-  Redazione P&D  -  15/03/2017

La sindrome di alienazione parentale (P.A.S.): realtà o fantasia? - Maria Beatrice Maranò

Indice sommario: 1. La sindrome da alienazione parentale secondo la Corte di Strasburgo; 2. La sindrome da alienazione parentale secondo la Cass. 8 aprile 2016, n. 6919. 3. Alcune sentenze negazioniste della P.A.S.: negazione concreta o solo apparente?; 4. Oltre la P.A.S: la centralità della tutela del minore. 5. La giurisprudenza di merito: alcune interessanti pronunce calabresi; 6. L"affido: il un nodo gordiano da sciogliere; 7. P.A.S. o sindrome da P.A.S.: una impercettibile differenza! 8. Il ruolo dell"ascolto del minore; 9. Il ruolo della consulenza d"ufficio nella P.A.S. 10. Conclusioni


  1. La sindrome da alienazione parentale secondo la Corte di Strasburgo.

"La valutazione dell"inadeguatezza di un genitore  si deve attestare su elementi attuali e concreti". La Corte Europea dei diritti dell"uomo di Strasburgo, con questo principio, ha condannato ancora una volta  l"Italia per violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Affaire Cincimino c. Italie (Requete n° 68884/13) Arret Strasbourg 28 avril. (1))

Dulcis in fundo o in cauda venenum, cominciamo proprio dall"ultima pronuncia della Corte di Strasburgo.

La sindrome da alienazione genitoriale è nota anche come P.A.S. ovvero Parental Alienation Syndrome e vede quale scopritore, il Dottor R.A. Gardner (2) che, a seguito di studi ed analisi approfondite, già nel 1985 cercava di fornire una prima chiara descrizione del disturbo. Gli elementi essenziali e distintivi venivano individuati essenzialmente nell"indottrinamento da parte di un genitore in pregiudizio dell"altro e nell"allineamento del bambino con il genitore "alienante": occorre una fusione di entrambi questi elementi e pertanto fondamentale è la condotta del minore la sua partecipazione, il suo contributo all"indottrinamento del genitore "alienante" contro il genitore "alienato". La P.A.S, infatti non è né lavaggio del cervello, né un condizionamento da parte di un genitore in pregiudizio dell"altro che, quale vittima, vede il proprio figlio giungere ad un vero e proprio rifiuto immotivato suoi confronti. Né ancora si può parlare di P.A.S innanzi a situazioni il cui comportamento del minore è giustificato da violenze, abusi, e forme di abbandono di uno dei genitori nei confronti della prole. A sostegno di chi afferma l"inesistenza della PAS come vera e proprio sindrome viene solitamente utilizzato quale argomento principale se non esclusivo, la mancanza di un riconoscimento formale di questo disturbo all"interno delle più rilevanti classificazioni internazionali prima tra tutte quella contenuta nel DSM-IV   (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), pertanto una tale mancata affermazione formale e condivisa della PAS come vera e propria sindrome a livello nazionale ed internazionale ne rende particolarmente difficile il suo riconoscimento nell"ambito giuridico.

Nelle aule giudiziarie alla P.A.S espressamente o in modo implicito si è fatto spesso riferimento a partire, ad esempio, da una pronuncia del Tribunale Alessandria (sentenza del 24.06.1999 n.318/1999, nota 2) poi confermata dalla Corte d"Appello di Torino, nella quale veniva deciso di affidare un bambino di dieci anni alla madre, nei cui confronti presentava forte avversione, riscontrandosi nello stesso la P.A.S attivata dal padre.

Nella fattispecie della sentenza della Corte di Strasburgo summenzionata gli organi giudicanti palermitani tanto in primo grado che in grado d"appello vietarono alla ricorrente di incontrare la figlia fuori dagli incontri protetti, avendo la stessa disatteso all"invito di intraprendere un percorso di assistenza psicologica. La condotta della donna si concretava in un tentativo costante di allontanare il padre dalla figlia e in una reiterata non collaborazione con gli assistenti sociali. Tali pronunce furono confermate nel 2009 nonostante la madre avesse intrapreso un percorso terapeutico.

Con la pronuncia di cui sopra la donna si è vista accogliere il ricorso ex art. 8 c.e.d.u., perché le autorità nazionali avevano violato  il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare non preservando il rapporto tra lei e la figlia e compromettendo il suo ruolo di madre.

Non è la prima volta che la Corte di Strasburgo. stabilisce che la magistratura italiana ha violato il diritto umano al rispetto della vita familiare tutelato dall"art. 8 della convenzione. E" accaduto anche per i casi Santilli, Piazzi, Lombardo e Manuello-Nevi. Nel primo caso (sentenza C.E.D.U.ricorso n.51930/10, in nota 1) un bambino privato del papà venne portato a cento chilometri di distanza dallo stesso ad opera di una donna separata. Sebbene non sia stato formalmente riconosciuto che il bambino era vittima di P.A.S., la situazione di alienazione genitoriale è descritta in sentenza: quando i fatti sono chiari le diagnosi sono superflue. Dal punto 88 della sentenza si intuisce inoltre che il papà è stato vittima di false accuse.

Nell"ultimo caso, invece ( Manuello-Nevi) ad ottenere la sentenza C.E.D.U ricorso n. 107/2010 ( 1)  del  sono stati i nonni di una bambina: storia sempre uguale, solita donna separata, solita accusa di pedofilia giudicata falsa, ma utilizzata per alienare impunemente la bambina.

Incominciamo con il chiarire che dall'esame di svariate sentenze della Corte di Strasburgo in materia di famiglia e minori, dal 1994 al 2004, (3) si ricavano dieci princìpi, che costituiscono indicazioni ineludibili, anche in caso di P.A.S., in tutte le Corti Minorili:

1) Le procedure relative all'affidamento dei minori esigono un trattamento di urgenza in ragione delle conseguenze irrimediabili che tempi lunghi provocano nel bambino e nel genitore da lui separato;

2) E" legittima l'assunzione di provvedimenti inaudita altera parte (con riferimento ai  provvedimenti di allontanamento, di ricovero in Istituto e di sospensione del diritto di visita dei genitori) quando il contesto in cui il minore vive, faccia presumere un reale pregiudizio per lo stesso.

3) I provvedimenti d'urgenza assunti dall'Autorità giudiziaria e relativi all'allontanamento del minore ovvero al ricovero in Istituto dello stesso e/o alla sospensione del diritto di visita dei genitori, debbono essere impugnabili per non incorrere nella violazione dell'art. 8. Infatti, l'eventuale impossibilità di esperire tale mezzo di impugnazione impedirebbe al genitore sia di contestare la misura dell'allontanamento ovvero di altra disposizione assunta, sia di manifestare la propria opinione, concretizzandosi così un'indebita ed illegittima ingerenza nella sua vita privata e familiare .

4) Diritto delle parti ad avere accesso alle udienze, le quali devono essere pubbliche durante tutto il procedimento, rilevando che tale regola è derogabile solo in casi eccezionali

Il principio è di particolare interesse e rilevanza, in ragione della prassi di alcuni Tribunali per i minorenni di non consentire l'accesso alle prove nei procedimenti relativi alla potestà parentale, in quanto si tratterebbe di procedimenti di volontaria giurisdizione, aventi ad oggetto interessi e non diritti, e nei quali il principio del contraddittorio e il diritto di difesa riceverebbero affievolita attuazione.

5) Invece a parere della Corte di Strasburgo, non solo i genitori devono avere integrale conoscenza dei documenti pertinenti al procedimento aperto dalle autorità, ma è pure onere dello Stato mettere le prove a disposizione del genitore interessato anche se questi non ne faccia richiesta .

6) La Corte afferma che il genitore deve essere messo in grado di provare le proprie capacità genitoriali e la propria adeguatezza sotto il profilo della responsabilità e dell'accudimento

7) La Corte di Strasburgo stigmatizza i comportamenti dei Servizi sociali quando il loro operato si risolva in atti e comportamenti omissivi, dilatori, inefficaci, che, in sede di esecuzione di provvedimenti del giudice a tutela dei minori, finiscono con il vanificarli, tradendone la finalità precipua. La Corte afferma, infatti, che l'art. 8 impone che le decisioni del giudice, che mirano a riallacciare vere relazioni tra genitori e figli in vista di una eventuale riunione, debbano essere eseguite in maniera effettiva e coerente, e non si traducano de facto nell'allontanamento definitivo dal genitore biologico. I Servizi territoriali non hanno il potere di sostituirsi all'Autorità giudiziaria per regolamentare l'affidamento dei minori.

8) La Corte afferma che i Tribunali hanno un dovere di vigilanza costante, specialmente per quanto attiene al lavoro dei Servizi territoriali, di modo che il comportamento di questi non venga a contraddire le decisioni assunte dagli stessi Tribunali. Il controllo del giudice sull'esecuzione dei propri provvedimenti da parte dei Servizi deve essere rigoroso.

9) La Corte di Strasburgo afferma che, ove si sia verificato un danno ad opera di un organo dello Stato, debba essere previsto un meccanismo per cui sia individuato un responsabile specifico del danno e un risarcimento per la parte lesa.

10) La decima ed ultima indicazione ricavata dalle sentenze analizzate della Corte di Strasburgo riguarda l'obbligo da parte degli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Roma di adottare misure atte ad impedire che le persone che si trovano nel proprio Paese subiscano trattamenti inumani. A tale proposito, va ricordata anche la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che espressamente richiama l'obbligo degli Stati di proteggere e tutelare i minori da trattamenti inumani e degradanti.

2. La sindrome da alienazione parentale secondo la Cass. 8 aprile 2016, n. 6919

Ritornando all"aspetto strettamente attinente la sindrome della P.A.S. o presunta tale l"ultima sentenza della Corte di Strasburgo, (Affaire Cincimino c. Italie) arriva esattamente venti giorni dopo una sentenza della Suprema Corte definita rivoluzionaria (Cass. Sez. I 8 aprile 2016 n.6919, nota 4). A seguito dell'interruzione della convivenza genitoriale, avvenuta quando la madre lasciò con la figlia la casa familiare, il Tribunale dei minorenni dispose l'affidamento condiviso ai genitori, con collocamento prevalente presso la madre della minore, con contestuale incarico ai servizi sociali di monitorare la situazione. Con successivo decreto, tenuto conto dell'atteggiamento della figlia di rifiuto del padre, il Tribunale vietò a quest'ultimo di frequentarla e prescrisse alla figlia un percorso psicoterapeutico finalizzato a far riprendere i rapporti con il padre e invitò i genitori a rivolgersi ai servizi psico-sociali per ricevere un sostegno nello svolgimento dei compiti genitoriali. Con ulteriore successivo decreto, con il quale deduceva l'esistenza di una sindrome di alienazione genitoriale determinata dalla campagna di denigrazione posta in essere dalla madre nei suoi confronti, avverso le istanze del padre, il Tribunale confermava la precedente pronuncia e respingeva la richiesta del padre di nuovi accertamenti peritali. Avverso tale ultimo decreto, il padre proponeva reclamo insistendo sulla necessità di nuove indagini peritali affinché queste facessero luce sulle ragioni dell'ostilità manifestata dalla figlia nei suoi confronti e affinché il giudice assumesse, alla luce di tali ragioni, dei provvedimenti che favorissero la ripresa dei suoi rapporti con la minore. La Corte d'Appello confermava l'affido condiviso e nel resto confermava, nuovamente, il decreto impugnato. Il padre ricorreva, quindi, in Cassazione la quale accoglieva il motivo principale, ovvero riconosceva la necessità di verificare in concreto l'esistenza di atteggiamenti riconducibili ad una P.A.S. e cassava la sentenza, rinviandola ad altra sezione della Corte d'Appello per un nuovo esame. E" molto interessante quanto si legge in questo provvedimento: "Non compete a questa Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche e, nella specie, della controversa PAS, ma è certo che i giudici di merito non hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia e sono venuti meno all'obbligo di verificare, in concreto, l'esistenza dei denunciati comportamenti volti all'allontanamento fisico e morale del figlio minore dall'altro genitore. Il giudice di merito, a tal fine, può utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l'ascolto del minore) e anche le presunzioni (desumendo eventualmente elementi anche dalla presenza, laddove esistente, di un legame simbiotico e patologico tra il figlio e uno dei genitori).Tali comportamenti, qualora accertati, pregiudicherebbero il diritto del figlio alla bigenitorialità e, soprattutto, alla sua crescita equilibrata e serena. L'importanza di tale diritto, - si aggiunge-  è testimoniata dalla sentenza della Cedu 9 gennaio 2013, n. 25704, L. c. Rep. Italiana, che ha affermato la violazione dell'art. 8 della convenzione da parte dello Stato italiano, in un caso in cui le autorità giudiziarie, a fronte degli ostacoli opposti dalla madre affidataria, ma anche dalla stessa figlia minorenne, a che il padre esercitasse effettivamente e con continuità il diritto di visita, non si erano impegnate a mettere in atto tutte le misure necessarie a mantenere il legame familiare tra padre e figlia minore, attraverso un concreto ed effettivo esercizio del diritto di visita nel contesto di una separazione legale tra i genitori. In particolare, quelle autorità si erano limitate reiteratamente e con formule stereotipate a confermare i propri provvedimenti, nonché a prescrivere l'intervento dei servizi sociali, cui erano richieste di volta in volta informazioni e delegata una generica funzione di controllo, così determinandosi il consolidamento di una situazione di fatto pregiudizievole per il padre, mentre avrebbero dovuto rapidamente adottare misure specifiche per il ripristino della collaborazione tra i genitori e dei rapporti tra il padre e la figlia, anche avvalendosi della mediazione dei servizi sociali. In caso di separazione personale conflittuale tra coniugi, l'affidamento del figlio minorenne implica un diritto effettivo e concreto di visita del genitore presso il quale il minore non sia collocato. L'assenza di collaborazione tra i genitori in conflitto e, talora, l'atteggiamento ostile (da dimostrare nel caso concreto) del genitore collocatario nei confronti dell'altro genitore) che impedisca di fatto al minore di frequentarlo, comporta una grave violazione del diritto del figlio al rispetto della vita familiare e non dispensa le autorità nazionali dall'obbligo di ricercare ogni mezzo efficace al fine di garantire il diritto del minore di frequentare adeguatamente e tempestivamente entrambi i genitori. Si deve enunciare pertanto il seguente principio: in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena".

Pertanto il giudice di merito è tenuto a verificare l'esistenza di una P.A.S. a prescindere dal giudizio in astratto sulla validità o invalidità scientifica della patologia di sindrome da alienazione parentale, il giudice di merito, quando chiamato a pronunciarsi sull'affidamento o su una modifica delle stesso, è tenuto ad accertare in concreto la veridicità dei comportamenti denunciati dal genitore denigrato qualora quest'ultimo segnali degli atteggiamenti, di per sé significativi della suddetta sindrome, che possano pregiudicare la sua relazione con il figlio e il suo diritto alla bigenitorialità. Infatti, l'affidamento del figlio minorenne implica un diritto effettivo e concreto di visita del genitore presso il quale il minore non sia collocato. Tant'è che, l'assenza di collaborazione tra i genitori in conflitto e talora l'atteggiamento ostile del genitore collocatario nei confronti dell'altro genitore comporta una grave violazione del diritto del figlio al rispetto della vita familiare e obbliga il Giudicante interpellato a ricercare ogni mezzo efficace al fine di garantire il diritto del minore di frequentare adeguatamente e tempestivamente entrambi i genitori. Inoltre, come sottolineato dalla Suprema Corte, nel valutare l'affidamento e relative modifiche, il giudice dovrà anche considerare che, tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, in quanto è solo tramite queste relazioni che si può garantire il diritto del minore alla bigenitorialità e ad una sua crescita serena ed armoniosa.

Finalmente chiarezza e rigore nell"aver affermato che l"alienazione genitoriale non è fantasia ma realtà.(5).Diritto genitoriale diritto alla bigenitorialità: diritti fondamentali perché l"essere genitore è un diritto straordinariamente importante, commovente struggente responsabilizzante, emozionante, unico ed irripetibile. E calpestarlo è un atto irresponsabile e vile. Soprattutto se ciò viene validato dall"autorità giudiziaria, in modo stereotipato ciclostilato, secondo schemi mentali e culturali desueti, obsoleti e antistorici. Nella stragrande maggioranza i casi sono i seguenti: affidamento condiviso mascherato,  madre genitore collocatario con casa familiare assegnata, padre recluso al 15% della frequentazione ma erogatore di mantenimento indiretto senza rendiconto alcuno, responsabilità genitoriale apparentemente integra. Se vi è conflittualità viene attribuita ad entrambi i genitori a prescindere. Basta varcare le Alpi per accorgersi che tutto cambia. Da noi il padre è considerato incapace di fare il genitore a prescindere, dunque viene recluso nel 15% della frequentazione ma spesso nell"85% del mantenimento. 

3. Alcune sentenze negazioniste della P.A.S.: negazione concreta o solo apparente?

Occorre notare tuttavia che la sentenza della suprema Corte dell"8 aprile 2016 non è rivoluzionaria perché si pone paradossalmente proprio nel solco di quelle sentenze richiamate dai negazionisti della P.A.S. tanto delle Corti di Giustizia, che della Corte di  cassazione che avevano confermato statuizioni di secondo grado basate su perizie che avevano negato l"esistenza della PAS.

In particolare la Cassazione civile sez. I con sentenza n° 3810 del 25.02.2015 (6) aveva confermato le statuizioni della Corte d"Appello di Messina, fondate sulla  relazione acquisita nel corso del giudizio di primo grado da cui emergeva una situazione di conflittualità fra i coniugi con conseguente difficoltà di comunicazione, situazione questa che aveva inevitabili ricadute sulla serenità delle minori. La Corte d"Appello non aveva infatti riformato il provvedimento del tribunale che aveva disposto l'affidamento della bambine, con loro domiciliazione presso la madre, ad entrambi i genitori, pur dovendosi nel provvedimento impugnato meglio specificare il diritto-dovere paterno di visita delle figlie; Ed inoltre aveva ritenuto che  le difficoltà relazionali delle parti andavano corrette con gli strumenti di cui all'art. 709 ter c.p.c.. Tale norma lasciava ampia discrezionalità al giudice sia sulla scelta del trattamento sanzionatorio, fornendo diversi strumenti alternativi (l'ammonimento, il risarcimento all'altro genitore, il risarcimento a favore del minore o la condanna ad una ammenda amministrativa), sia sulla necessità o meno di disporre sanzioni. Preso atto del fatto che l'ammonimento ex art. 709 ter c.p.c., si era rivelato di pressochè totale inefficacia, era necessario adottare una misura più incisiva che consentisse di ricondurre ad equilibrio il rapporto fra i coniugi in vista della piena attuazione della bigenitorialità. Il ricorrente fondava il suo ricorso su un atteggiamento "alienante" indicatore di una sintomatologia definibile P.A.S, ma ciò a parere della Suprema Corte  infondatamente, perché dalla disposta serie di analisi ed esami era risultata la perfetta capacità materna, e premesso altresì che nessuna prova era emersa del fatto che la madre  avesse scientemente ostacolato le visite del padre alle bambine, dato anche che sul punto le deposizioni erano state solo de relato e collidevano con i prodotti certificati medici attestanti le ragioni delle assenze scolastiche delle figlie e con il contenuto delle relazioni degli assistenti sociali.

Ancora  la  Cassazione civile n. 28651 del  24/12/2013( 7) che ha confermato sostanzialmente le statuizione di un sentenza di appello basata su una perizia che confermando la validità dell"affido condiviso  non individuava alcuna sindrome di alienazione genitoriale nella condotta del padre di denigrazione presunta della madre.

Tra le sentenze in apparenza negazioniste della P.A.S. spicca  Cassazione civile sez. I  n. 7041 del 20/03/2013 ( 8) : "Va cassata con rinvio la decisione dei giudici del merito che, nell'ambito di una controversia sull'affidamento del figlio minore, fondano la loro decisione di allontanamento dalla madre e affidamento al padre sulla base della sussistenza di una "sindrome da alienazione parentale" non esaminando le censure, specificamente proposte, sia in relazione alla validità, sul piano scientifico, di tale controversa patologia, sia in merito alla sua reale riscontrabilità nel minore e in sua madre." In questa pronuncia si evidenzia la difficoltà di inquadrare chiaramente la P.A.S. quale patologia rilevante in ambito giuridico, a causa dell"assenza  di un riconoscimento medico scientifico. La Cassazione infatti evidenzia "come venga in considerazione  una teoria non ancora consolidata sul piano scientifico ed anzi, molto controversa." e proprio richiamando le censure mosse dalla madre alla validità scientifica di tale disturbo e alla sua eventuale sussistenza nel caso in specie, mette in rilievo " le perplessità del mondo accademico internazionale, al punto che il Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) non la riconosce affatto come sindrome o malattia". La Cassazione dunque non nega l"esistenza generale di questo disturbo in ambito scientifico e conseguentemente giuridico ma conclude con la chiara affermazione che "di certo non può ritenersi che soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare."

Da una prima lettura della sentenza n. 7041/2013 ( 8) ed avuto riguardo al dispositivo che cassa integralmente il provvedimento a favore del padre emesso dalla Corte d'appello di Venezia, si è portati ad asserire che i giudici di legittimità si siano schierati a favore degli operatori professionali che non riconoscono alcuna validità scientifica alla PAS, sì che essa non può costituire la base per un provvedimento giudiziale di affidamento dei minori.

Ma un'analisi attenta della suddetta pronuncia ci fa comprendere però che limitarsi a questa sterile interpretazione sarebbe fortemente riduttivo, in quanto il percorso argomentativo della Suprema Corte è stato molto più complesso e variegato.

Ragionevolmente la Corte di cassazione ha messo in luce la difficoltà ad inquadrare e conseguentemente accogliere come disturbo patologico la P.A.S dalle sedi giudiziarie, a causa di una mancata condivisione sostanziale e formale della stessa nel settore medico-scientifico. Queste perplessità riflettendosi inevitabilmente nella valutazione che l'interprete deve operare nel corso del processo hanno portato il giudice di legittimità a dettare il principio secondo cui "in ambito giudiziario, non sono adottabili soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare". A parere della Corte, "il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche ovvero avvalendosi di idonei esperti, deve verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale". Quanto espresso, dunque, indurrebbe ad estromettere la sindrome da alienazione parentale dal novero delle eventuali malattie che potrebbero divenire la ragione escludente dell'affidamento del minore ad uno dei genitori.

Giova, però, evidenziare che in nessun punto della sentenza in commento si è espressamente negata la generale esistenza e rilevanza di una tale forma di disagio che, al contrario, è stata accertata come effettivamente sussistente nel caso di specie: ciò lo si evince sia dalle indagini compiute dal consulente tecnico d'ufficio, che dai riscontri delle relazioni dei Servizi sociali, dai quali è emerso come, sulla base di un percorso guidato, il minore migliorò il proprio rapporto con il padre "alienato".

Fenomeni, come quello della P.A.S., che si caratterizzano essenzialmente per profili marcatamente psicologici aventi scarsi riscontri medici, creano indubbiamente maggiori problemi nel momento dell'accertamento della diagnosi. Questo non significa, come viene sottolineato dalla Cassazione, che si debba rinunciare ad attribuire loro rilevanza poiché si potrebbe, comunque, far ricorso alla comparazione statistica dei casi clinici.

La posizione del giudice, pertanto, si pone non nel senso di un assoluto rifiuto verso la P.A.S., quanto sull'assenza di legittimità del provvedimento adottato dalla Corte d'appello discendente dalla sua carenza motivazionale. In particolare, sono stati ritenuti fondati i motivi del ricorso secondo cui il giudice di merito, verificata l'attendibilità scientifica della PAS, avrebbe dovuto in ogni caso, pur decidendo di accogliere le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, esaminare le censure specificatamente proposte dalla madre. Nel giudizio di secondo grado tutto questo non è avvenuto: la Corte d'appello ha omesso di vagliare l'attendibilità scientifica della P.A.S., nonché le censure ad essa mosse, accogliendo aprioristicamente la relazione tecnica d'ufficio.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, in conformità all'indirizzo giurisprudenziale prevalente, ha quindi precisato che, "se nel corso del giudizio vengano sollevate critiche alla consulenza tecnica d'ufficio, queste devono essere oggetto di esame da parte del giudice. Il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consulenza precise censure".

Come correttamente sostenuto, in Cassazione il giudice di merito si è limitato a costruire una sentenza per relationem, in forza del richiamo alla consulenza tecnica d'ufficio, divenuta parte integrante della medesima. Questo tipo  di iter motivazionale non sarebbe stato illegittimo qualora la consulenza tecnica avesse avuto una sufficiente base scientifica e non fosse stata oggetto di censure da una delle parti processuali  (In giurisprudenza, v. già Cass., sez. VI, 3 febbraio 2012 n. 1652 (9): "Nel giudizio in materia d'invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre, al di fuori di tale ambito, la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c.)"; Cass., sez. lav., 25 agosto 2005 n. 17324 (10): "Nei giudizi in cui sia stata esperita c.t.u. di tipo medico-legale, nel caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni dell'ausiliario giudiziario, affinché i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in Cassazione, è necessario che i relativi vizi logico-formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, con il relativo onere, a carico della parte interessata, di indicare le relative fonti, senza potersi la stessa limitare a mere considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte, che si traducono in una inammissibile critica del convincimento del giudice di merito che si sia fondato, per l'appunto, sulla consulenza tecnica"). Cass., sez. I, 4 maggio 2009 n. 1022 (11) : "Non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell'insufficienza argomentativa, tale motivazione, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d'ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l'omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell'elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità").

In buona sostanza il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti, deve verificare, sul piano scientifico, il fondamento della consulenza che si distacchi dalla scienza medica ufficiale. In ambito giudiziario non sono adottabili soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare.  In tal senso il ragionamento della Corte mostra tutta la sua logicità e, a nostro parere, non si pone in netta contraddizione con la tendenza della giurisprudenza - seppur non ancora numerosa - ad accogliere anche in ambito giuridico la sindrome da alienazione parentale.

4. Oltre la P.A.S: la centralità della tutela del minore.

Come si evince anche da tutto quanto sopra espresso, la P.A.S. presenta dei confini non propriamente certi e definiti, i quali comportano per il giudice l'uso di un'attenzione e valutazione molto più rigorosa rispetto a qualsiasi altra forma di disagio supportata da un indiscusso riconoscimento scientifico. Questo non equivale a dire che il disturbo in esame non possa concretamente sussistere e che non debba essere preso in considerazione al fine di evitare traumi nella crescita del bambino. Difatti, a prescindere da ogni lacuna di carattere formale, la tutela del minore deve assumere sempre valore primario. Orbene, siffatte argomentazioni significano che l'astratta presenza del disagio non può essere posta in maniera automatica a fondamento di un provvedimento di affido, in quando si deve trattare di una scelta giudiziale ponderata e verificata anche alla luce di tutte le eventuali censure e contraddizioni mosse dalle parti processuali o rilevabili nella comunità scientifica.

La  Corte d'appello di Brescia cui la Cassazione aveva rinviato, cassando la sentenza della Corte di appello di Venezia, si è pronunciata con decreto n. 103 del 3-17. maggio 2013 (12), confermando che il minore debba restare affidato ai Servizi sociali con collocazione presso il padre, con ciò accogliendo la sussistenza dell'effettivo disagio subìto dal minore a danno del genitore alienato. La  mancanza di fondamento scientifico della P.A.S. non esclude che essa possa  essere  utilizzata,  ai fini  del  processo,  per  individuare un problema  relazionale  in situazione di separazione dei genitori, pur non  assumendo  i  connotati di una malattia vera e propria. Infatti, l'atteggiamento del  bambino  che  rifiuta  l'altro genitore, per un patto  di  lealtà  con  il genitore ritenuto più debole, può condurlo ad  una  forma  di  invischiamento  capace  di  produrre  nella  sua  crescita  non  solo  una situazione di sofferenza, ma anche una serie di  problemi  psicologici  alienanti.  Il punto del processo è allora stabilire   se   i   disturbi   a  carico  del  minore  siano  o  non  riconducibile   alla   responsabilità  del  genitore  convivente,  in  quanto  generati  dal  suo  comportamento  nei  confronti  dell'altro genitore.

La decisione della Corte d'Appello avvalora l'impostazione secondo cui la Suprema Corte con la propria sentenza non voleva dettare una regola volta ad escludere totalmente dall'ambito giuridico la PAS. Essa potrà essere accolta purché supportata da un provvedimento adeguatamente motivato, in grado di metterne in luce la sua concreta sussistenza e prendere posizione circa le eventuali critiche mosse a suo carico.

Il giudice di merito nel suo iter motivazionale, dopo aver ripercorso i vari momenti processuali, nonché le argomentazioni sostenute delle parti in lite, ha, senza alcun dubbio, fatto prevalere sopra ogni cosa la tutela assoluta del minore. Nessun limite formale deve, infatti, impedire al giudice di favorire con le proprie scelte il benessere e gli interessi del bambino conteso. Al riguardo, la Corte territoriale precisa che la scelta di collocare il minore presso il padre non è volta a "conservare al bambino la bigenitorialità da intendersi come un patrimonio prezioso di cui i figli devono poter disporre, ma di evitare che attraverso il rifiuto si vada strutturando una personalità deviante".

Le valutazioni che, pertanto, devono essere effettuate in una circostanza di tal tipo, non sono se la P.A.S. abbia oppure no valenza scientifica, in quanto le aule giudiziarie non rappresentano la sede opportuna in cui ciò può essere provato. Quello che conta, a prescindere da un suo riconoscimento medico e dalla terminologia utilizzata, è se le condotte della madre siano la causa del rifiuto della figura paterna da parte del bambino. Quello che ci si deve domandare non è se la P.A.S. è una malattia, o, comunque, una "sindrome", ma se alla madre sia addebitabile una qualche responsabilità per la forma di disagio subìta dal figlio.

Ebbene, dai riscontri processuali, questa volta ampiamente motivati, la Corte ha ritenuto nel merito che i comportamenti della madre avessero nettamente ostacolato i rapporti affettivi tra padre e figlio  che invece migliorarono a seguito del provvedimento della Corte d'appello di Venezia successivamente cassato. (Il giudice di seconde cure, oltre a fissare modalità e tempi degli incontri tra il padre e la figlia minore, accoglieva in toto le richieste del ricorrente, invitando i genitori a consentire alla minore un percorso di terapia individuale, cui avrebbero preso parte anch'essi, secondo quanto indicato nella consulenza tecnica d'ufficio; ad intraprendere un percorso di riflessione personale e una mediazione familiare "volta al dialogo costruttivo sulle questioni che riguardano la figlia"; a non disattendere i consigli della consulente; la Corte richiedeva, altresì, ai Servizi sociali competenti di vigilare sulla attuazione delle modalità di frequentazione stabilite in sede giudiziaria, riferendo al Tribunale al fine dell'eventuale emissione di provvedimenti coercitivi in caso di inosservanza.Un'altra pronuncia di legittimità , quella della sentenza 8 marzo 2013 n. 5847,( 13)  ha accolto senza remore la tesi dell"esistenza della sindrome da alienazione parentale confermando la decisione assunta dal giudice territoriale che, riformando la impugnata sentenza di primo grado, disponeva l'affidamento esclusivo alla madre a causa dei comportamenti ostruzionistici del padre volti a demolire la figura materna, costretta a subire l'allontanamento ingiustificato dei figli. In tale ipotesi, il giudice di legittimità, in accoglimento alle relazioni del Servizio di psichiatria della ASL, che evidenziarono un tipico caso di sindrome da alienazione parentale, ha rigettato il ricorso del padre . Anche nella giurisprudenza di merito si avverte, oramai, la propensione ad un sempre più vasto accoglimento della P.A.S. qualora questa venga concretamente accertata dagli operatori professionali. 

5. La giurisprudenza di merito: alcune interessanti pronunce calabresi.

Prestano giusta attenzione all"alienazione genitoriale e alla P.A.S. anche Trib Cosenza sez II decreto 29.07.2015 n. 778, Appello Catanzaro sez I decreto 18.12.2015 n° 3405; Trib Roma 27.06.2014; App Roma 29.11.2006; incindentalmente Trib Treviso 18.06.2015 n° 3547 (14) e Cassazione 5097/2014  . Il  Tribunale di Cosenza, (15) in particolare con la sentenza  n° 778 del 29.07.2015  si attesta su  posizioni senza dubbio di ampio rispetto della CTU psicologica che con l"ascolto dei minori ha fatto emergere "l"esistenza di una situazione di inidoneità genitoriale della madre che risulta aver manipolato i due minori allontanandoli fisicamente e psicologicamente dal padre verso cui ostentano entrambi plateali manifestazioni di rifiuto e abnegazione". Pertanto constatato un secondo condizionamento programmato della madre nei confronti dei figli teso a logorare la figura paterna nonché i rapporti con i parenti del ramo genitoriale paterno, ha affermato la "sussistenza di un vero e proprio disturbo relazionale avente le caratteristiche dell"alienazione parentale, così come descritta da ultimo nel DSM 5 pubblicato nel 2013". Così il principio in nuce della sentenza: "si dispone ai sensi dell'art. 337 quater c.c. l'affidamento esclusivo al padre qualora la condotta della madre, dotata di "personalità manipolativa", con un condizionamento programmato allontani fisicamente e psicologicamente i figli dal padre, realizzando un'alienazione parentale, tale da doversi considerare dai giudici non adeguata come genitore." Ciò in linea con la sentenza di Cassazione n.5847 dell"8 marzo 2013 (13), che confermava una sentenza della Corte d"appello di Catania fondata su una relazione della ASL che diagnosticava una sindrome da alienazione parentale dei figli ed  evidenziava il danno irreparabile da essi subito  per la privazione del rapporto con la madre. Ancora il Tribunale Bari sez I sentenza n. 2771 del 6.09.2012 (16): "in definitiva, il complesso delle risultanze processuali ed istruttorie, pur in assenza di un diretto riscontro peritale di tipo psicologico, depone nel senso che non si è molto lontani da quella sindrome, nota come sindrome di alienazione parentale o genitoriale (o PAS, dall'acronimo di Parental Alienation Syndrome), nella quale un genitore (c.d. alienatore) attiva una sorta di programmatico allontanamento dei figli da e contro l'altro genitore (c.d. alienato), talvolta con il pieno coinvolgimento in tal senso dei figli stessi manovrati e/o comunque influenzati allo scopo, il tutto senza adeguata e professionale mediazione esterna alla coppia genitoriale".

Anche il Tribunale di Trani con sentenza del 26 aprile del 2016 n. 5149, (17) riconosce senza alcuna esitazione l"esistenza di un grave problema di alienazione: "…indipendentemente dalla qualificazione clinica o scientifica della diagnosi, se Pas o meno …appare, invero, inspiegabile, se con una innaturale condotta di alienazione, come i tre figli (...), possano nell"arco di pochi mesi passare da una vita familiare per certi versi idilliaca alla negazione della madre, giungendo, a cuor leggero, ad un rifiuto che si accompagna alla svalutazione ed al disprezzo ….creando un gravissimo vulnus al diritto dei propri figli a crescere con il sostegno di tutti e due i genitori… Esistono margini, per quest"ultima, per tentare la ricostruzione del rapporto con la madre, rimanendo, però, condizioni essenziali, il cambio di affidamento ed il controllo dell"influenza paterna (e dei fratelli più grandi)"

Nel senso di prescindere da eventuale riconoscimento di P.A.S. ma di constare in concreto il rapporto genitore figli è la  Corte d"appello di Catanzaro sez I decreto n. 3405 del 4/18.12.2015 (18): "In ultima analisi, giova sottolineare che ciò che rileva in questa sede non è tanto il riconoscimento o meno della PAS sotto il profilo medico - scientifico (concetto menzionato dalla reclamante nella memoria integrativa), ma piuttosto il concreto atteggiarsi dei rapporti genitori - figli. L'avversione manifestata da (...) e nei confronti del padre, per le ragioni suesposte e tenuto conto del contegno complessivo della è correlata all'atteggiamento di quest'ultima che, nel separarsi e nell'intraprendere una nuova relazione sentimentale, non si è preoccupata di mantenere e intensificare i rapporti tra padre e figli e ha, piuttosto, finito con il mettere in discussione l'autorità ed il ruolo di padre di (...)". Con l'ordinanza numero 1816/2016 ( 19) il Tribunale di Potenza si è trovato a dover giudicare una situazione in cui, purtroppo, due erano i minori che stavano subendo delle ripercussioni psicologiche evidenti dai continui contrasti tra i genitori.

La figlia, ormai ragazza e collocata presso il padre, aveva già sviluppato una dinamica di alienazione parentale rispetto alla madre, con la quale aveva interrotto qualsiasi rapporto.

Per il figlio, collocato presso la madre, invece la situazione non era ancora del tutto compromessa. Tuttavia, l'estrema conflittualità genitoriale lo esponeva "a uno stress costante e disfunzionale", tale da rendere elevato il rischio di "rimanere imbrigliato anch'egli in una situazione di Alienazione Parentale". Del resto il piccolo, nonostante i buoni rapporti con entrambi i genitori, aveva iniziato in alcune situazioni ad assumere atteggiamenti oppositivi, al limite del rifiuto.

Il rimedio per evitare tale pericolo, per i Tribunale è quello di procedere all'ampliamento dei periodi di permanenza presso il genitore non collocatario, strumento evidentemente utile a far mantenere almeno al piccolo dei rapporti sereni sia con la mamma che con il papà. E tanto è stato disposto dal giudice, che ha modificato in tal senso le condizioni di separazione, mantenendo comunque fermi l'affido condiviso e la collocazione originariamente stabilita.

Il genitore deve attivarsi per recuperare e mantenere l"immagine dell"altro genitore nei confronti del figlio. Se non lo fa, anzi scredita l"altro, può scattare il risarcimento del danno ex articolo 709-ter c.p.c. in favore del genitore "alienato". Lo afferma il Tribunale di Roma con la sentenza 18799/2016 dell"11 ottobre 2016. ( 20).Ogni genitore, dopo il divorzio, deve fare di tutto per far sì che i figli mantengano con l'altro un buon rapporto e ne conservino un'immagine positiva.

Questo non solo per garantire la crescita equilibrata dei piccoli, ma anche perché in caso contrario è possibile che il giudice lo condanni al risarcimento del danno ex articolo 709-ter c.p.c. in favore dell'altro coniuge, alienato. Infatti Il  Tribunale di Roma con la sentenza numero 18799/2016 dell'11 ottobre scorso ha condannato una donna a risarcire l'ex marito di ben 30 mila euro proprio per non aver garantito il recupero del rapporto di questi con il figlio, avendo anzi screditato continuamente l'uomo agli occhi del minore.

Per il giudice la mamma avrebbe dovuto agire in maniera tale da consentire al figlio di recuperare in maniera giusta il ruolo paterno: la tutela della bigenitorialità, infatti, impone di superare tutte le mutilazioni affettive dei minori. Invece la donna non aveva fatto altro che sfuggire agli incontri programmati e ostacolare il funzionamento dell'affido condiviso con atteggiamenti denigratori della figura paterna.

La somma alla quale la madre è stata condannata, elevata anche in ragione della sua condizione economica, ha anche una funzione di monito: espresso è l'intento del Tribunale di garantire tramite essa, sotto forma di dissuasione indiretta, la cessazione del protrarsi dell'inadempimento degli obblighi familiari dato che questi "attesa la loro natura personale, non sono di per sé coercibili né suscettibili di esecuzione diretta". Abbiamo poi una sentenza del Tribunale di Milano, sex. IX, sentenza 5 ottobre 2016 (21) che sancisce a chiare lettere che: "La lesione è consistita nel non aver potuto assolvere, da parte del padre, e non per sua volontà, ai doveri verso la figlia e non aver potuto godere pienamente della presenza e dell'affetto della piccola."

6. L"affido: il un nodo gordiano da sciogliere

Le problematiche relative all"accertamento della P.A.S. sono sempre estremamente connesse a quelle relative all"affido. Una bellissima pronuncia del Tribunale di Messina sez I sentenza del 5.04.2007 n. 597 (22) standardizza la chiara dicotomia tra affido congiunto e condiviso. "Sull'affidamento ad entrambi i genitori ex art. 155c.c. come inserito dalla legge 154/20062,", si legge nella sentenza: " vale la pena di spendere qualche parola, perché negli scritti difensivi della attrice appare certa assimilazione e non solo terminologica tra l'affidamento ad entrambi (o condiviso) e l'affidamento congiunto. Non solo terminologica, perché l'attrice ritiene che l'affidamento ad entrambi non possa disporsi in presenza di conflittualità, con evidente riferimento alle opinioni (peraltro non univoche) formatesi in dottrina e giurisprudenza con riguardo alla figura dell'affidamento congiunto." Ora, già da tempo la prassi giurisprudenziale, nel vigore della precedente normativa, ha messo in evidenza come l'affidamento congiunto si caratterizzava non per la parità dei tempi che il minore trascorre con l'uno o con l'altro genitore, (dual- residence) ma per la condivisione delle scelte educative e formative e per la pari partecipazione in termini qualitativi alla vita del minore. Per questo motivo già con riferimento al vecchio modello di affidamento congiunto si tendeva a scoraggiare la residenza alternata, stabilendo una domiciliazione privilegiata del minore (Tribunale di Varese 11 luglio 2005 (23); Tribunale di Messina 9 dicembre 2003 (24); cfr. anche Trib. Napoli 17 ottobre 1987 (25); Tribunale Napoli, 18 settembre 2003 (26); Tribunale Venezia, 22 gennaio 2003, (27). Analogamente il contenuto dell'affidamento condiviso, (28 e 29) oggi, come già l'affidamento congiunto quale ricostruito dalla giurisprudenza, non comporta una impossibile convivenza del minore con entrambi i genitori, e neanche una sorta di affidamento alternato: la ratio dell'affidamento condiviso sta invece nella maggiore responsabilizzazione dei genitori separati o divorziati i quali si impegnano a realizzare entrambi una linea comune nell'educazione del minore, linea comune che in prospettiva deve essere condivisa cioè stabilita di comune accordo, ma può anche, in fase transitoria, essere stabilita con prescrizioni dalla autorità giudiziaria. La sensibile differenza tra l'affidamento condiviso oggi e il precedente modello di affidamento congiunto sta in ciò che la legge vuole esso costituisca regola legale preferenziale, e quindi da adottare ogni qualvolta sia possibile e la normativa senza tuttavia definirne i caratteri, rimanda ad un'idea non di comunione ma di compartecipazione dei genitori nei compiti di cura e crescita del figlio. Il Tribunale di Messina così conclude: "  Se è vero, come è stato sostenuto, e come pare anche a questo Collegio, che condividere significa "spartire insieme con altri" nell'affidamento condiviso ciascun genitore spartisce con l'altro la cura e i compiti educativi del figlio, ma non esercita congiuntamente all'altro la potestà. Affidamento ad entrambi significa che ciascun genitore conserva l'esercizio della potestà che può anche essere disgiunto riguardo alla ordinaria amministrazione (comma III dell'art. 155 c.c.) salva la adozione concordata delle decisioni di maggiore interesse (ed in difetto il ricorso al giudice) e la convergenza della azione dei genitori e verso una medesima finalità educativa, anche questa in difetto di accordo indicata dal giudice, purché nella ragionevole valutazione prognostica che osservando le prescrizioni giudiziali si possa giungere ad un riequilibrarsi dei rapporti che restituisca ai genitori (entrambi) la capacità e la possibilità di svolgere il proprio ruolo, necessariamente duale, necessariamente in reciproca definizione dei limiti. Ed in questo senso è il precetto normativo che indica al giudice la regola legale preferenziale: ed il provvedimento del giudice è il momento in cui la norma giuridica trova concreta attuazione nella realtà dei fatti e pur se non può prescindere dalla concreta realizzabilità di ciò che ordina non può neppure passivamente conformarsi alla situazione di fatto rinunciando alla sua stessa essenza e finalità che è quello di indicare -e se il caso imporre- un dover essere." Anche la Corte appello Bari sez. famiglia (n. 794 del 15/07/2013 n. 794  (30) non ignora che, quanto ai criteri da seguire nell'individuare il genitore cui affidare i figli o presso cui collocarli in caso di affidamento condiviso, la Suprema Corte ha stabilito che "...il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale - posto, per la separazione, nell'art. 155, primo comma, cod. civ. e, per il divorzio, dall'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonchè sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore. La questione dell"affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale deve avere come parametro di riferimento l'interesse del minore e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità" (v. anche  Cass. civ., Sez. I, 27/06/2006, n.14840, nota 31). Nè può omettere di censurare il comportamento irresponsabile del genitore affidatario che, quand'anche non impedisca (secondo il suo assunto) l'esercizio altrui del diritto di visita, non si adoperi però perché la figlia non rifiuti di incontrare l'altro genitore ed ometta di educarla a rispettarlo, non facendole comprendere adeguatamente l'importanza di proseguire un rapporto costante e produttivo anche con lui. Costituisce dovere primario di ogni genitore consapevole del suo ruolo quello di aiutare il figlio a superare le difficoltà relazionali con l'altro genitore createsi in conseguenza della separazione. "Quantunque la madre" viene scritto in sentenza  : "abbia evidentemente fallito in tale compito, nell'attesa che i genitori, facendo appello a tutta la sensibilità che il caso richiede, intraprendano un percorso di mediazione dei loro conflitti e di psicoterapia di coppia con l'aiuto degli specialisti della materia, convinca la minore a sottoporsi ad una terapia psicologica che l'aiuti a comprendere l'importanza di riprendere gli incontri con suo padre ed a superare l'attuale radicalizzazione della sua posizione di rifiuto, il collocamento della minore presso la madre non può essere modificato in applicazione dell'insegnamento della S. C., secondo la quale in subiecta materia, anche in base ai principi sanciti dalla convenzione di New York del 20/1189, ratificata con L. n. 176/91, n...la circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa - a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche - costituisce fatto idoneo a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra il minore stesso ed il coniuge non affidatario. Tale sospensione può essere disposta indipendentemente dalle eventuali responsabilità di ciascuno dei genitori rispetto all'atteggiamento del figlio ed indipendentemente anche dalla fondatezza delle motivazioni addotte da quest'ultimo per giustificare detti sentimenti, dei quali vanno solo valutate la profondità e l'intensità, al fine di prevedere se disporre il prosieguo degli incontri con il genitore avversato potrebbe portare ad un superamento senza gravi traumi psichici della sua animosità iniziale ovvero ad una dannosa radicalizzazione della stessa" (cfr. Cass. civ., Sez. I, 15/01/1998, n. 317, nota 32).

Ed ancora Trib Messina n. 1584 del 27/07/2012 (33)  Evidenzia che il legislatore non ha provveduto ad esplicitare il significato dell'espressione "affidamento condiviso", mancando nella novella una definizione del nuovo istituto. Tuttavia, dal contenuto della disciplina e dall'esame dei lavori preparatori traspare che il legislatore ha inteso delineare un sistema in cui entrambi i genitori assumono uguali poteri e responsabilità nello sviluppo socio-psicofisico e morale dei figli e nel rapporto educativo con essi, condividendo, almeno tendenzialmente, le decisioni che riguardano la prole e rimanendo, quindi, attivamente partecipi della sua vita. Ciò dovrebbe consentire ai figli di mantenere la stessa relazione con entrambi i genitori e di definire un unico, concordato, progetto educativo. In questo modo viene garantito il diritto dei figli alla "bigenitorialità" ed attraverso l'eliminazione di ogni discriminazione tra i genitori dovrebbe essere anche più agevole superare un'eventuale conflittualità tra gli stessi, considerando altresì che l'affidamento condiviso non impedisce l'adozione delle scelte di ordinaria amministrazione da parte del genitore presso il quale i figli pro tempore si trovino. Orbene, se l'affido condiviso impegna entrambi i genitori a definire un progetto comune per la crescita e l'educazione dei figli, anche attraverso il mantenimento di un contatto costante, regolare ed adeguato tra genitori e figli, risulta evidente che quando appaia dannoso per il figlio minore il contatto diretto con uno dei genitori, mancano i presupposti per l'affido condiviso, che finirebbe con il rivelarsi contrario all'interesse della prole, dovendo in simili casi il Giudice assicurare ai figli minori adeguata protezione a prescindere dalla disponibilità manifestata da entrambi i genitori a collaborare nella elaborazione ed attuazione del progetto educativo riguardante i loro figli e dalla esistenza o meno di conflittualità tra di loro… i provvedimenti di affidamento dei figli minori non possono essere considerati nell'ottica della risoluzione di un conflitto tra due soggetti adulti, nel quale l'affidamento finisce con il diventare un "premio" dato ad uno dei genitori ed una "punizione" per l'altro, ma occorre cogliere quale soluzione tuteli nel modo migliore l'interesse dei figli minori, a prescindere dalla certa attribuibilità ad un genitore dei fatti di abuso a lui ascritti, accertamento che è, invece, richiesto al Giudice penale…così in sentenza : " l'audizione dei minori in sede di incidente probatorio ha evidenziato, soprattutto in Sa., non solo un chiaro disagio nel parlare del rapporto con il padre, oscurato dalla presenza di un "segreto" che era stato rivelato solo alla madre (pag. 35, 36, 37, 38, 39, 45, 58), ma anche un preoccupante senso di colpa (pag. 59), che costituisce un segno tipico di funzionamento mentale post traumatico. Ciò è sufficiente per escludere la configurabilità di una PAS, ma non elimina del tutto il dubbio che la narrazione dei bambini non sia stata del tutto libera, bensì condizionata dalla volontà della madre. "

La scarsa maturità genitoriale determina l'affido esclusivo del figlio lo ha stabilito la  Cassazione con sentenza del 22 settembre 2016 n. 18559 (34) L"iter era stato il seguente il Tribunale di Matera aveva statuito per l" affido esclusivo, la Corte di appello di Potenza per l"affido condiviso in riforma della sentenza di primo grado e la Cassazione ha riformato la sentenza della Corte ritornando all"affido esclusivo di primo grado.

 7. P.A.S. o sindrome da P.A.S. : una impercettibile differenza!

E" pertanto ardito sostenere che la P.A.S. non esista in quanto il DSM-5 non ne faccia menzione quando invece compare sotto diverse altre patologie tutte chiaramente riconducibili alla P.A.S. come hanno ben sostenuto studiosi come i prof.ri Casonato, Bernet, Camerini e Gulotta. ( 35 e 36)

Proprio il Camerini sostiene che rifiutare il concetto di P.A.S, sarebbe come rifiutare il concetto di "stalking", solo perché non esiste una "sindrome da stalking", scientifica. (37)

In sede giudiziaria il concetto di P.A.S,  o meglio di A.P. nasce dalla constatazione di comportamenti (da parte del genitore alienante) che assumono valenza antigiuridica in quanto lesivi dei diritti altrui. Non dimentichiamoci che un ostacolo ai diritti di visita può integrare la presenza di reati se in violazione agli articoli 388 c.p., (non ottemperanza alle disposizioni giudiziarie), 570 c.p. (violazione degli obblighi familiari), 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia) e 574 c.p. (sottrazione di incapace). C"è poi, il purtroppo poco applicato (in chiave di tutela inibitoria) art. 709 ter c.p.c. a carico del genitore inadempiente che può essere tenuto anche  rifondere i danni sia al figlio che all"altro genitore. Tali inadempienze dovrebbero essere acclarate non solo attraverso la consulenza d"ufficio, ma anche in virtù delle cosiddette prove atipiche quali interrogatori e relazioni dei servizi sociali. Ciò che emerge in modo evidente ora è il monito a tutti i giudici di non sottovalutare affatto la domanda con cui sottopongono all"organo giudicante una condotta alienante o una sindrome di alienazione genitoriale. Tali domande devono essere attentamente vagliate dal giudicante pena la compromissione ed il sacrificio di diritti fondamentali, oggi sempre più portato dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell"uomo di Strasburgo.

Sostanzialmente, il giudice dovrebbe sempre focalizzare l'attenzione sugli interessi materiali e morali dei figli, e ciò sarà possibile solo grazie ad un vigile esame del caso concreto. In tal senso, appare esaustivo un passo del saggio di Gardner (38) in cui si afferma: "questi genitori che esibiscono questi comportamenti alienanti rivelano un grave deficit nel loro ruolo genitoriale, un deficit che dovrebbe essere preso in seria considerazione dal Tribunale nel decidere lo stato di primo affidatario. La violenza fisica e/o sessuale nei confronti di un bambino sarebbe prontamente considerata dal Tribunale motivo per assegnare la custodia primaria al genitore che non ha commesso la violenza. La violenza emozionale è molto più difficile da giudicare obbiettivamente, specialmente perché molte forme di violenza emozionale sono sottili e difficili da verificare in un Tribunale. Tuttavia la P.A.S. è spessissimo identificata prontamente, e i Tribunali farebbero bene a considerarne la presenza come manifestazione di violenza emozionale da parte di un genitore programmatore. Di conseguenza i Tribunali, quando valutano i pro e i contro del trasferimento di affido, fanno bene a ritenere che il genitore che programma una P.A.S. dimostra un grave deficit parentale. Non intendiamo suggerire che un genitore che provoca una P.A.S. debba essere automaticamente privato dell"affido primario, ma solo che questo atteggiamento debba essere considerato un grave deficit della capacità parentale, una forma di violenza emozionale, e che ad esso sia data seria considerazione quando viene valutata la decisione sull"affidamento" Inoltre, non va dimenticato che il 18 maggio del 2013 è stata pubblicata la V edizione del DSM, nella quale, seppur non si prenda in considerazione la P.A.S. in maniera del tutto autonoma e non la si definisca propriamente con questa terminologia, si evince una maggiore propensione verso tale forma di disagio.

La strada che si sta percorrendo, sia in ambito giuridico che clinico, sembrerebbe volta ad abbattere tutte le barriere sostanziali e formali ed orientata, quindi, verso un sempre maggiore riconoscimento della sindrome da alienazione parentale.

 8. Il ruolo dell"ascolto del minore

Fondamentale importanza, nell'ambito processuale, potrebbe assumere anche l'ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dodici, o anche di età inferiore ove capace di discernimento. (39) L'istituto è stato introdotto dal legislatore del 2006, che ha novellato il codice civile con l'art. 155 sexies, recependo l'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che prevede il diritto di quest'ultimo ad essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano (v. oggi l'art. 315 bis c.c., inserito ad opera della l. 10 dicembre 2012 n. 219) La norma vuole garantire il diritto del minore ad autodeterminarsi ed a manifestare il proprio legittimo consenso qualora si debba disporre di provvedimenti che abbiano ad oggetto la propria persona. Certamente l'audizione dovrà essere disposta se ritenuta utile nell'interesse del minore, soprattutto al fine di minimizzare, per quanto possibile, le ripercussioni negative a suo carico

Di recente la Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 dicembre - 25 maggio 2016, nota 40), ha statuito che  la volontà contraria in ordine al proprio rientro manifestata da un minorenne che abbia un"età e una maturità tali da giustificare il rispetto della sua opinione è stata considerata ipotesi ostativa all"accoglimento della domanda di rimpatrio ( nel caso de quo il Tribunale per i Minorenni, seppur confermando che la residenza abituale dei minori fosse l"Ungheria, aveva negato il rientro sulla base dell"art. 13 della Convenzione Aja del 25.10.1980.I giudici avevano ritenuto che il rimpatrio non fosse corrispondente al miglior interesse dei due minori posto che la madre aveva tenuto comportamenti inadeguati e violenti nei loro confronti ed il loro rimpatrio in Ungheria avrebbe determinato gravi turbamenti per l"equilibro psico-affettivo dei minori. Inoltre, i due minori, sentiti dal giudice onorario neuropsichiatra infantile, avevano manifestato una forte opposizione al ritorno in Ungheria.). In tal senso occorrere fare un buon uso dell'ascolto, che non è mezzo di prova, ma strumento difensivo del minore, in attesa che qualcuno si decida a munire il minore di un difensore tecnico. E" vero che l'art. 8 L. 184/83 come modificato dalla L. 149/01, ha introdotto, sin dall'inizio del procedimento, "l'assistenza legale" del minore e codificato il principio del contraddittorio, ma il problema è che quella norma non viene mai applicata e i giudici preferiscono la nomina del curatore a costo zero.

Orbene, dinanzi a forme di disagio quale la P.A.S., se, da un lato, potrebbe mostrarsi vantaggioso l'ascolto del minore al fine di far emergere circostanze fattuali in grado di smentire eventuali accuse verso il genitore c.d. alienato, dall'altro diventa talvolta complesso stabilire se quanto dichiarato dal minore sia frutto di una sua volontà, ovvero sia la conseguenza della "programmazione" operata dal genitore c.d. alienante  Si richiederà, quindi, l'uso di una forte prudenza e cautela da parte del giudice nella valutazione delle risultanze del suddetto ascolto.

In una recente decreto del Tribunale di Torino sez VII civ. del 4 aprile 2016 ( 41)  assume una rilevanza primaria nello stabilire i tempi di frequentazione dei genitori da parte del minore la volontà del figlio quindicenne, volontà espressa con chiarezza in sede di audizione. Questa la massima a cura del dott. Giuseppe Buffone (43): "In sintonia con le indicazioni provenienti dalla Corte Europea dei diritti dell"uomo (cfr causa Santilli/Italia del 17.12.2013 e Bondavalli / Italia del 17.11.2015), al diritto del figlio di mantenere un equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337 ter comma 1 cpc) deve specularmente riconoscersi anche il diritto di ciascun genitore al mantenimento dei rapporti effettivi con i figli, affinchè, il principio della bigenitorialità trovi concreta ed effettiva attuazione, nell"interesse ultimo del figlio stesso ad una crescita serena ed equilibrata ed affinchè il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole (art. 147, 315 bis e 316 c.c.). Tuttavia, l"individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto del genitore a mantenere i legami con i figli deve avvenire sempre avendo sempre come parametro principale di riferimento l"interesse superiore del minore e non può prescindere dalla considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto e, in particolare, dell"età del figlio minore. In particolare come la stessa Corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare, la coercizione per il raggiungimento dell"obiettivo di mantenimento del legame familiare deve essere utilizzata con estrema prudenza e misura e deve tener conto degli interessi, dei diritti e delle libertà delle persone coinvolte ed in particolare dell"interesse superiore del minore (cfr CEDU Santilli /Italia; CEDU Volesky / Rep Ceca). Ne consegue che in caso di minore quindicenne che esprima in modo fermo la volontà di non frequentare il genitore secondo parametri fissi e rigidi, non può questa volontà essere dal tribunale superata, nemmeno attraverso una CTU. (Massima a cura di Giuseppe Buffone). La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2010 del 7 ottobre 2016 (42) consolida l"orientamento prevalente che pone la volontà del minore al centro delle decisioni relative ai conflitti genitoriali in ordine all"affidamento dei figli. Nel caso  di specie, il padre di una ragazza quindicenne sosteneva di esser stato ostacolato dalla madre nella relazione con la propria figlia e di non avere saputo i servizi sociali, incaricati dal tribunale , gestire la situazione e favorito gli incontri, monitorato né fatto nulla in tal senso, tanto da agevolare l"induzione alla negazione della figura paterna nella minore da parte della madre, responsabile di avere provocato l"interruzione degli incontri in ambiente neutrale e degli incontri  di sostegno disposti dal Tribunale in sede di separazione. Secondo la Cassazione, invece, è rilevante la volontà della figlia, ormai quindicenne, che aveva chiaramente detto di non essere disponibile a partecipare a un progetto di riavvicinamento con il padre.

Ed ancora Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 2270 del 2 febbraio 2017 (43) Presidente – Bernabai "I giudici optano per la collocazione del minore, nel prevalente interesse dello stesso, presso il padre dal quale riceve maggiori cure ed attenzioni" Dalla  relazione dei servizi sociali, infatti, emergeva che la ragazzina aveva dichiarato di essersi sentita ferita dalla poca attenzione dedicatale dal padre il quale, nel corso degli ultimi anni, si era limitato a mandarle degli sms ed a effettuare solo alcune sporadiche telefonate.

Ne conseguiva la espressa volontà della minore che il rapporto con il papà riprendesse eventualmente solo su una base volontaristica e spontanea senza alcuna imposizione in tal senso da parte di tribunali o servizi sociali. La figlia, in sostanza, desiderava e aspettava una "prova di interesse sincero ed amorevole" da parte del padre. Pei i giudici, che confermano la sentenza di appello, la sistemazione presso il padre è conforme all"equilibrio ed alla serenità del minore che viene ascoltato e riferisce il desiderio di poter essere collocato presso la casa paterna, anche per le attenzioni ricevute da una serie di figure descritte e vissute come affettive. Considerazioni confermate dalla CTU. I giudici ritengono che l'audizione dei minori, come prevista dall'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, sia una procedura necessaria nei procedimenti che li riguardano, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77/2003, nonché dell'art. 155-sexies c.c. Ne consegue per i giudici che l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità tra le più rilevanti di riconoscimento del suo diritto fondamentale a essere informato e a esprimere le proprie opinioni nei procedimento che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse.

Nel caso della PAS sostiene il noto neuropsichiatra infantile prof. Giovani Battista Camerini (37) bisogna stare molto attenti a non enfatizzare il peso da attribuire all"ascolto del minore. La capacità di discernimento deve essere sempre valutata in relazione alla concreta vicenda umana e processuale in cui il minore è calato, ovvero alla luce dei condizionamenti ed alle pressioni alle quali viene sottoposto in quella specifica situazione. Ascoltare un minore corrisponde al soddisfacimento di un suo diritto ma non equivale al riconoscimento di un"autonoma capacità di autodeterminazione, attribuendogli un potere decisionale che non può essergli riconosciuto. In molti casi il minore non fa altro che ricalcare ad eco le suggestioni ricevute da un genitore.

 9. Il ruolo della consulenza d"ufficio nella P.A.S.

Quando  il minore  è audito, spereremmo sempre che sia  libero da suggestioni, soprattutto quando si esclude uno dei genitori da rapporti significativi. In tal senso forse meglio una C.T.U. Il  prof.  Giovanni Battista Camerini, (37)  suggerisce che prima della fase adolescenziale il CTU dovrà chiedere al bambino o alla  bambina di narrare, ciò che fa con l"uno o l"altro genitore, di riferire che cosa cambierebbe in ognuno di loro, in che cosa pensa di somigliare a loro. Se viene espresso un aperto rifiuto si tratta di esplorare le ragioni e le motivazioni, senza mostrare di aderire acriticamente, alle volontà espresse.

Il trilogue play test clinico costituisce un ottimo strumento di osservazione delle relazioni triadiche ed in consulenza può consentire di tutelare le esigenze del minore. In caso di ragazzi più grandi già entrati in fase adolescenziale, l"ascolto delle posizioni e degli orientamenti che vengono espressi non dovrà necessariamente coniugarsi con il richiamo anche ai doveri che il minore deve osservare, come sanciti dall"art. 315 bis c.c.: in primis il dovere di rispettare i genitori. Il rifiuto di un genitore se non giustificato da valide ed obiettive ragioni non può estendersi nemmeno in un"ultra quattordicenne ad un sottrarsi a qualsiasi forma di contatto.

La consulenza in tema di affidamento, (44) a differenza della consulenza sul contributo all"affidamento, avente riflessi per il giudice solo sul piano della prova, aveva prima del 2006 un accentuata propensione ad influenzare il dictum giudiziale più che la prova dei fatti rilevanti. Oggi l"eccessiva discrezionalità lasciata al giudice e quindi al consulente circa l"affidamento è ridimensionata dopo la legge n. 54 del 2006 che assorbe nella fase della normazione generale ed astratta opzioni che un tempo erano abbandonate al giudice: la scelta come regola assolutamente generale ed astratta dell"affidamento condiviso, ovvero della bigenitorialità, anche in ordine all"esercizio della potestà che solo per l"amministrazione ordinaria può adottare un modello di monogenitorialità. La monogenitorialità è fatta salva esclusivamente nell"interesse fondamentale del minore e deve essere oggetto di un"espressa motivazione.  La consulenza può rappresentare uno strumento molto utile purché venga disposta con la dovuta tempestività, ovvero prima che la situazione sia radicata e stabilizzata. Gli strumenti in mano al consulente sono diversi.(45) Da un lato si posso realizzare incontri tra genitore rifiutato e figlio in corso di perizia eventualmente ricorrendo ad un ausiliario con funzioni di "traghettatore" e di osservatore delle dinamiche relazionali che si sviluppano. Dall"altro la consulenza può rappresentare  di per sé, una occasione  di riflessione sul reale interesse dei figli e sui rischi evolutivi insiti nel mantenimento della posizione di esclusione verso un genitore. In alcuni casi si possono disporre, previo assenso, del giudice diverse modalità di incontro e di visita verificandone l"andamento e gli esiti. E" però di solito difficile  che queste situazioni  possano risolversi entro i rituali tre o quattro mesi, né risulta spesso possibile prolungare la consulenza oltre un certo limite alla luce delle necessità giudiziarie. Sono allora praticabili altre procedure: o un coinvolgimento dei servizi sociali (per un monitoraggio con possibilità di relazionare al giudice) o una riapertura della consulenza dopo un periodo sei mesi-un anno allo scopo di valutare gli esiti dei provvedimenti disposti ad apportare modifiche al programma di frequentazione e di visite. Sul ruolo del consulente interessante è una pronuncia del  Tribunale di Treviso, (n. 3547 del 18.06.2015, nota 46) Nel corso di una lunga controversia sull"affido dei figli una madre aveva cercato di escludere il padre manipolando i figli contro di lui e trasferendosi all"estero. Alla fine però i figli sono stati fatti rientrare e la madre è stata dichiarata decaduta dalla potestà genitoriale. Dopo aver perso la causa la madre tentato di ottenere un risarcimento per danni da 1,5 milioni di euro dal consulente che aveva accertato l"esistenza dell"alienazione parentale sui figli accusandolo di grave negligenza per aver diagnosticato una malattia che non esiste. Si tratta della tipica affermazione apodittica dei negazionisti della P.A.S. che in questo caso è stata brandita come un arma per intimidire la coraggiosa professionista che aveva salvato i figli dal manipolatore. La domanda di risarcimento è stata però respinta e il Tribunale di Treviso ha condannato la madre a risarcire al CTU 18 mila euro. Nel rigettare le pretese il Tribunale veneto ha osservato come al di là, delle apodittiche affermazioni circa la sua esistenza o non esistenza la P.A.S. è una teoria scientifica indicata come sindrome e come tale è riconosciuta in molti paesi del mondo. Il Tribunale dà atto che esiste in realtà una parte della dottrina scientifica che pur riconoscendo la dannosità di comportamenti alienanti da parte di uno dei genitori ha affermato la configurabilità di una vera e propria sindrome. C"è dunque un diverso modo di leggere un fenomeno comportamentale ma il contrasto in dottrina non può essere considerato un comportamento di inadeguatezza del ragionamento scientifico. Il proprium della valutazione giudiziale (47) sulla consulenza tecnica consisterebbe non tanto nella valutazione dell"elaborato peritale, quanto piuttosto nella selezione della corretta professionalità dell'esperto, e quindi nella nomina di una persona che possieda qualificate competenze, in modo tale che si possa ragionevolmente attendere un apporto scientifico affidabile da parte di costui. Un tale sindacato potrebbe risultare in linea con la preparazione tecnica del giudice, in quanto non lo obbligherebbe a vestire i panni dello scienziato o quelli dell'«apprendista stregone»  ( ma semplicemente gli imporrebbe di scegliere la scienza più idonea a ricostruire correttamente i fatti di causa .Sarebbe quindi quanto mai opportuno confinare entro parametri certi, o quantomeno predeterminabili, la valutazione sulla scienza che il giudice è chiamato a compiere nel momento in cui sceglie il suo perito, e questo al duplice fine di agevolarlo ed evitare che ricorra al proprio arbitrio  In assenza di una norma che preveda in positivo tali criteri, il dato più rassicurante in punto di contemperamento tra garanzia del contraddittorio e affidabilità dell"apporto tecnico del consulente risiede forse nel ruolo di ausiliario che questi è chiamato a rivestire all"interno del processo Tale ruolo garantirebbe infatti l"imparzialità del consulente d"ufficio , in quanto trovano applicazione nei suoi riguardi le norme sull'astensione e la ricusazione del giudice

L"applicabilità al consulente di questo scarno nucleo normativo non può però costituire un presupposto per sé solo sufficiente al fine di affermare la professionalità del consulente e la generale affidabilità della sua perizia

 10. Conclusione

In conclusione possiamo dire che l"A.P. è un vero e proprio abuso che esercitato su bambini piccoli, nei casi più gravi può portare a danni come depressione, bassa autostima, ansia, fino ad arrivare ad una psicopatologia di tipo paranoideo. Un bambino che desidera stare con entrambi i genitori, ma viene messo nella condizione di fare una scelta, stare con il genitore "buono" o con il genitore "cattivo", non potrà sviluppare una libera capacità di scelta da adulto né amore per se stesso, perché in qualche modo si sentirà responsabile della scelta e capirà di essere stato utilizzato per fini egoistici dei propri genitori. Imparerà così che l"amore sarà condizionato a qualcosa, che si può essere amati solo nella condizione in cui serva a qualcosa. Come operatori del diritto e come genitori facciamo in modo che i minori di cui ci occupiamo anche indirettamente ed i nostri figli non si facciano carico dei problemi che intercorrono tra noi genitori. Dobbiamo essere noi adulti ad occuparci delle nostre difficoltà relazionali, dei nostri fastidi spesso legati a mancanze e a rabbia per  aver fatto scelte sbagliate. Facciamo in modo che le conseguenze delle nostre scelte anche quando non sono in linea con ciò che volevamo, non ricadano sui nostri figli.

I bambini vanno protetti e sostenuti. Parliamo con loro e spieghiamo cosa accade all"interno delle mura domestica, non nascondiamo le nostre paure. Cerchiamo di essere adulti responsabili e sostenitori della libertà di amare ed essere amati. A genitori, oggi troppo presi, non basta la presenza fisica occorre anche la presenza e la vicinanza emotiva con i nostri figli, bisogna ascoltare e guardare negli occhi i bambini, giocare con loro e accompagnarli nei loro sogni ad occhi aperti, nella scoperta del mondo, bisogna accogliere le loro paure ed i loro incubi, e dare risposte e rassicurazioni. E bisogna insegnare loro la pazienza ed il valore dell"attesa.  Sottolinea il prof Eligio Resta (48) in un bellissimo saggio dedicato all' Infanzia ferita": "Il mondo dal punto di vista del bambino non e' semplicemente il passaggio provvisorio verso l'eta' adulta , non e' la fase che prepara ed annuncia il progresso ; questo e' quello che gli adulti credono ed e' proprio questo che spiega perche' la nostra societa' che pure si definisce puero-centrica, non ha fatto altro che trasformare il rapporto con l'infanzia in una costante pedagogia" e aggiungerei , sintonico al nostro discettare ...in una costante visione del minore oggetto di contesa. I diritti che spesso sono riconosciuti al minore, prescindono dal suo pensiero e dalla sua volonta'. Tali diritti sono previsti in un pensiero che e' pur sempre quello dell'adulto. Nella convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1989,  spesso vi e' il riferimento a regole adatte solo agli adulti e non anche ai minori , soprattutto nella fascia di eta' compresa tra i cinque ed i dodici anni che piu' necessita di protezione. Un chiaro e lapalissiano esempio e' l'art. 15 , la liberta' di associazione e riunione pacifica che fa intendere il divieto di associazioni sediziose, si tratta di "regole sacrosante ma spesso roboanti e buffe molto piu' adatte quali modelli per comunita'politiche viziate che non per ragazzi della via Paal o per allegre comitive di calciatori". Un secolo di «carte», convenzioni, statuti ha sancito diritti e tutele nei confronti dell'infanzia. In realtà, nel mondo della globalizzazione, la sua condizione è ancora più degradata. Scandalo ed emergenza criminale coprono la disattenzione quotidiana nella sfera pubblica e nella vita privata e l'infanzia è sempre più vittima del mondo adulto.

Con Marian Wright Edelman (fondatore e presidente della Children"s Defense Found), possiamo dire:  "Non hai avuto modo di scegliere i genitori che ti sei trovato, ma hai modo di poter scegliere quale genitore potrai essere."

 

NOTE

(1)Sentenze CEDU: Santilli ( ricorso n. 51930/10); Manuello–Nevi (ricorso n. 107/2010); Cincimino ( ricorso n. 68884/13) su sito Ministero della Giustizia ( www.giustizia.it);

(2)  M. Santini: Sindrome di Alienazione Genitoriale , 11.04.2013 in  www altalex . com

(3) M. G. Ruo: Riflessioni a margine della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell"uomo e procedimenti di famiglia in Diritto e  famiglia, fasc.3, 2006, pag. 1482;

(4) Cass. Civ. sent. 8.04.2016 n. 6919 in Diritto & Giustizia 2016 e Giustizia Civ Massimario 2016 con nota di P. Paleari. : Affidamento e PAS :  il giudice deve accertarne la veridicità Diritto & Giustizia, fasc.18, 2016, pag. 69;

(5) M.A. Mazzola: Alienazione parentale non si scherza più in www. Persona e danno. it;

(6) Cass. Civ. sent. 25.02.2015 n.3810 in Diritto & Giustizia 2015 e Giustizia Civ Massimario 2015;

(7) Cass.Civ. sent. 24.12.2013 n.28651  in Diritto & Giustizia 2013 e Giustizia Civ Massimario 2013;

(8) Cass.Civ. sent. 20.03.2013 n. 7041 in Diritto & Giustizia 2013 e Giustizia Civ Massimario 2013 con note di  C Cicero, M. Rinaldo : Principio di bigenitorialità, conflitto di coppia e sindrome di alienazione parentale Diritto di famiglia e della persone ( II) fasc. 3 2013 pag 871e nota di Casaburi Geremia in Foro it fasc.5, 2013 pag.1495;

(9) Cass.Civ. sent. 3.02.2012 n.1652  in Giustizia Civile Mass. 2012, 2 ,126;

(10) Cass.Civ.sez lavoro sent. 25.08.2005 n. 17324 in Giustizia Civile 2006 7-8 I 1621

(11)  Cass.Civ.sez I sent. 04.05.2009 n. 1022 in Redazione Giuffrè - De Jure 2016;

(12) Corte d"Appello di Brescia decreto n. 103 del 3-17. maggio 2013 in Diritto di Famiglia e delle Persone (II) 2013, 3 , I, 926;

(13) Cass.Civ sent. 8.03.2013 n.5847 in Diritto & Giustizia 2013 e Giustizia Civile Mass.2013;

(14) Trib Cosenza sez II decreto sent.29.07.2015 n. 778, Appello Catanzaro sez I decreto 18.12.2015 n° 3405; Trib Roma sen. 27.06.2014; App Roma  sent. 29.11.2006 : in Redazione Giuffrè - De Jure 2016);

(15) Trib Cosenza sentenza 29.07.2015 n.778 in Redazione Giuffrè - De Jure 2016) e nota M. Corriere: L"alienazione parentale riconosciuta dal Tribunale di Cosenza –in  www.la legge uguale per tutti

(16) Trib.Bari sent. 6.09.2012 n.2771 in Giurisprudenza barese . it 2013;

(17) Trib. Trani sent. 26.04.2016 n.5149 in  Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(18) Corte Appello Catanzaro sez I decreto n.3405  del 4/18.12.2015 in Diritto & Giustizia 2016;

(19) Tribunale di Potenza ordinanza 1816/2016 in  Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(20) Tribunale di Roma con la sentenza 18799/2016 dell"11 ottobre 2016.

in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(21) Tribunale di Milano, sex. IX, sentenza 5 ottobre 2016 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(22) Trib.di Messina sez I sent.del 5.04.2007 n. 597 in Foro it.2008, I, 1689;

(23) Tribunale di Varese 11 luglio 2005 in Dir. e Giust., 2005, 28;

(24) Tribunale di Messina 9 dicembre 2003 in Giurisprudenza locale 2004;

(25) Trib. Napoli 17 ottobre 1987 in Dir. e Giust. 1987, 984;

(26) Tribunale Napoli, 18 settembre 2003 in Giur. napoletana 2004, 63;

(27) Tribunale Venezia, 22 gennaio 2003, in Famiglia e diritto, 2003, 241;

(28)  G. Giacobbe: Affidamento condiviso ed esclusivo, cit., 1728;

(29) Patti, L. Rossi Carleo: L'affidamento condiviso, cit., 50 ss., e più di recente, Id., Provvedimenti riguardo ai figli, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, a cura di Galgano,Bologna-Roma,2010;

(30) Corte App. Bari sez famiglia sent. 15.07.2013 n.794 in iurisprudenza barese . it 2013;

(31) Cass. Civ.sent. 27.06.2006 n.14840 in Giustizia Civile Mass.2006, 6;

(32) Cass. Civ. sent 15.01.1998 n. 317 in Diritto e Famiglia 1999, 77;

(33) Trib. Messina sent.27.07.2012 n. 1584 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(34) Cass. Civ. sent. del 22 settembre 2016 n. 18559, in www.diritto e  giustizia . it

(35) G. Gulotta,: La sindrome di alienazione genitoriale: definizione e descrizione. Pianeta infanzia. in Questioni e documenti, 4, Istituto degli Innocenti di Firenze, 1998;,

(36) G. Gullotta A. Cavedon, M. Liberatore,: La sindrome da alienazione parentale(Pas). In Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno all'altro genitore, 2008;

(37) G.B. Camerini: Manuale di valutazione delle capacità genitoriali e Bambini vittime e testimoni. Manuale operativo. Metodi e strumenti per la valutazione della idoneità testimoniale;

(38) R.A. Gardner: Recent Trends in Divorce and Custody Litigation. Academy Forum, 1985, 29;

(39) M. Finocchiaro: L'audizione del minore e la Convenzione sui diritti del fanciullo,inVitanot.,1991,834ss.;

(40) Cass.Civ. 25.05.2016 n.10817 in Diritto & Giustizia 2016;

(41) Trib Torino sent 4.04.2016  con nota dott. Buffone in Giurisprudenza Il  caso . it

(42) Cass. Civ., sent. n. 2010 del 7 ottobre 2016 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(43) Cass., sez. I Civile, sentenza n. 2270 del 2 febbraio 2017 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(44) C.Cecchella: La consulenza nelle controversie di famiglia 2015;

(45) A. Cavedon, T. Magro,: Dalla separazione all'alienazione parentale. Come giungere a una valutazione peritale, 2010;

(46) Trib.Treviso sent. n. 3547 del 18.06.2015 in Sole 24 h. del 24.07.2015;

(47) G. Zaccaria: La professionalità del consulente: una scelta del giudice

Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.2, 2015, pag. 699

(48 ) E.Resta : L'infanzia ferita ed 1998

NOTE

(1)Sentenze CEDU: Santilli ( ricorso n. 51930/10); Manuello–Nevi (ricorso n. 107/2010); Cincimino ( ricorso n. 68884/13) su sito Ministero della Giustizia (www. giustizia . it);

(2)  M. Santini:  Sindrome di Alienazione Genitoriale , 11.04.2013 in www. altalex . com

(3) M. G. Ruo: Riflessioni a margine della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell"uomo e procedimenti di famiglia  in Diritto e  famiglia, fasc.3, 2006, pag. 1482;

(4) Cass. Civ. sent. 8.04.2016 n. 6919 in Diritto & Giustizia 2016 e Giustizia Civ Massimario 2016 con nota di P. Paleari. : Affidamento e PAS :  il giudice deve accertarne la veridicità Diritto & Giustizia, fasc.18, 2016, pag. 69;

(5) M.A. Mazzola:  Alienazione parentale non si scherza più in www. Persona e danno.it;

(6) Cass.Civ. sent. 25.02.2015 n.3810 in Diritto & Giustizia 2015 e Giustizia Civ Massimario 2015;

(7) Cass.Civ. sent. 24.12.2013 n.28651  in Diritto & Giustizia 2013 e Giustizia Civ Massimario 2013;

(8) Cass.Civ. sent. 20.03.2013 n. 7041 in Diritto & Giustizia 2013 e Giustizia Civ Massimario 2013 con note di  C Cicero, M. Rinaldo : Principio di bigenitorialità, conflitto di coppia e sindrome di alienazione parentale Diritto di famiglia e della persone ( II) fasc. 3 2013 pag 871e nota di Casaburi Geremia in Foro it fasc.5, 2013 pag.1495;

(9) Cass.Civ. sent. 3.02.2012 n.1652  in Giustizia Civile Mass. 2012, 2 ,126;

(10) Cass.Civ.sez lavoro sent. 25.08.2005 n. 17324 in Giustizia Civile 2006 7-8 I 1621

(11)  Cass.Civ.sez I sent. 04.05.2009 n. 1022 in Redazione Giuffrè - De Jure 2016;

(12) Corte d"Appello di Brescia decreto n. 103 del 3-17. maggio 2013 in Diritto di Famiglia e delle Persone (II) 2013, 3 , I, 926;

(13) Cass.Civ sent. 8.03.2013 n.5847 in Diritto & Giustizia 2013 e Giustizia Civile Mass.2013;

(14) Trib Cosenza sez II decreto sent.29.07.2015 n. 778, Appello Catanzaro sez I decreto 18.12.2015 n° 3405; Trib Roma sen. 27.06.2014; App Roma  sent. 29.11.2006 : in Redazione Giuffrè - De Jure 2016);

(15) Trib Cosenza sentenza 29.07.2015 n.778 in Redazione Giuffrè - De Jure 2016) e nota M. Corriere: L"alienazione parentale riconosciuta dal Tribunale di Cosenza –in www . la legge uguale per tutti

(16) Trib.Bari sent. 6.09.2012 n.2771 in Giurisprudenzabarese.it 2013;

(17) Trib. Trani sent. 26.04.2016 n.5149 in  Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(18) Corte Appello Catanzaro sez I decreto n.3405  del 4/18.12.2015 in Diritto & Giustizia 2016;

(19) Tribunale di Potenza  ordinanza 1816/2016 in  Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(20) Tribunale di Roma con la sentenza 18799/2016 dell"11 ottobre 2016.

in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(21) Tribunale di Milano, sex. IX, sentenza 5 ottobre 2016 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(22) Trib.di Messina sez I sent.del 5.04.2007 n. 597 in Foro it.2008, I, 1689;

(23) Tribunale di Varese 11 luglio 2005 in Dir. e Giust., 2005, 28;

(24) Tribunale di Messina 9 dicembre 2003 in Giurisprudenza locale 2004;

(25) Trib. Napoli 17 ottobre 1987 in Dir. e Giust. 1987, 984;

(26) Tribunale Napoli, 18 settembre 2003 in Giur. napoletana 2004, 63;

(27) Tribunale Venezia, 22 gennaio 2003, in Famiglia e diritto, 2003, 241;

(28)  G. Giacobbe: Affidamento condiviso ed esclusivo, cit., 1728;

(29) Patti, L. Rossi Carleo: L'affidamento condiviso, cit., 50 ss., e più di recente, Id., Provvedimenti riguardo ai figli, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, a cura di Galgano,Bologna-Roma,2010;

(30) Corte App. Bari sez famiglia sent. 15.07.2013 n.794 in  Giurisprudenzabarese.it. 2013;

(31) Cass. Civ.sent. 27.06.2006 n.14840 in Giustizia Civile Mass.2006, 6;

(32) Cass. Civ. sent. del 22 settembre 2016 n. 18559, in www.diritto e giustizia.it

(33) Cass. Civ., sent. n. 2010 del 7 ottobre 2016 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(34) Cass., sez. I Civile, sentenza n. 2270 del 2 febbraio 2017 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(35) Cass. Civ. sent 15.01.1998 n. 317 in Diritto e Famiglia 1999, 77;

(36) Trib. Messina sent.27.07.2012 n. 1584 in Redazione Giuffrè – De Jure 2016

(37) G. Gulotta,: La sindrome di alienazione genitoriale: definizione e descrizione. Pianeta infanzia. in Questioni e documenti, 4, Istituto degli Innocenti di Firenze, 1998;,

(38) G. Gullotta A. Cavedon, M. Liberatore,: La sindrome da alienazione parentale(Pas). In Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno all'altro genitore, 2008;

(39) G.B. Camerini: Manuale di valutazione delle capacità genitoriali e Bambini vittime e testimoni. Manuale operativo. Metodi e strumenti per la valutazione della idoneità testimoniale;

(40) R.A. Gardner: Recent Trends in Divorce and Custody Litigation. Academy Forum, 1985, 29;

(41) M. Finocchiaro: L'audizione del minore e la Convenzione sui diritti del fanciullo,inVitanot.,1991,834ss.;

(42) Cass.Civ. 25.05.2016 n.10817 in Diritto & Giustizia 2016;

(43) Trib Torino sent 4.04.2016  con nota dott. Buffone in Giurisprudenza Il caso.it

(44) C.Cecchella: La consulenza nelle controversie di famiglia 2015;

(45) A. Cavedon, T. Magro,: Dalla separazione all'alienazione parentale. Come giungere a una valutazione peritale, 2010;

(46) Trib.Treviso sent. n. 3547 del 18.06.2015 in Sole 24 h. del 24.07.2015;

(47) G. Zaccaria: La professionalità del consulente: una scelta del giudice

Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.2, 2015, pag. 699

(48 ) E.Resta : L'infanzia ferita ed 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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