Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  06/06/2022

La Tutela delle Vittime e il Processo Penale - Mario Pavone 

  1. Le Vittime di Reato come soggetti deboli del Processo Penale 

La tutela dei soggetti deboli non ha avuto in passato e non ha ancora alcuna rilevanza  giuridica  nel processo penale e non è contemplata nei testi giuridici.

Solo con la recente Riforma,approvata dal Palamento,essa ha trovato un primo riconoscimento in ossequio alle varie Direttive Europee che hanno sollecitato il Governo Italiano all’adozione di una normativa già presente nelle Legislazioni di vari Paesi Europei.

Occorrerà attendere la emanazione dei Decreti Attuativi prima di avere un quadro completo introdotto dalla Delega Legislativa. Tuttavia è necessario sottolineare all’attenzione del Legislatore alcuni punti nodali della emananda disciplina. 

Nell’ambito della Legislazione Italiana risulta evidente come il nostro disegno costituzionale, solidarista e ugualitario, abbia ben presente l’esistenza di soggetti svantaggiati, in relazione agli specifici ambiti di interesse, e ponga al Legislatore la necessità di operare per riconoscere tali soggetti, per offrire loro tutela attuando in concreto il precetto sancito dall’articolo 3, capoverso, della Costituzione.

In tal senso, la dottrina costituzionalistica ha individuato nel collegamento con il principio di uguaglianza il fondamento della tutela dei soggetti deboli e delle Vittime di Reato in particolare.

Tra i soggetti svantaggiati devono essere ricompresi coloro che sono colpiti da un evento criminoso o comunque dannoso e illecito, in grado di generare non soltanto un pregiudizio di natura patrimoniale o economica, ma anche un senso di perdita e di offesa della propria dignità: è la particolare categoria di soggetti deboli che abitualmente vengono definite “vittime”.

In realtà, la nozione di vittima può assumere un significato più ampio, potendo essere riferita a qualsiasi soggetto danneggiato o che abbia subito un torto da altri, ma anche da eventi naturali, che percepisce se stesso come vittima con la conseguenza di avere necessità di aiuto, assistenza e riparazione, ovvero che venga riconosciuto come vittima dalla collettività e come tale è o dovrebbe essere assistito da agenzie o strutture – pubbliche o private – di supporto.

Sebbene le vittime, in quanto soggetti deboli, devono suscitare una generale attenzione alla luce del precetto costituzionale, tuttavia è proprio nell’ambito del diritto e del processo penale che la loro esistenza assume una particolare visibilità.

In questo senso, va sottolineato come sia sorto nel tempo un particolare e specifico interesse alle sorti delle vittime, interesse che trova riscontro e anche amplificazione nello spazio dedicato dai media a tali destini che spesso si risolve in un “processo nel processo” mediatico senza che questo determini e contribuisca ad una maggiore considerazione delle vicende umane sottostanti e della necessità di intervenire per ii riconoscimento e ristoro dei danni, demandato ad un giudizio successivo in sede civile. 

Particolare attenzione viene rivolta ai minori, le donne oggetto di violenze fisiche e sessuali, ma anche le vittime di reati stradali, che sono poste quotidianamente sotto i riflettori anche attraverso l’impatto emotivo suscitato dalla narrazione delle loro storie tramite i mezzi di comunicazione. 

Un tale episodico quanto morboso interesse si manifesta, poi, in una particolare attenzione alle decisioni dei giudici nei processi che coinvolgono queste tipologie di vittime ed in particolare in relazione alla quantificazione delle pene inflitte ai colpevoli ma che trascura un doveroso riconoscimento del ristoro dei danni cagionati agli stessi attraverso un corretto meccanismo “riparatorio” adeguato alla gravità dei fatti ed alle condizioni personali dei soggetti coinvolti e di cui il Legislatore non si è ancora fatto carico nei suoi aspetti essenziali.

Il taglio informativo,i commenti specializzati o generici di opinionisti vari, la raccolta di voci dell’opinione pubblica, conducono alla conclusione che, nella percezione comune, vi sia una chiara e abbastanza generalizzata insoddisfazione rispetto agli esiti processuali in relazione alla tutela umana ma anche risarcitoria delle persone offese dal reato.

Questa tendenza porta, tuttavia, ad una duplice criticità.

In primo luogo, tende a oscurare la molteplicità di possibili interventi a protezione e tutela delle vittime da realizzarsi fuori dal contesto del processo penale; 

in secondo luogo, affida tale protezione e tutela a un istituto, come il processo penale,che non è più adeguato e funzionale a tale specifico scopo, con la conseguenza di mostrare inevitabilmente una serie di aspetti critici quando è chiamato a svolgere una funzione diversa da quella cui è ontologicamente rivolto ossia l’affermazione di responsabilità dell’imputato.

Da qui, la necessità di avviare una riflessione sui limiti e le possibilità di soddisfazione delle richieste di quel particolare soggetto debole che è la vittima del reato attualmente offerte dal processo penale senza il necessario intervento dello Stato, nei casi  di in capienza economica del responsabile, come sancito in maniera palmare dalle Direttive Europee.

Appare,quindi,necessario intervenire in sede costituzionale con una riforma dell’art.111 che, dopo avere introdotto il cd. Giusto Processo per gli imputati,presenta notevoli lacune in relazione ad una tutela generalizzata delle Vittime, anch’esse parti processuali non più trascurabile. 

La Convenzione Europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali,entrata in vigore il 26/10/1955,stabilisce che

  • art.6,par.1, ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti ad un tribunale indipendente e imparziale,istituito per legge.

La Corte Europea di Strasburgo, nell’interpretare la norma, ha stabilito che il diritto al risarcimento a carico dello Stato costituisce un diritto civile soggettivo e,quindi,ogni istanza connessa deve essere sottoposta ai principi dell’art.6 CEDU (v. sentenza del 27/5/1997 Rolf Gustafson c/ Svezia)

Inoltre,la nostra Corte Costituzionale,con una recentissima sentenza (n.88/2018)ha stabilito che la domanda di equa riparazione può essere proposta anche in pendenza di un procedimento penale ad esso presupposto.

2. La necessità di una estensione della tutela delle Vittime 

A tanto occorre aggiungere che gli studi di vittimologia,sul punto,hanno preso in considerazione la categorizzazione e le reazioni di soggetti danneggiati, includendo nella nozione di vittima non soltanto le vittime di reato, ma anche coloro che hanno riportato un danno a causa del contesto sociale, dello sviluppo tecnologico, dell’ambiente naturale o anche dell’ambiente endogeno, inteso come il panorama bio-psicologico della vittima stessa.

Appare, perciò, di immediata evidenza che, per tali categorie di vittime, non si può intervenire con un immediato riferimento al contesto penale e processuale atteso che gli eventi che ne hanno determinato il danno o la sofferenza non sono necessariamente affrontabili in un contesto di accertamento di responsabilità penale, sebbene questo non significa che dietro alle conseguenze dannose di calamità naturali, dello sviluppo tecnologico o delle condizioni sociali degli individui non possa essere rinvenuta, talvolta, una responsabilità umana, ma non sempre e non necessaria mente. 

Esistono dunque vittime la cui cura prescinde necessariamente dalla dimensione penalistica, si può essere vittima “di qualcosa o di qualcuno”, senza che ciò determini un ingresso del soggetto danneggiato sul palcoscenico del processo penale.

Proprio perché la sofferenza e il disagio presenti nelle vittime possono essere stati cagionati da eventi che non trovano approdo nel processo penale, enfatizzare il ruolo del processo ritenendo che, in esso, si giochi esclusivamente o principalmente la tutela della vittima significa distogliere l’attenzione da tutti quei soggetti deboli la cui condizione sia stata determinata da circostanze sulle quali il processo penale non può incidere, o sotto profilo del loro accertamento, ovvero sotto il profilo della sanzione da erogare a un soggetto determinato.

Il rilevare che non esiste un nesso indefettibile di indissolubilità tra vittima e processo penale non significa, dunque, avviarsi in direzione di una minor tutela della vittima, ma, al contrario, riconoscere che una piena tutela di questo soggetto debole può e deve avvenire anche su sentieri diversi da quelli del processo penale, prevedendo anche per essi una tutela riparatoria  non ancora disciplinata in maniera uniforme dal Legislatore ma affidata ad una serie di leggi e leggine per alcune categorie di soggetti deboli.

In conseguenza la Riforma varata dal Legislatore risulta limitata al processo penale senza guardare a tutte le categorie di Vittime a vario titolo determinando una grave lacuna nell’Ordinamento a cui occorre porre rimedio. 

3. Attività di Prevenzione e Giustizia Riparativa  

Si è pervenuti,quindi,con la Riforma ad un nuovo concetto di Tutela che è quello della cd Giustizia Riparativa per tutti i soggetti deboli che amplia la portata della originaria tutela processuale nell’ambito del processo penale sia pure con tutti i limiti innanzi evidenziati.  

Osservare la vittima attraverso la finestra del processo penale significa, necessariamente, puntare l’attenzione su un soggetto determinato, – la persona fisica ritenuta parte offesa presente in quel contesto.. 

È, però, altrettanto vero che, rispetto a tale soggetto, gli interventi possibili sono sostanzialmente finalizzati a una tutela ex post, cioè necessariamente successiva al fatto che ha determinato la sua condizione di minorità.

Tuttavia,per la piena realizzazione dei principi solidaristici e di tutela della dignità della persona posti a fondamento degli interventi a favore delle vittime e finalizzati a rimuovere radicalmente la condizione di sofferenza connaturata alla condizione di vittima, accanto e prima di qualsiasi intervento posto in essere solo successivamente all’accadimento che ha reso un particolare soggetto vittima,devono essere pensati e attuati tutti gli strumenti possibili per evitare che una molteplicità di altri soggetti si possa ritrovare nella medesima condizione di vittima.

Tale affermazione impone l’adozione della prevenzione ex ante, vale a dire dell’individuazione e dell’applicazione degli interventi tesi a evitare la vittimizzazione.

Tradizionalmente, si è soliti distinguere tra interventi per prevenire la condotta delittuosa, e quindi destinati a svolgere i loro effetti nei confronti dei potenziali autori di reato, e prevenzione più specifica della vittimizzazione, diretta a incidere nel contesto in cui il reato è stato commesso o sulle abitudini e caratteristiche delle potenziali vittime.

Una politica della prevenzione della vittimizzazione, in primo luogo, può essere svolta incidendo sulle circostanze che hanno reso possibile la verificazione del reato, ovvero concentrando l’attenzione su determinati soggetti rispetto ai quali si riscontra un elevato rischio di assumere il ruolo di autori o vittime, in ragione di specifiche caratteristiche personali; o, ancora, con interventi diretti a prevenire i fenomeni di recidiva e di vittimizzazione.

Una simile opera di prevenzione implica l’intervento di diversi soggetti e agenzie pubbliche o private, e può interessare diverse discipline, come la criminologia, la sociologia e il diritto; in primo luogo, però, essa interpella le scelte della politica, intesa come luogo di individuazione e attuazione di tali possibili pratiche.

Inoltre,ritenere che, nel processo penale, si possa dare piena soddisfazione alla vittima del caso specifico, occulta le responsabilità di tutti coloro – politici, amministratori, operatori della giustizia – che, nei diversi settori di intervento, sono chiamati a un compito ben più complesso, ma sicuramente più decisivo: incidere radicalmente in un’opera di riduzione delle situazioni che portano alla vittimizzazione senza ricorrere alla costante tentazione della politica di intervenire in una situazione percepita come disvalore dai consociati, criminalizzandola con la sanzione penale, nell’incapacità, o peggio, nella mancanza di volontà di incidere radicalmente sulle condizioni che determinano quella situazione.

In conformità delle Direttive Europee,occorre,dunque,riconsiderare l’assistenza e la tutela delle vittime  come necessari correttivi, frutto della sensibilità sociale, recentemente acquisita, nei confronti della vittima attraverso la creazione di una qualificata Rete di Sportelli sul territorio destinati non solo alla prevenzione, ma anche alla riabilitazione ed al reinserimento sociale delle Vittime,come più volte richiesto dalle varie Associazioni che compongono la galassia dell’assistenza alle Vittime  e dall’ANDCI con la nomina di un garante Nazionale delle Vittime. 

Tale ambizioso obiettivo si pone nell’orizzonte della cd. giustizia riparativa.

Non è naturalmente possibile, in questa sede, nemmeno iniziare un discorso sul tema, per la vastità delle sue implicazioni; ciò nonostante, se si vuole concludere il discorso sui limiti della tutela della vittima nel processo, nella diversa prospettiva di un possibile sviluppo positivo, bisogna necessariamente portare l’attenzione sulle possibilità di una giustizia riparativa quale moderno strumento di tutela delle vittime svolta all’interno degli Sportelli e non nelle Aule di Giustizia.

Dobbiamo ricordare che la giustizia riparativa ha il suo strumento principale nella “ mediazione penale”, ed entrambi rappresentano la migliore risposta per il conflitto generato dal reato e per rispondere concretamente a bisogni delle Vittime,in quanto essa si fonda sul presupposto che “reato” non è soltanto la violazione di una norma giuridica, ma costituisce una realtà molto più complessa, capace di generare una molteplicità di offese, in quanto molteplici sono i soggetti che possono riportare conseguenze negative dal fatto criminoso.

In tale meccanismo extragiudiziario troverebbero risposta anche le esigenze delle Vittime ad altro titolo, innanzi individuate,che debbono ricorrere ala Giustizia civile senza poter ottenere soddisfazione in tempi ristretti. 

4. La Vittima di Reato nel nuovo processo penale

In definitiva, per quanto innanzi articolato, non si può affermare che il processo penale sia il luogo elettivo deputato primariamente alla protezione e alla tutela della vittima, poiché non tutti coloro che possono essere definiti “vittime” entrano necessariamente nel processo e poiché la tutela di tali soggetti non si esaurisce nel processo stesso.

A questo punto, può essere utile chiedersi se l’istituto del processo penale in quanto tale si manifesti in concreto come strumento ontologicamente funzionale, dapprima, all’osservazione e, quindi, alla soddisfazione delle istanze del soggetto danneggiato dal reato.

In realtà l’attuale processo penale di matrice illuministico-liberale, evidenzia, nella sua farraginosità, una progressiva marginalizzazione del ruolo della vittima mentre si è data maggiore tutela alla posizione dell’imputato con il cd Giusto Processo ed i riti alternativi introdotti senza trascurare il progressivo riconoscimento dei benefici penitenziari svincolati dagli obblighi ristorativi per i danni arrecati alle Vittime.

Tale percorso, peraltro, corre parallelo a quello della nascita dello Stato moderno e al rapporto che, in tale contesto, corre tra lo Stato sovrano e il reo, tra chi detiene il potere e chi lo sfida o lo nega, violando le regole dal medesimo imposte con il cd “Contratto Sociale”.

Occorre,pertanto, avviare una decisiva inversione di tendenza in ordine alla condizione sostanziale e processuale della vittima, proiettando le sue vicende in una dimensione sostanzialmente estranea al processo penale, che va limitato a luogo di accertamento di un fatto, attribuzione di quel fatto a un determinato soggetto, irrogazione al medesimo di una sanzione in conseguenza del fatto commesso mentre,bel contempo,occorre ripensare ad un sistema degli indennizzi per le Vittime a qualsiasi titolo ponendolo a carico dello Stato con una funzione di sostegno e di solidarietà sociale collettiva in caso di incapienza del reo ed  in ossequio ai precetto costituzionale solidaristico innanzi evidenziato.   

In questo senso, si può dunque affermare che il processo penale rappresenta un’istanza per la quale una vicenda che interessa due soli soggetti – autore del reato e vittima – fuoriesce dalla loro specifica sfera di interesse per assumere una rilevanza che interessa invece tutta la collettività, quindi la comunità dei consociati che rappresenta il “convitato di pietra” del processo.

Nel momento in cui la comunità provvede a dotarsi di un istituto finalizzato agli obiettivi che si sono indicati, quell’istituto assume una vita propria, che prescinde da quelle dei soggetti che nel processo si muovono. 

Eì’ necessario, tuttavia,evidenziare come la socializzazione della risposta al reato comporti uno spostamento di prospettiva. Così procedendo il processo può arrivare ad una rapida conclusione e il Giudice, al termine del processo, non può astenersi dalla decisione, ma dovrà necessariamente affermare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato.

Se la condotta di colui che ha provocato un danno a un soggetto, ponendolo quindi in una posizione di minorità, viene realizzata in violazione di una regola di comportamento stabilita nella comunità e posta a presidio della sicurezza, del benessere, dell’integrità psico-fisica delle persone, allora quell’evento non diventa più soltanto una vicenda privata tra chi lo ha determinato e chi ne subisce le conseguenze, ma esso assume l’importanza che merita agli occhi di tutta la comunità, perché la violazione della norma che ha determinato l’evento pregiudizievole per la vittima provoca una reazione che interessa non soltanto la vittima stessa, ma l’intera collettività degli associati. 

La storia della reazione della collettività alle condotte realizzate violando le norme di convivenza è la storia del diritto penale e del processo.

5. La Tutela della vittima nel processo penale

Per quanto riguarda, poi, la figura che qui più interessa, va osservato che la vittima del reato assume una sua rilevanza nel processo principalmente per l’apporto che può fornire alla sua definizione, vale a dire per l’apporto di conoscenza dei fatti.

Gli interventi normativi che si sono succeduti a tutela della posizione della vittima sono stati i “gradini” di un percorso che ne ha emancipato la condizione da una posizione di mero strumento processuale utilizzabile ai fini dell’accertamento dei fatti, per poi riconoscere la necessità di una tutela legata proprio alla sua condizione di minorità, che nasce dall’aver subito un pregiudizio.

Tale percorso di tutela, tuttavia, si snoda lungo passaggi che vedono – comunque – la necessaria presenza della vittima nel processo come principalmente finalizzata a fornire ad esso il suo contributo e, quindi, a permetterne l’esito finale.

A questo riguardo, è essenziale sottolineare come la tutela della vittima si è progressivamente imposta e inverata nelle legislazioni nazionali a seguito di prese di posizione e atti normativi di fonte internazionale, emessi da organismi quali l’Onu, il Consiglio d’Europa, l’Unione europea, fino ai rilievi delle corti penali internazionali.

Un effettivo risultato può essere ravvisato nel riconoscimento, da parte della nostra legislazione, di un ampliamento della gamma di facoltà e di poteri attribuiti alla persona offesa nella dinamica del processo penale, realizzato mediante l’offerta di strumenti di partecipazione consapevole al processo e di protezione dal processo stesso, fino al recente intervento normativo del d.lgs n. 215/2015.

In questo senso, si sono adottati strumenti idonei a garantire, in primo luogo, il diritto di informazione della persona offesa, da considerare vera e propria precondizione per la tutela dei successivi diritti: diritto all’informazione tanto della vicenda processuale quanto dei diritti e delle possibilità di intervento legati al proprio ruolo di persona offesa.

Il diritto di informazione deve, poi, ritenersi finalizzato a permettere l’accesso e la partecipazione al processo, prevedendo strumenti economici, laddove sia necessario, per consentire alla vittima di sostenere le spese relative alla sua presenza nel processo.

Infine – ma, forse, è l’aspetto più significativo – va sottolineata l’esigenza di garantire alla vittima la protezione dal processo, cioè di evitare la cd. “vittimizzazione secondaria”.

In questo senso, è utile ricordare come dalla commissione di un reato conseguano, nei confronti della vittima, diversi effetti immediati, alcuni conseguenze dirette derivanti dalle caratteristiche del reato stesso, come la gravità del fatto, le modalità della sua esecuzione, nonché le caratteristiche del soggetto passivo e ulteriori circostanze concorrenti; altre e ulteriori conseguenze, invece, sono solo indirettamente connesse al reato e derivano dall’impatto della vittima con l’apparato giudiziario,definibili le prime come effetto di vittimizzazione primaria e le seconde come effetto di neutralizzazione e di vittimizzazione secondaria.

Le conseguenze negative per la persona offesa dal reato, legate allo svolgimento del processo, possono essere di vario tipo. Quelle che riguardano le conseguenze economiche sono generalmente affrontate e risolte nel punto sopra indicato come la garanzia alla partecipazione al processo, offrendo alla vittima un supporto economico che non le renda gravosa, da un punto di vista patrimoniale, la partecipazione alla vicenda processuale. 

Tuttavia la vittima può subire altre e forse più significative conseguenze negative sotto un diverso profilo. Infatti, la sovrapposizione del ruolo di vittima con quello di fonte di prova nel processo, cioè di testimone che deve fornire al giudice le necessarie informazioni su quanto gli è accaduto, implica che la persona offesa sia costretta a riferire più volte la vicenda di cui è stata vittima, ripercorrendo fasi della vita e ricordi necessariamente dolorosi, se non traumatizzanti. 

Dunque, anche sotto questo profilo, gli interventi legislativi si sono susseguiti nella prospettiva di limitare il più possibile la sottoposizione della vittima a una molteplicità di esami e interrogatori, e di garantire che questi avvenissero comunque adottando tutte le misure più idonee, con modalità protette, a consentire il minor pregiudizio possibile per la vittima, in special modo se la medesima deve essere qualificata come “soggetto debole”.

La maggiore attenzione alla vittima del reato ha così comportato un progressivo adattamento anche degli strumenti processuali alla tutela della medesima, in una prospettiva sia di risarcimento, sia di idoneità dell’informazione, della permanenza e della tutela nel processo.

La vicenda processuale esprime oggi un forte interesse della collettività all’accertamento del fatto e alla punizione del colpevole, e quindi un’altrettanto forte necessità di garantire che tale accertamento e punizione avvengano garantendo al reo un corretto procedimento di verificazione dei fatti e di applicazione della sanzione. 

6.Gli attuali limiti del Processo Penale per le Vittime di Reato 

Peraltro,il progressivo maggiore interesse sulla persona offesa dal reato appare un percorso di civiltà, garantito anche dal precetto costituzionale.

Le conclusioni su come si è sviluppata ed è progredita nel tempo la tutela della vittima all’interno del processo penale, fino ai suoi approdi attuali, devono però coniugarsi con le precedenti osservazioni sul ruolo attualmente assunto dalla medesima nello scenario processuale.

Come innanzi osservato l’attuale processo, strutturalmente, non è rivolto alle esigenze umane quanto risarcitorie  della vittima, ma dell’imputato, per garantire a quest’ultimo un accertamento dei fatti sia in termini di efficacia che di rispetto dell’imputato stesso.

L’aula del processo non è un luogo di considerazione dei fatti per la vittima, non solo in quanto vi è rievocata la vicenda che ha provocato la sua afflizione, ma anche perché il rito che viene celebrato in quell’aula è rivolto a un fine che non si identifica necessariamente con quello della persona offesa.

E infatti, se è vero che il processo assume una funzione fondamentale per la vittima, che è quella di riconoscerla come tale e di accertare la responsabilità di chi le ha provocato un pregiudizio, tuttavia per la persona offesa la richiesta di “giustizia” può non coincidere con le risposte che fornisce il processo. 

Le regole processuali, i limiti che riguardano le modalità di accertamento dei fatti, i possibili errori nell’attività di indagine sono elementi che, agli occhi della vittima, appaiono estranee con la propria esigenza di giungere a una conclusione soddisfacente che la vittima cerca.

In ogni caso, l’istanza punitiva di cui la persona offesa è portatrice è, di regola, tanto impellente da prevalere su altre e diverse dinamiche, fino a cancellarle. 

Qualsiasi tipo di relazione con l’autore del reato, anche in una prospettiva riconciliativa o quantomeno risarcitoria, è fortemente limitata dal conflitto di interessi che si manifesta nel processo tra i due soggetti interessati alla vicenda. 

L’imputato ha l’obiettivo di uscire dal processo senza pregiudizio, ovvero limitando il più possibile tale pregiudizio; la persona offesa vuole, invece, vedere affermata la responsabilità dell’imputato e spesso applicata una sanzione afflittiva che desidera grave in proporzione al danno subito.

Il tema dell’aspettativa da parte della vittima all’erogazione di una pena particolarmente severa nei confronti del colpevole appare del tutto coerente in una prospettiva che risolve esclusivamente nel processo, e quindi nella punizione del colpevole, la possibilità di una piena tutela della vittima. 

Ma tale prospettiva risulta del tutto ingannevole, sia perché, come si è visto, il processo non è orientato in via principale a soddisfare la persona offesa dal reato – e, quindi, le istanze punitive della medesima possono non coincidere con quelle dell’interesse pubblico –; sia perché il collegamento tra la gravità della punizione del colpevole e la piena soddisfazione della vittima è stato più volte messo in discussione dai più approfonditi studi sulla psicologia della vittima.

Questa situazione di contrasto strutturale tra le posizioni dei due soggetti protagonisti della vicenda processuale pone, dunque, la vittima all’interno del processo in una condizione di conflitto, non solo nei confronti dell’autore del reato, ma dello stesso processo. Se a tale condizione poi si aggiunge la circostanza che il processo stesso diventa luogo di rivisitazione di una vicenda personale dolorosa, risulta allora del tutto evidente con quanta difficoltà la persona danneggiata dal reato viva la propria partecipazione al processo.

L’accertamento dei fatti avviene in base a una ricostruzione dei medesimi fondata sulle prove assunte in un luogo e in un tempo ben distanti da quelli nei quali la vicenda si è consumata e si sono manifestati e sviluppati il dolore e la sofferenza della vittima. 

Appare, allora, del tutto evidente come questa limitazione del ruolo della persona offesa, che non è percepita nella sua interezza, configuri un ulteriore elemento di disagio per la stessa, con la conseguente percezione di sentirsi, in qualche modo, estranea e incompresa nel luogo che dovrebbe essere destinato a offrirle giustizia.

7. Conclusioni 

In definitiva si può affermare che il lungo percorso di attenzione e di cura alle vittime, intese come soggetti deboli che hanno subito un pregiudizio, è un percorso di civiltà che si è manifestato nello sviluppo del diritto penale e processuale, e che trova un pieno riconoscimento anche nella nostra Carta costituzionale, che si pone l’obiettivo della tutela dei soggetti deboli promuovendo l’eguaglianza sostanziale delle persone. 

Le fonti internazionali hanno contribuito in maniera decisiva a questo percorso, normativizzando principi e valori che sono stati poi accolti nei vari ordinamenti nazionali, tra cui il nostro. Una delle tappe fondamentali di questo cammino riguarda l’attenzione rivolta alla vittima nella vicenda inerente all’accertamento giudiziale del reato, con la previsione di norme che garantiscano l’informazione, la presenza e la difesa nel processo, nonché la tutela dalla vittimizzazione secondaria mediante strumenti processuali che limitino l’impatto negativo che può derivare dal processo.

Tuttavia, la funzione stessa del processo, di garanzia per l’imputato, fa sì che esso non possa trasformarsi nel luogo destinato alla piena soddisfazione delle aspettative della vittima, pur svolgendo nei suoi confronti una fondamentale funzione: quella del riconoscimento.

Proprio il riconoscimento della vittima in quanto tale rappresenta uno snodo essenziale per la sua tutela. La visibilità offerta a chi ha subito un danno dal reato oggetto di accertamento nel processo penale diventa il punto di partenza non soltanto per le pratiche risarcitorie, ma anche e soprattutto per una fuoriuscita dalla condizione di minorità in cui si trova il soggetto. L’importanza del riconoscimento della condizione di vittima costituisce un filo rosso che lega tutte le analisi in materia di vittimologia.

Il processo penale può, allora, svolgere una funzione essenziale in questa direzione, e costituire il punto di partenza per una compiuta tutela della vittima.

Quindi, solo nel contesto della giustizia riparativa e della mediazione penale la vittima diventa protagonista e trova un luogo dove esprimere le proprie sofferenze e i propri bisogni: il che non può accadere nell’attuale processo penale, per le ragioni che si sono finora esplicitate.

Giugno 2022 




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