-  Redazione P&D  -  07/02/2015

LA RESPONSABILITÀ DEL PROFESSIONISTA INTELLETTUALE – Luigi TRISOLINO

-La struttura del Titolo III ("Del lavoro autonomo") del Libro V del codice civile

-La responsabilità per inadempimento del prestatore d"opera intellettuale: dai principi alle regole

-I beni giuridici fondamentali tutelati dal legislatore costituzionale e dalla giurisprudenza italiana

 

L"ordinamento costituzionale italiano presenta, sin dal suo "incipit" (art. 1 Cost.), un fondante riferimento espresso all"elemento lavoristico, bene della vita a fronte del quale si sviluppa una complessa, diversificata dialettica alla ricerca degli adeguati equilibri tra le esigenze espresse nel riconoscimento e nella garanzia dei diritti inviolabili dell"essere umano (art. 2 Cost., parte prima), e le esigenze della doverosità, tali ultime rintracciabili nell"adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, anche economica e sociale (art. 2 Cost., parte seconda).

Malgrado nel c.d. mondo della vita difficilmente si riesce a scindere tipologie lavoristiche annettibili nella loro totalità operativa in seno alla categoria delle professioni intellettuali, ossia staccate da attività materiali o anche proprio manuali, tendenzialmente e, anzitutto, principalmente può però riscontrarsi in varie figure professionali una caratterizzazione operativa di matrice intellettuale che assorbe le incombenze materialistiche e manualistiche. Queste ultime, invero, se pure presenti, risultano dei risvolti funzionali o delle modalità di incidenza dell"azione dell"intelletto nel mondo fenomenico, oggetto dell"agire dei cultori delle sapienze professionali.

Fungendo da nomopoietico riflesso formale, attraverso il proprio lavoro di sistemazione categoriale, il legislatore codicistico ha inserito nel Libro V, dedicato al lavoro, il Titolo III ("Del lavoro autonomo"), suddiviso in due Capi, il primo dei quali concerne le disposizioni generali e il secondo dei quali attiene alla disciplina dell"esercizio delle professioni cc.dd. intellettuali. Se da un lato, e semplicisticamente, potrebbe rilevarsi una dipendenza concettuale, tipica del rapporto logico di "genus ad speciem", tra l"oggetto della disciplina del Capo II nei confronti del Capo I, il quale ultimo fungerebbe da "genus", dall"altro lato, però, a fronte della complessità del reale sviluppo delle relazioni umane peculiarmente qualificate, potrebbe sostenersi la maggiore estensione della sfera di efficacia delle norme del Capo sul lavoro dei professionisti cc.dd. intellettuali rispetto alla categoria del lavoro autonomo, al quale è dedicato (e, conseguentemente, ma in realtà apparentemente, limitato) "expressis verbis" il complessivo Titolo III. Quest"ultimo rilievo, invero, trova riscontro nella incidenza dei principi e delle regole specifiche, rintracciabili nelle disposizioni normative sulla responsabilità del prestatore d"opera intellettuale (art. 2236 c.c.), anche al di fuori dell"universo del lavoro autonomo: si pensi, ad esempio, al caso del medico dipendente, inquadrato in un ente, privato, convenzionato o pubblico; o al caso di un ingegnere e di un architetto assunti in una c.d. società di ingegneria e architettura.

Avendo le professioni intellettuali dei propri peculiari dei criteri di imputazione e dei particolari parametri di quantificazione della responsabilità, a seconda del tipo di attività svolta e a seconda del tipo di beni della vita nei cui entroterra ontologici i diversi saperi tecnici vanno ad incidere, anche il regime giuridico della responsabilità contrattuale assume una pregnanza connessa al tipo di diligenza richiesto nella organizzata, o comunque professionale opera di risoluzione di problemi della vita delle persone.

Regola miliare cardine del sistema codicistico della responsabilità derivante dall"inadempimento, o dall"inesatto adempimento, delle prestazioni che formano oggetto di rapporti giuridici obbligatori, a rigore della logica dell"impianto codicistico medesimo, è l"art. 1218, il quale dispone che se il debitore non esegue con esattezza la prestazione dovuta, è tenuto a risarcire il danno che col proprio inadempimento o col proprio non esatto adempimento ha causato. Tale concetto risarcitorio, affratellabile strutturalmente con il dettato del greggio dispositivo dell"art. 2043 in tema di responsabilità da illecito extracontrattuale (o aquiliano), trova, nella sua seconda parte, un disposto normativo utile ad innescare delle idonee cause di salvezza. Il debitore, parte di un complesso piano cooperativo, stretto ad un rapporto tra soggetti e caratterizzato dal vincolo giuridico obbligatorio, è sollevato dalla responsabilità prevista in via generale "ex lege", se prova che l"inadempimento o il ritardo nell"adempimento, o qualsiasi inesattezza nella fase esecutiva del rapporto obbligatorio, siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Sul debitore, quindi, grava l"onere probatorio circa la individuazione, e ricostruzione, dell"elemento oggettivo fattuale (al debitore medesimo non imputabile) al quale deve risultare connessa conseguentemente, con razionale evidenza, attraverso un legame logico di causalità adeguata, o di regolarità causale (pure da ricostruire in aderenza ai criteri della pregnanza dell"evidenza o del più probabile che non, quando non della certezza oltre ogni ragionevole dubbio), la impossibilità dell"adempimento.

Il piano antropico delle responsabilità da inadempimento ha maturato, nei millenni, dei parametri generici e generali intorno ai quali connettere i profili della doverosità, e anche della più specifica categoria logica della obbligatorietà: si pensi alla figura della "fides bona" risalente alle antichissime fonti della romanità giuridica. Nella struttura del codice civile italiano attualmente in vigore, poi, norma fondamentale in tema di adeguatezza ed equità dell"atteggiamento cooperativo del debitore, ai fini del soddisfacimento del creditore, fruitore di una prestazione a fronte delle proprie esigenze attinenti a beni della vita giuridicamente non immeritevoli, risulta la disposizione dalla cui interpretazione si ricava il canone-criterio della diligenza, l"art. 1176.

La struttura di tale ultima disposizione, invero, si presenta come complessa, se non proprio come bipolare. Nel primo comma, infatti, l"art. 1176 sancisce che il debitore, nell"adempimento dell"obbligazione – e quindi nella fase esecutiva del rapporto obbligatorio – deve assumere tutti quegli accorgimenti e comportamenti operativi del c.d. uomo medio, figura se non mediocre, comunque non altamente qualificata in senso specifico: ciò per quanto riguarda la generalità delle obbligazioni generiche. Il dettato codicistico addirittura utilizza l"espressione linguistica – indicativa – del debitore che deve usare la diligenza del buon padre di famiglia; come a voler indicare il dovere di apprestare delle vere e proprie modalità di svolgimento operativo di una incombenza legalmente riconosciuta e garantita in favore del soggetto creditore, come a voler compensare la genericità della formula indefinita, adottata nel testo legislativo, con tutto un inespresso patrimonio di "modi operandi" caratterizzati dalle soppesate adeguatezze della esperienza umana, nel suo vivere civile in società.

Il secondo comma dell"art. 1176, invece, limita il raggio di incidenza della propria operatività: esso dispone, infatti, che nell"adempimento delle obbligazioni concernenti l"esercizio di un"attività caratterizzata dalla professionalità (di qualsiasi tipo questa sia, e secondo le specifiche "leges artis" rintracciabili in ogni campo dello scibile umano), la diligenza del soggetto prestatore della propria opera (debitore) deve essere valutata con riguardo alla natura dell"attività prestata. Si è in presenza di una espressione legislativa che la dottrina ha racchiuso nell"espressione indicata come diligenza professionale. Quest"ultima risulta essere una più alta e intensa diligenza, con obblighi specifici spesso disciplinati normativamente in seno alla legislazione speciale, anzitutto in settori di attività cc.dd. sensibili, o comunque caratterizzate da peculiari tecnicismi e qualificanti specializzazioni e/o abilitazioni di natura professionale.

La dimensione del criterio legale della diligenza deve sicuramente essere letta in combinato disposto, anzitutto logico, con la più specifica dimensione negozialcontrattuale della ingegneria concettuale del codice civile, nel settore sistematico che si occupa della disciplina della contrattualistica in generale. Nella siffatta dimensione l"art. 1176, in particolare, va appunto letto insieme all"art. 1376, il quale ultimo dispone che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, clausola generale quest"ultima, che deve ispirare la stipula e l"inverazione – attraverso la fase esecutiva – dei diversi "dicta" delle parti nel programma contrattuale. Malgrado nell"art. 1376 il legislatore del 1942 abbia menzionato soltanto la fase esecutiva, disponendo appunto che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, il principio di buona fede, reso regola direttamente precettiva, nonché imperativa, nel sistema ordinamentale, militando attraverso la tradizione civilistica più raffinata a diverse intensità, invero, ha trovato la propria rifondazione ontologica nella iscrizione concettuale in seno al principio fondamentale costituzionale (dal 1948, con l"entrata in vigore della Carta costituzionale) della solidarietà ai sensi dell"art. 2 Cost. Non risulterà in dissonanza con il testo dell"art. 1176 (che segnala la fase esecutiva del contratto), il testo di un articolo invero precedente nella serie codicistica, ossia l"art. 1337, il quale dispone che le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del programma contrattuale, devono comportarsi secondo buona fede. Quest"ultima, quindi, clausola generale ricorrente.

In tema di contratti d"opera professionali, varrà, in generale, oltre che "prima facie", la menzione del dettato normativo dell"art. 2222. Tale articolo, infatti, dispone in modo descrittivo quando si è in presenza di un contratto d"opera (in generale): la situazione della vita descritta ai fini della disciplina codicistica del Titolo III del Libro V, invero, indica il dato della presenza di una persona che si obbliga a compiere un"opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente; ulteriore elemento costitutivo, formante la fattispecie descrittiva in questione, risulta essere il dato fattuale del corrispettivo che la parte committente è tenuta a versare a fronte della specifica prestazione obbligatoria che il prestatore d"opera deve svolgere. Tale ultimo rilievo, importante indice della riferibilità della legislazione civilistica "de qua" al mondo dell"economia e degli affari, potrebbe essere letto "a contrario" nelle disposizioni concernenti il mondo delle liberalità, le cui logiche sono senza dubbio affrontate dal sistema giuridico con apporti sanzionatori-risarcitori meno stringenti. Anche se non mancano i casi di prestazioni che si è scelto di eseguire a titolo gratuito, o comunque a titolo di liberalità, ma che vincolano necessariamente il prestatore d"opera ad attivarsi in modo specificamente e tecnicamente diligente, come nel caso dell"avvocato che in sentimento di amicizia offre, senza remunerazione, il proprio servizio di assistenza e difesa tecnica in giudizio in favore di un proprio amico (si pensi ai diritti fondamentali di cui agli artt. 24 e 113 Cost., in connessione logica con il principio di ragionevolezza, ricavabile ermeneuticamente dall"art. 3 Cost.).

Il Capo II dedicato alle professioni intellettuali si apre con l"art. 2229, nel quale si evince una scelta di politica legislativa retta dal principio di stretta legalità, in senso tassativo: spesso l"esercizio delle professioni "de quibus" risulta non prontamente generalizzato nelle facoltà operative lavoristiche del "quisque", privo di titoli o di abilitazioni previsti per legge. E così si disciplinano gli aspetti strutturali, o anche burocratici, di inquadramento delle professioni in albi. È la legge a determinare quali sono le professioni per il cui esercizio è necessaria l"iscrizione in questi ultimi. L"accertamento dei requisiti utili alla iscrizione negli albi o negli elenchi (a seconda dei casi), la tenuta dei medesimi nonché il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo diversa disposizione di legge. Quest"ottica – e quest"etica, se si vuole – da più parti letta come di matrice post-corporativistica, nella "mens legislatoris", è stata ideata, passando attraverso una plurisecolare tradizione italica, quale congegno utile al perseguimento del rigore tecnico richiesto agli esercenti attività caratterizzate da peculiari "leges artis", combinate al più intenso criterio di imputabilità di eventuali responsabilità da inadempimento, proprie – nel sistema vigente – del cpv. dell"art. 1176 c.c. Ad attenuare la portata meta-paternalistica che dalle critiche di diverse voci, anche autorevoli, si è attribuita al sistema di gestione del cosmo delle professioni strutturate in associazioni (si pensi, ad esempio, ed "ex multis", all"Ordine degli avvocati), il legislatore ha posto delle garanzie in un"ottica rispondente alla più generale vocazione di Stato di diritto (costituzionale) di ispirazione personologica: il terzo comma dell"art. 2229, infatti, sancisce che contro il rifiuto della iscrizione o contro la cancellazione dagli albi o dagli elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importino la perdita o la sospensione del diritto all"esercizio della professione è ammesso ricorso giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalla legislazione speciale.

Il riferimento alle leggi speciali, invero, lo si evince pure dall"art. 2230, secondo comma, il quale fa salva, appunto, l"applicazione delle disposizioni delle leggi speciali. Vengono invero in rilievo importanti e specifici profili di responsabilità a titolo contrattuale in ogni settore, specialmente nei settori caratterizzati da maggiori delicatezze attinenti ai beni giuridici (e quindi ai beni della vita meritevoli di tutela secondo l"ordinamento) coinvolti, oltre che da un elevato grado di tecnicismo.

Intorno alla disposizione normativa del secondo comma dell"art. 2230, così, si sono inevitabilmente sviluppati numerosi e complessi apparati legislativi cc.dd. speciali, utili a regolamentare l"attività doverosa degli operatori professionali nei diversi rami del sapere tecnico.

Si pensi, ad esempio, alla legislazione sulla deontologia dell"avvocato. Quest"ultimo, libero professionista, rientra nella categoria dell"esercente un servizio di pubblica necessità; dispone infatti, a tal riguardo, l"art. 359 c.p., al punto primo, che agli effetti penali sono persone esercenti un servizio di pubblica utilità i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell"opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi. Ritornando al piano eminentemente civilistico, tra il cliente e l"avvocato che questo sceglie per la cura delle proprie questioni legali, invero, sussiste il c.d. contratto di clientela; la dottrina, tuttavia, è anche ferma nel rintracciare un rapporto (o comunque elementi tipici del rapporto contrattuale) di mandato (art. 1710 c.c.), un mandato professionale. L"avvocato sarebbe così tenuto a svolgere la propria opera di natura intellettuale secondo la diligenza cui sarebbe tenuto il mandatario, oltre che ad assolvere al proprio compito di "jure peritus" con l"accorto utilizzo del bagaglio gnoseologico del mondo legale e giudiziario-forense.

Anche il notaio è tenuto a incisivi obblighi di garanzia nei confronti dei soggetti che gli chiedono una prestazione inerente al suo settore istituzionale di attività, la quale invero risulta calibrata in un composto strutturale e funzionale ibrido, con la contemporanea sussistenza di profili tipici del libero professionista e del pubblico ufficiale. Se il notaio fornisce un apporto informativo errato o alterato, non fedele alle effettive risultanze, ad esempio in una voltura catastale, o in un"operazione di analisi storica degli spostamenti patrimoniali di un certo bene immobile, per rientrare nelle logiche legali della continuità delle trascrizioni, o per assicurare ai propri clienti la mancanza di ipoteche o altri pesi su un determinato bene, il professionista notaro risponderà direttamente per inadempimento (da qui, infatti, la obbligatorietà di misure assicurative "ex lege" previste). Il notaio è vincolato al criterio di un elevato e qualificato criterio di diligenza professionale, sia nella fase pre-stipulativa, sia in quella operativa e poi esecutiva, ed è tenuto a garantire la inattaccabilità dell"atto ai fini della conseguente resistibilità del negozio formale oggetto del proprio rogito. A disciplinare la responsabilità notarile, anche in senso disciplinare, si ricordi la legge notarile, ossia la L. n. 89/1913, nonché i vari regolamenti attuativi della stessa.

Altri importanti settori di intervento della c.d. legislazione speciale, poi, sono quelli dell"intermediazione finanziaria. Il D.lgs. n. 58/1998 ha raccolto in un testo unico la vasta materia "de qua", prevedendo, ad esempio, specifici requisiti ai fini della garanzia della professionalità, onorabilità e indipendenza degli esponenti aziendali esercenti funzioni di amministrazione e controllo presso SIM, società di gestione del risparmio, SICAV e SICAF (art. 13). L"espediente tecnico dell"albo, quale soluzione imperativa connessa al piano dell"esigenza di preservamento e perpetuazione in "hapax" sempre più ascendente della specifica diligenza professionale, invero, è stato adottato anche in seno alla normativa in questione (art. 20). I criteri generali informatori dello svolgimento dei servizi e delle attività inerenti i servizi finanziari, poi, sono elencati nell"art. 21 del D.Lgs. n. 58/1998, e le parole-chiave che presto risaltano all"attenzione del giurista alla ricerca di una ricostruzione sistematica dell"ordinamento positivo, sono quelle indicanti i criteri generali che informano la contrattualistica e, più in generale, il diritto codicistico delle obbligazioni: diligenza, correttezza e trasparenza, criteri teleologicamente orientati al servizio efficiente nei confronti dei clienti, ma anche in un"ottica di ordine pubblico, ossia per l"integrità dei mercati.

Malgrado una specifica disposizione normativa codicistica (l"art. 1838, comma quarto), dopo la specificazione dei doveri di garanzia nei confronti degli utenti del servizio bancario (presenti nei commi precedenti), dispone la nullità del patto con cui si esonera la banca dall"osservanza della "ordinaria" diligenza, nell"attività di amministrazione dei titoli, obblighi specifici e sicuramente rispondenti al criterio di cui al comma secondo dell"art. 1176 c.c., invero, sono rintracciabili nella legislazione speciale: si pensi alla normativa raccolta nel testo unico bancario, D.Lgs n. 385/1993. Quest"ultimo, invero, nel Titolo VI, dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali, prevede una struttura normativa volta alla tutela dei soggetti asimmetricamente svantaggiati sul piano anzitutto informativo, oltre che economico, ad esempio attraverso le comunicazioni periodiche alla clientela nei contratti di durata (art. 119).

Uno dei più rilevanti e delicati settori ove la responsabilità del professionista, nel suo "iter" di preparazione, svolgimento ed esecuzione della propria opera professionale di natura intellettuale, assume una fondamentale importanza e una peculiare attenzione da parte della giurisprudenza, tuttavia, è, come pure si rileva in seno al senso comune della generalità dei consociati, il settore dell"attività sanitaria, in particolare medico-chirurgica.

Gli obblighi cui è sottoposto l"operatore sanitario, in particolare il medico, come anzidetto, sono obblighi di natura imperativa. L"obbligo informativo trova il proprio fondamento nei principi di affidamento e di buona fede oggettiva, ancorati ai criteri di diligenza speciale e tecnica del cpv. dell"art. 1176 c.c., direttamente riconducibili all"art. 2 Cost., che costituzionalizza il principio fondamentale della solidarietà. Questa, invero, si coglie in connessione al riconoscimento e alla garanzia dei diritti inviolabili dell"essere umano, quali, ad esempio, il diritto alla propria identità, il diritto alla propria libera e cosciente autodeterminazione, alla libertà personale positiva e negativa, quindi, in quest"ultimo senso, alla libertà da trattamenti invasivi e medicalmente paternalistici, in adesione alle innovative concezioni del rapporto medico-paziente come rapporto di alleanza terapeutica. La solidarietà, tuttavia, si coglie anche in senso opposto, da equilibrare col senso meno tradizionale appena enucleato nelle sue coordinate generali di fondo: si coglie, quindi, come anzidetto, pure in senso tradizionale, come tutela della persona attraverso la protezione della stessa da fattori generalmente considerati quali fonti di malessere, soprattutto (o anche soltanto) se lesive del principio del "neminem laedere". E così si pensi ai doveri inderogabili, anche inerenti la tutela della salute: l"art. 32 Cost. al primo comma sancisce che la Repubblica (ai sensi dell"art. 114, comma 1, Cost. costituita dai Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, tutti enti che devono sentirsi coinvolti) tutela la salute come fondamentale diritto dell"individuo e come interesse della collettività. Se poi si combina questa prescrizione costituzionale con la disposizione codicistica di cui all"art. 5 c.c. (gerarchicamente subordinata), la quale dispone che gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell"integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all"ordine pubblico o al buon costume, si sposterebbe l"asse delle teleologie operative del vincolo obbligatorio del professionista esercente una professione medica, in scienza e coscienza, sulle derive dell"etica pubblica, oggigiorno avvertita come in dissonanza con la libera espressione della personalità del paziente sottoposto al trattamento, oggetto della prestazione qualificata, dedotta in obbligazione. Ciò in virtù del cpv. dell"art. 32 Cost., capoverso che in realtà non soltanto limita ma anche orienta l"azione che il legislatore deve perseguire nella regolamentazione di dettaglio dell"esercizio di chi con il bene giuridico della salute ha a che operare quotidianamente. L"art. 32, cpv., infatti, sancisce che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, e che la legge non può mai violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana (e si ritorna all"art. 2 Cost., sul principio di solidarietà, in combinato disposto con l"art. 13 Cost. sulla libertà personale).

In questo equilibrio complesso e mutevole, in accordo con le evoluzioni dello stato dell"arte medica della ufficiale comunità scientifica internazionale, il prestatore d"opera sanitaria è tenuto a farsi carico di una posizione di garanzia nei confronti dei soggetti con i quali entra in un particolare contatto qualificato (definito dalla giurisprudenza, a partire dagli anni "80 dello scorso secolo, ma in particolare con la sentenza della Cassazione del 1999, seguita da altre pronunce sia di merito che di legittimità, contatto sociale, dalla dottrina ribattezzato spesso quale rapporto contrattuale di fatto).

Anche il personale medico (e pure paramedico ed infermieristico, a seconda del grado di incidenza e di responsabilità nei singoli casi concreti, o nell"evoluzione delle specifiche regolamentazioni settoriali) strutturato, inquadrato organicamente in un ente, privato, convenzionato o pubblico, può così rispondere per responsabilità di natura contrattuale (con i maggiori benefici per il paziente in tema di onere probatorio e di prescrizione dell"azione di risarcimento, decennale -  ai sensi dell"art. 2946 c.c. – e non quinquennale come in caso di responsabilità extracontrattuale). Con l"evoluzione del pensiero giuridico, quindi, veniva superata la tesi tradizionale, la quale concepiva la responsabilità appena indicata quale responsabilità avente natura extracontrattuale, inquadrandola nella fattispecie di cui all"art. 2043 (si dava rilievo soltanto alla fase terminale e patologica della relazione medico-paziente e non all"intero percorso relazionale, ossia all"intero contatto realizzatosi tra il medico e il paziente). A rispondere a titolo di responsabilità contrattuale, così come oramai pacifico in giurisprudenza e nella comunità scientifica dei giuristi, non è più solo il medico libero professionista dal quale un individuo, nelle vesti di paziente, si reca per ottenere una prestazione a fronte di proprie esigenze attinenti alla sfera della salute, della vita, ma anche della propria vita auto-evolutiva e di relazione col proprio io in mezzo agli altri, come nei casi della chirurgia estetica, o anche nei casi di mutamento dei caratteri sessuali (ai sensi della L. n. 164/1982, confermata nel suo fondamento costituzionale da una pronuncia della Corte Costituzionale nello stesso anno, attraverso il rilievo dell"adeguamento del proprio corpo alla propria psiche autodeterminata).

Anche la responsabilità della struttura ospedaliera, dell"ente presso il quale il professionista sanitario appresta le proprie cure nello svolgimento delle proprie mansioni professionali specializzate, ovviamente, risponde a titolo di responsabilità contrattuale: questo punto, invero, è stato sempre pacifico, anche prima degli anni in cui si è consolidata la tesi giurisprudenziale del c.d. contatto sociale qualificato, in verità rinvenibile in più risalenti riflessioni tedesche. Tra il paziente e l"ente di cura o l"ente ospedaliero, infatti, si configura un contratto c.d. di spedalità, ritenuto dai più come atipico, ma in teoria anche inquadrato come contratto complesso innominato, i cui elementi caratterizzanti si rinvengono ora in obblighi di prestazioni mediche, ora ad obblighi di efficienza nella gestione strutturale ed amministrativa dell"ente, ora in servizi accessori ma funzionali alla tutela della cura della persona, come l"alloggio e il vitto, la sicurezza e il riscaldamento degli edifici.

A proposito di responsabilità da amministrazione, e di conseguente posizione di garanzia della gestione caratterizza dai principi di efficacia, efficienza e buon andamento in funzione della cura della persona, a presidio della quale ogni bene giuridico (salute, vita, ecc.) è riconosciuto e garantito, si pensi alla responsabilità del primario. Quest"ultimo è tenuto a operare amministrativamente per l"efficienza e l"adeguatezza strutturale dell"ente in cui gestisce l"amministrazione ospedaliera.

In seno al variegato e complesso cosmo della responsabilità medico-sanitaria, si tende a porre sempre più in rilievo, nelle dosimetrie utili ai riparti di responsabilità, il grado di specializzazione medico-professionale posseduto e attestato dai singoli operatori di corsia. Vengono pure in rilievo nella quotidianità giurisprudenziale figure come la responsabilità da "equipe", ove il principio del reciproco affidamento viene limitato dal controllo reciproco dei componenti il gruppo cooperante simultaneamente, controllo svolto, appunto, in seno alla "equipe".

Per la formazione di una consapevolezza adeguata ed effettiva del paziente, al cui consenso è generalmente sottoposta l"opera professionale del sanitario, è strettamente connessa, in un rapporto di propedeuticità, la questione degli obblighi informativi specifici, adeguati, cronologicamente attuali e progressivi, posti nella fase contrattuale e non pre-contrattuale. Prima si ha, infatti, lo svolgimento dell"attività diagnostica, utile ad un adeguato e scientificamente soppesato apprestamento di attività informativa, ai fini del rilievo effettivo di un consenso informato del paziente, poi si ha la fase esecutiva e quindi terapeutica in senso stretto (quindi contrattuale in senso proprio e non pre-contrattuale).

Ad entrare in giuoco nella tessitura delle richieste giudiziali del paziente insoddisfatto e/o leso, invero, sono diversi aspetti attinenti alle differenti sfere che l"ordinamento tutela in seno al fine supremo della tutela della persona: l"aspetto patrimoniale; ma anche l"aspetto non patrimoniale, in particolare sotto le dimensioni del danno biologico, quale lesione alla integrità fisio-psichica dell"individuo, e quale evento di danno, intrinsecamente connesso al fatto dell"inadempimento o dell"inesatto adempimento, o del ritardo, a causa dell"attività del sanitario. E ancora, nell"alveo della dimensione non patrimonialistica attinente agli interessi personalissimi, si pensi al danno morale, quale "pretium vel pecunia doloris", quale ulteriore ed eventuale conseguenza dannosa in senso proprio, legata da un secondo nesso di causalità (di tipo giuridico) al fatto tipico, a sua volta costituito nel suo entroterra logico-fenomenico dal fatto materiale e dall"evento fisico e/o psichico, i quali ultimi invero sono pure connessi in un rapporto di causa a specie, ma di tipo materiale. Contestata nella sua autonomia logico-concettuale, attaccata sul versante dell"eventuale rischio di contravvenzione al divieto della moltiplicazione delle poste risarcitorie e del "ne bis in idem" civilistico-risarcitorio, il c.d. danno esistenziale, quale danno al fare areddituale della persona nella sua realizzazione di vita sia "uti singulo" sia attraverso il relazionamento con il prossimo nelle formazioni sociali ove si svolge la propria personalità (art. 2 Cost.), ritorna nella sua piena dignità di danno-cittadino dell"universo dei diritti tutelabili in modo pieno e personalizzante, anche attraverso l"opera della giurisprudenza di legittimità nel corso dell"anno 2014, oltre che attraverso le instancabili riflessioni di una parte della dottrina.

Una società che riconosce, garantisce e, quando riesce o quando vuole, investe nell"affinamento delle tecniche scientifiche, utili al progresso della cura della persona, sia come individuo "ex se" considerato, sia come individuo concepito quale centro antropico pulsante in una infinita potenzialità di relazioni sociali con gli altri individui, insieme riscoprentisi tutti persone, non può non apprestare altrettanti rimedi per far fronte alle distorsioni di operatori agenti non superiori, o comunque non sempre aderenti allo statuto operativo dell"agente c.d. modello-specifico, ognuno nel settore gnoseologico ed esperienziale di propria competenza. Risulta, così, imprescindibile un"organica riflessione sui profili di responsabilità di chi, pur attestatamente dotto dinanzi alla comunità, non adempie esattamente e precisamente alle prestazioni, fondanti la propria arte, il proprio mestiere, la propria professione, e magari anche prefissate – seppur , talvolta, generalmente – dalla legge, e/o richiamate negli affreschi dei programmi negoziali cooperativi, stretti intorno al vincolo giuridico dell"obbligazione.

 

 

 

 

 




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