, secondo cui l’appalto è il contratto attraverso il quale una parte si assume, con l’organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o un servizio verso il riconoscimento di un corrispettivo in denaro. Da ciò discende che l’appalto di servizi consiste in un facere, quindi nella prestazione di un'attività che si realizza nell'obbligo in capo all'appaltatore di fornire un servizio a fronte di un corrispettivo predeterminato in accordo con il committente. La prestazione principale consiste dunque nell’esecuzione del servizio, attività finalizzata all’utilità del committente.

Muovendo da questa impostazione contrattualistica e, pertanto, onerosa, l’Anac ha richiamato la previsione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. ii) del Codice dei contratti pubblici, in forza del quale un appalto pubblico è definito come un contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi. Poiché l’azienda sanitaria è una stazione appaltante e tra gli operatori economici, come sopra richiamato, si possono ricomprendere anche gli enti non profit, quando questi offrono “sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi, l’Autorità nazionale anticorruzione ha concluso che il rapporto convenzionale sottoscritto dall’azienda sanitaria non è compatibile con l’acquisizione di una prestazione di consulenza, come quella oggetto dell’accordo convenzionale. La procedura da seguire è, al contrario, quella ad evidenza pubblica di natura competitiva, che giustifica l’acquisizione di prestazioni sul mercato degli operatori economici a fronte di un corrispettivo predeterminato da parte dell’ente pubblico.

L’interpretazione fornita da ANAC sembra essere suffragata anche dalle disposizioni di cui al Codice del Terzo settore, dalle quali emerge che gli enti pubblici possono sottoscrivere apposite convenzioni con gli enti non profit quando esse non presuppongano alcun rapporto sinallagmatico. Conseguentemente, l’ente pubblico può limitarsi a rimborsare all’ente del terzo settore le spese effettivamente sostenute e documentate per la realizzazione di un’attività, progetto o intervento. Per vero, il Codice del Terzo settore prevede anche la possibilità che gli enti pubblici sostengano l’azione degli enti profit attraverso contributi e sostegni economici che superano il rimborso delle spese. Tuttavia, questa opzione è riconosciuta nella specifica fattispecie della co-progettazione, istituto giuridico che presuppone una condivisione di obiettivi e di progetto tra pubbliche amministrazioni ed enti non lucrativi. E che, conseguentemente, non prevede un rapporto sinallagmatico, come quello che, invece, è stato prospettato nella comunicazione di Anac.

Da ultimo, si potrebbe anche fare riferimento alle disposizioni dell’art. 112, d. lgs. n. 50/2016 in materia di appalti riservati, i quali, tuttavia, sottendono la presenza del requisito di promuovere l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, che, per quanto è dato conoscere del caso in oggetto, non risulta agli atti. Parimenti, si potrebbe ricorrere all’art. 143 del medesimo Codice dei contratti pubblici, che, però, riserva agli enti non profit la partecipazione a procedure ad evidenza pubblica soltanto per talune tipologie di servizi (sanitari, sociali e culturali) e al ricorrere di determinati requisiti.

In ultima analisi, la segnalazione di Anac conferma che:

  1. le pubbliche amministrazioni devono prestare molta attenzione al “cosa” chiedono al “mercato” di riferimento;
  2. la categoria degli enti non profit non è di per sé sufficiente ad evitare le procedure ad evidenza pubblica di natura concorrenziale;
  3. la nozione eurounitaria di “operatori economici” comprende anche gli enti non profit, in specie quando questi ultimi rivolgano le loro attività e azioni al mercato.


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