-  Valeria Cianciolo  -  10/10/2016

La Repubblica dei matti – di Valeria Cianciolo

Oggi 10 ottobre si celebra la giornata mondiale della salute mentale, un concetto che è sempre stato definito per differenza.

Un modo per raccontare Franco Basaglia, intellettuale rivoluzionario, è il bel libro La "Repubblica dei matti". Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia. 1961-1978, di John Foot (Feltrinelli 2014), storico inglese autore di diversi libri sulla storia sociale italiana.

Il libro di Foot ha avuto una notevole risonanza anche sulla stampa non specializzata e rilegge la storia di Franco Basaglia e della psichiatria in Italia in una chiave inedita. Foot non si addentra nelle questione mediche o ideologiche: racconta come in Italia si arrivò all"abolizione della struttura, superata, dei manicomi.

Coraggioso visionario? Non un visionario. Basaglia è un uomo immerso nella migliore cultura del suo tempo, un intellettuale, in grado di unire riflessione pratica ad azione concreta. È stato in prigione durante il fascismo, conosce il lager. Non fu mai iscritto ad un partito, ma ha spesso finito per attrarre su di sé moltissima attenzione lasciando in ombra altri aspetti che avrebbero invece meritato di essere evidenziati.

La figura dello psichiatra veneziano è naturalmente centrale nella trattazione, ma Foot si preoccupa di descrivere con cura anche le persone che lo hanno seguito e che hanno collaborato in modo determinante all"esperienza goriziana e, poi, al proseguimento dell"utilizzo delle metodologie lì applicate in altre parti d"Italia (e non solo).

Non è quindi un caso se l"autore dedica un intero capitolo all""équipe" di Gorizia, ossia il gruppo che è riuscito a realizzare negli anni Sessanta uno dei più importanti processi di deistituzionalizzazione all"interno di un manicomio: dalla moglie-collaboratrice Franca Ongaro, ad Antonio Slavich, Lucio Schittar e Domenico Casagrande, passando per Giovanni Jervis,

Diceva Basaglia: «Un malato di mente entra nel manicomio come "persona" per diventare una "cosa". Il malato, prima di tutto, è una "persona" […]. Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone».

La rivoluzione concreta attuata applicando le idee basagliane si ebbe per la prima volta a Gorizia, dove il manicomio diventò una "comunità terapeutica", con cancelli aperti e una nuova concezione di follia.

Scrive Basaglia: «La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla».

Non c"era la tivù in casa Basaglia, però si ascoltava musica a tutte le ore. Mozart e Vivaldi, ma anche canzonette, canti di protesta. E poi, di tanto in tanto, arrivavano i matti. Persone impossibili da dimenticare, come Velio, che per anni aveva sognato di dipingere i muri con i colori della sua fantasia. E che a casa del «dotor» si era potuto sbizzarrire, dipingendo una parete di blu e una di arancione. Lasciava che i pennelli sgocciolassero in totale libertà sul pavimento dell"appartamento assegnato al direttore del manicomio dalla Provincia.

Ma il nostro paese ha saputo apprezzare il suo lavoro d'avanguardia e quello di tutta la sua équipe?

Uno dei meriti maggiori del lavoro di Foot consiste nel contestualizzare adeguatamente la personalità di Franco Basaglia (1924-1980).

Il libro è strutturato in due parti: la prima, di singolare intelligenza e insolita chiarezza, è dedicata al luogo in cui ha avuto inizio la grande riforma basagliana: Gorizia.

Gorizia 1961, Franco Basaglia e Franca Ongaro, sua moglie, si trasferiscono con i figli piccoli nella provincia friulana, perché Basaglia, il "filosofo", come lo chiamano con un certo disprezzo all"università di Padova, è stato esiliato lì, mandato a dirigere il locale manicomio.

Scrive John Foot:

"Dentro, dietro alla classica scenografia manicomiale delle mura, dei cancelli, delle reti, delle sbarre, delle pesanti porte serrate, Basaglia trovò più di 600 pazienti. Circa 150 stavano nell"ospedale a seguito degli accordi di pace del dopoguerra. Basaglia li considerava malati inamovibili, non dimissibili, per i quali è necessaria una soluzione interna, essendo privi della minima prospettiva oltre lo spazio ospedaliero. (…) La categoria dei "matti" (che spesso si confondeva con quella degli "internati in manicomio") era allora molto vasta, comprendendo – per esempio – le persone affette da sindrome di Down, gli alcolisti e gli epilettici. (…) Gorizia era, come tutti i manicomi italiani, un autentico lager."

Con l"avvio dei primi governi di centrosinistra tutto comincia a cambiare. Quello che gli storici della psichiatria chiamano movimento per la deistituzionalizzazione (degli ospedali) in realtà è un repentino processo di istituzionalizzazione da parte degli enti locali che finalmente si fanno carico del problema.

Colorno, Parma, 1965. Mario Tommasini viene eletto presidente dell"amministrazione provinciale: "La prima volta che ho messo piede nel manicomio di Colorno, due giorni dopo la nomina, sono uscito e ho vomitato […]. Avevo visto un carnaio, malati nudi, donne con le vestaglie senza nemmeno la cintola, uomini seduti per terra, con la testa tra le mani, altri che camminavano strascicando, come se i piedi non volessero andare in nessuna direzione, vetri rotti, sporco dappertutto". "Eravamo", scriverà poi, "in un luogo dove la morte e la violenza erano all"ordine del giorno"."

L"esperienza di Gorizia si chiude, di fatto, nel 1968, con quello che viene ricordato come "l"incidente": un paziente in permesso giornaliero a casa uccide la moglie. Nella città friulana che non ha mai amato Basaglia, la stampa dà ampio spazio alla notizia scatenando una dura reazione di condanna generale.

La seconda parte del libro si chiama "La lunga marcia" ed è la storia della progressiva rivoluzione basagliana, e di quella che è stata la capitale della rivoluzione: Trieste.

Basaglia passa a dirigere il manicomio di Trieste che diventerà il fiore all"occhiello del movimento per la riforma degli ospedali psichiatrici; a Perugia, Arezzo, Reggio Emilia si passerà progressivamente a creare strutture territoriali per la malattia mentale, fuori dagli ospedali, dentro le comunità.

In questo senso sarà fondamentale l"apporto della legge Mariotti del 1968 che elimina il ricovero coatto, alla base dell"internamento manicomiale fin dal 1904.

"Il 13 maggio non si è stabilito per legge che il disagio psichico non esiste più in Italia, ma si è stabilito che in Italia non si dovrà rispondere mai più al disagio psichico con l"internamento e con la segregazione. Il che non significa che basterà rispedire a casa le persone con la loro angoscia e la loro sofferenza.." scrive Franca Ongaro Basaglia, il 19 settembre 1978.

Con questa citazione John Foot apre l"ultimo capitolo del suo importante lavoro, capitolo dedicato alla legge 180, alla sua approvazione e alla successiva costruzione della sua memoria pubblica.

La legge 180 è ancora oggi popolarmente conosciuta come legge Basaglia anche se di fatto il relatore del provvedimento, frutto di una lunga mediazione fra i diversi gruppi parlamentari, fu lo psichiatra democristiano Bruno Orsini, membro dell"Associazione Medici Ospedali Psichiatrici Italiani (AMOPI), un gruppo che per molti versi era distante dal tipo psichiatria di Basaglia e del variegato ambiente che si era in parte ritrovato all"interno di Psichiatria Democratica, fondata nel 1973 da Basaglia stesso.

Il dibattito fu fortemente incentivato dall"incombere del referendum promosso dai Radicali che proponeva l"abrogazione della legge del 1904, il provvedimento che, pur modificato parzialmente dalla legge Mariotti del 1968, governava ancora l"assistenza psichiatrica italiana. Di fronte al pericolo di un vuoto normativo o, peggio, di un disinteresse degli elettori o addirittura di una vittoria del "no" si decise di agire rapidamente.

Foot non manca di segnalare la svolta, soprattutto concettuale, rappresentata dall"approvazione della legge: essa infatti, proibiva la costruzione di nuovi manicomi e ordinava la chiusura progressiva di quelli esistenti.

Ciò che fu scritto non venne però messo in pratica rapidamente e soprattutto si continuò ad agire con una grande difformità sul territorio nazionale: a regioni che si trovavano all"avanguardia si affiancarono regioni che al contrario presentavano una situazione decisamente arretrata.

Così Basaglia, che riusciva a sposare in modo sacrilego la psichiatria alla filosofia, che si sentiva più attratto dalla Scuola di Francoforte che dai padri nobili della medicina, ha finito per inseguire tutta la vita la costruzione di una possibilità. Quella da dare a tutti, maschi e femmine, matti e malati, bambini e handicappati, per poter vivere la propria vita.

Non dimentichiamoci di quel sogno.




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