-  Redazione P&D  -  10/12/2014

LAMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: LO STRUMENTO MULTITASKING DELLE PROFESSIONI DI AIUTO ALLA PERSONA - Gemma BRANDI

Direttore Salute Mentale Adulti Firenze 1-4 e Istituti di Pena

 

Ringrazio gli organizzatori per avere messo in piedi una associazione dedicata alla Amministrazione di sostegno [AdS] e per avermi in tal modo consentito di calcare nuovamente questa terra borderline, la terra di confine che gli antenati Etruschi attraversavano per portare enormi crateri di bucchero ai loro alleati d"Oltralpe, i Celti. Una terra che pertanto considero di passaggio e di amicizia.

Sum bona spina malis, sum mala spina bonis: questo il motto dei Marchesi Malaspina, signori dal quattordicesimo secolo della dimora in cui sono stata ospite qualche giorno fa nella città di Massa, dove la Rete degli Utenti aveva organizzato un ricco convegno sulla AdS e sul testamento psichiatrico. La coazione è un po" questo: una cattiva spina, come può essere il limite dettato da una tutela benigna, per i deboli che necessitino di aiuto; una buona spina, come può essere l"impedimento di un sopruso, per i forti sopraffattori. Noi abbiamo scelto di svolgere la prima delle due funzioni: non siamo gli eroi dell"antimafia, ma i piccoli portatori d"acqua delle professioni di aiuto alla persona, siamo dei rimedia del disagio, siamo i funamboli della riabilitazione, siamo gli inventori di nuovi percorsi.

Non sono trascorse più di poche settimane dal fausto pomeriggio in cui Paolo Cendon e Rita Rossi, coordinati da Marco D"Alema, hanno presentato a Roma, presso il Ministero della Salute, la proposta di legge per abrogare l"interdizione. Si è trattato dell"ennesimo momento di conferma di un assioma luminoso: l"unica teoria affidabile è quella che nasce dalle pratiche, purché le si attraversi o le si osservi con rispetto, attenzione, curiosità. Nel corso dell"incontro è accaduto, infatti, che un beneficiario di AdS abbia utilizzato una metafora esplicita: "Quando decisero di interdirmi, fu come se mi decapitassero…", mentre la AdS ha rappresentato successivamente nella sua esistenza un alleggerimento emancipatorio della tutela. Ho allora pensato che tra un coltellino svizzero, uno strumento multitasking quale l"AdS è, e una ghigliottina quale l"interdizione fu per quell"uomo, la scelta era obbligata: il coltellino svizzero.

Come ogni strumento multitasking, l"AdS può arricchirsi di nuovi accessori e dotazioni aggiornate. A servire oggi sono in primo luogo elenchi intelligenti di AdS a livello provinciale -la dimensione che consente una prossimità tra AdS e beneficiario- da fornire ai Tribunali. Quando dico intelligenti, intendo elenchi dai quali emerga con chiarezza la specifica competenza della figura riguardata. Non basta, infatti, una laurea in Giurisprudenza o in Economia e Commercio per essere all"altezza del ruolo, né fare parte del Volontariato; non è sufficiente, ma non deve costituire neppure un handicap appartenere alle categorie sopra indicate. AdS può diventare chiunque, giovane o d"età, più o meno scolarizzato che sia, purché abbia ricevuto una formazione specifica che permetta di comprendere, a chi si proponga per tale compito, il bisogno di collaborare con i Servizi Socio-sanitari e Giudiziari che si occupano del beneficiario, di conoscerne la organizzazione e le funzioni, di imparare a mettersi in relazione con tali organi della salute, non omogenei sul territorio nazionale. Gli elenchi per essere intelligenti dovrebbero contenere, appunto, la certificazione formativa specifica e quella accademica individuale, la disponibilità o meno a svolgere il compito con le finalità del volontariato autentico, la traccia di esperienze fatte nel campo, il numero di AdS già attive per ogni figura, così da non sovraccaricare nessuno. Da tali elenchi il Giudice Tutelare potrebbe attingere in maniera consapevole, declinando la scelta sui bisogni della persona.

Sempre nel pomeriggio romano, due cittadini portatori di una diagnosi psichiatrica e membri di una nota associazione di soli utenti, hanno timidamente e garbatamente preso la parola per dare la loro benedizione alla idea di un "giudice di sostegno". Non posso dire quanto consapevoli fossero del carattere attualissimo e rivoluzionario di tale affermazione, per non avere potuto lì o poi confrontarmi con loro, ma il fatto che l"istituto della AdS, attraverso la figura arricchita di responsabilità del Giudice Tutelare, introduca un diverso rapporto tra la giustizia e il cittadino e viceversa -una giustizia meno lontana dai bisogni degli uomini, dalla carne che soffre, dai professionisti dell"aiuto, dalla interdisciplinarità che cura- segna il passo di un cambiamento epocale, che è quello che la società reclama più o meno intenzionalmente e che renderà meno separata, sradicata e algida la funzione del magistrato.

Proverò qui, per averlo espressamente promesso alla Dottoressa Roberta Rigamonti, almeno ad elencare i quadri prototipici di incapacità in cui mi sono imbattuta, spesso quadri di incapacità situazionale, che hanno trovato uno sbocco soddisfacente soprattutto grazie alla AdS, un istituto versatile e in grado di adattarsi al bisogno emergente: AdS salvacondomini; AdS salvavita; AdS che decostruisce famiglie patogene; AdS che costruisce nuove famiglie; l"utile cambiamento di amministratore; AdS ed educatore di sostegno; AdS paradossalmente risolutrici; AdS più felicemente collocate fuori della famiglia. Per ognuna di queste categorie potrei portare alla vostra attenzione dei casi clinici illuminanti, ma ciò richiederebbe il tempo non di una relazione, bensì di un corso di formazione. Intendo però illustrarvi almeno l"ultima situazione porototipica di un elenco destinato ad allargarsi con il divenire della pratica. E lo farò narrandovi una storia che non sto qui a precisare quanto vera e quanto romanzata.

"Mi chiamo Massimo, sono un uomo non più giovane che d"abitudine tace, ma amo il teatro e quando salgo su un palco divento un grande attore. Mio padre era un giudice nato nella Magna Grecia. Conobbe e sposò mia madre a Firenze. Sono il loro unico erede. Mia madre aveva una sorella cui era molto legata, che si unì in matrimonio con un uomo dal quale non ebbe figli. Gli zii vivevano in affitto nell"appartamento adiacente a quello di cui erano proprietari i miei genitori: sono stato un bambino fortunato, con ben quattro genitori! Mentre frequentavo il liceo classico deve essere accaduto un qualcosa nella mia testa che ha complicato le nostre esistenze. Abbandonai la scuola prima della maturità, ma continuai a leggere. Fui condotto dai miei genitori in vari studi psichiatrici, rigorosamente fuori Firenze, anche in cliniche svizzere. La situazione non migliorò. Avevo l"impressione che si vergognassero e che non volessero lasciarmi bazzicare i servizi sanitari pubblici. Non che io ci tenessi… Lasciai fare, frequentando al massimo gruppi di autoaiuto. Sapevo che forse una psichiatra si occupava di me per interposta infermiera, l"infermiera che avevo conosciuto in uno di questi gruppi, la Daniela: di lei mi fidavo. Mio padre morì e la mamma avviò a riscuoterne la pensione di reversibilità. Poi però anche la mamma cedette e prima di andarsene mise a nome mio e della zia il consistente gruzzolo che aveva messo da parte per il mio incerto futuro. Io non ho mai lavorato. Quando anche la mamma scomparve, frequentai con maggiore assiduità la casa degli zii, provvedendo alla loro assistenza -sono sempre stato un buon figliolo! Dalla morte di lei riscuoto io la pensione di reversibilità di mio padre, essendo stato dichiarato invalido al cento per cento con accompagnamento. In quella circostanza i Servizi proposero al Tribunale di tutelarmi. Seppi che avevano avanzato domanda di AdS e questo mentre lo zio e forse dei suoi nipoti chiedevano di interdirmi. Anche la zia si ammalò e allora mise, il conto che aveva cointestato con me, a nome mio, suo e dello zio. In casa entrò una badante romena, visto che lo zio mostrava i primi consistenti acciacchi e la zia stava sempre peggio. Il Giudice Tutelare optò per una AdS e assegnò a mio zio il compito. Lui però si dimenticò, penso, di andare a giurare e così per due anni rimasi di fatto senza tutela alcuna. Il Tribunale non se ne accorse. I Servizi pensavano che fossi amministrato. Io non ne capivo un bel nulla, né mi interessava di sapere come stessero le cose. Quando pure la zia morì, il conto rimase intestato a me e allo zio. A un certo punto questi pretese che delegassi la badante a riscuotere la mia pensione -la donna aveva preso piede in casa sua, anche se ero poi io a trascorrere con il mio anziano parente l"intera giornata. Lì cominciai a impensierirmi e lo dissi alla Daniela che lo disse a una psichiatra, non quella che si era occupata da lontano di me e che era all"epoca in aspettativa per gravidanza -forse davvero Dio manda il freddo secondo i panni!- ma una psichiatra che pretese di incontrarmi e di incontrare mio zio. Lo zio si arrabbiò moltissimo, io mi spaventai e la badante disse che al posto dello zio avrebbe parlato lei con la psichiatra, che però non glielo permise. Dopo l"incontro della dottoressa con mio zio, so solo che il Tribunale nominò un altro AdS, una avvocatessa di bell"aspetto, alquanto gentile -a me le belle donne sono sempre piaciute…- che però dimostrò una certa distrazione: non prestò sufficiente ascolto ai suggerimenti del Servizio di Salute Mentale, incaricò la badante dello zio di svolgere faccende fantasma, eppure costosissime, in casa mia, non procedette all"inventario dei beni mobili che riempivano il mio appartamento, ignorò il fatto che la badante occupasse gratuitamente il mio garage, non si accertò di che fine avesse fatto il mio piccolo capitale, volatilizzatosi in maniera inspiegabile. Fu la dottoressa che, comprendendo la mia solitudine dopo la morte dello zio, mi propose una convivenza con qualcun altro. Lì si scoprì che il conto era vuoto e il Servizio cominciò a stringere l"AdS, scrivendo una relazione al Giudice Tutelare. Seppi che la badante aveva avuto in dono da mio zio l"appartamento in cui lui e la zia abitavano e che avevano acquistato con la mia eredità. Ci rimasi assai male. Essendo loro morti, tutto era ormai più complicato, ma l"Amministratore a quel punto non poté fare a meno di istruire una causa avverso la badante che intanto aveva smesso di fingere di lavorare a casa mia, aveva liberato il mio garage e cessato di darmi il tormento: a me quella donna era sempre stata antipatica, ma non osavo neppure pensarlo. E così la badante ha dovuto vendere la casa e restituirmi almeno parte della cifra che mi era stata sottratta: "Ho vinto una lotteria!", ripeto spesso ai miei amici. Ma la vera vincita consiste nel fatto che io sia stato attento, che mi sia fidato di Daniela, che non mi sia lasciato turlupinare, che abbia fatto sentire la mia voce e da allora lo faccio con maggiore convinzione e mi sento più sicuro. Oggi ho perdonato il mio Amministratore per la sua superficialità iniziale, lo zio per la sua scelleratezza da vecchio fragile e la Giustizia per la distrazione dimostrata nella circostanza. Abito con un compagno di cordata, anche lui amministrato, anche lui erede di una famiglia benestante i cui beni sono andati dispersi. A noi pensa Paola, una signora con due lauree, pensionata, che ha lavorato in una cooperativa di servizi e ama stare con persone come siamo io e Alberto. Non racconterei mai queste cose in pubblico, so però che la psichiatra che mi ha seguito potrebbe farlo per me e per tutti quelli che hanno i miei problemi. Forse riuscirei a recitare la mia storia, se qualcuno la scrivesse, forse…".




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