-  Ziviz Patrizia  -  02/09/2013

LA MORTE SCONVOLGE SEMPRE LA VITA DEI CONGIUNTI CONVIVENTI - Cass. 19402/2013 - Patrizia ZIVIZ

A cinque anni di distanza dalla pietra miliare rappresentata dalle Sezioni Unite del novembre 2008 - relative al risarcimento del danno non patrimoniale - gli interrogativi aperti da quelle pronunce continuano a produrre effetti perniciosi nel sistema, con riguardo alla possibilità che venga disatteso quel principio di integralità del risarcimento che pure i giudici di legittimità avevano solennemente ribadito in quel contesto.

 Una fra le questioni principali e più dibattute riguarda l"unitarietà del risarcimento del danno non patrimoniale, quale voce che non si presterebbe ad essere divisa in una pluralità di sottocategorie: pena il rischio di incorrere in una duplicazione del risarcimento. Un"affermazione del genere, com"è noto, ha determinato un effetto diametralmente opposto, rappresentato dalla sottovalutazione – se non addirittura cancellazione – di alcuni versanti del pregiudizio. E" ciò che accade, puntualmente, nel caso affrontato di recente dalla S.C. (Cass. civ. 22 agosto 2013, n. 19402), in ordine alla la richiesta risarcitoria proveniente dai genitori e dal fratello di un ragazzo ventenne, perito tragicamente in un incidente stradale: richiesta che aveva trovato riscontro, in sede di merito, sotto gli aspetti del danno morale e del danno biologico (quest"ultimo riconosciuto soltanto a favore della madre, per un"invalidità del 5%), mentre non erano state accolte le istanze relative alle gravissime ricadute dell"evento luttuoso sugli equilibri del nucleo familiare.

 Quali sono le affermazioni dei giudici di legittimità al riguardo? Si sostiene - anzi tutto – che "il danno biologico, il danno morale ed il danno alla vita di relazione rispondono – per così dire – a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo. In altre parole un determinato evento lesivo può causare, nella persona stessa della vittima come in quelle dei familiari, un danno alla salute medicalmente accertabile, un dolore interiore ed un"alterazione della vita quotidiana". Trattandosi di situazioni tra loro collegate, si afferma che il giudice dovrà tener contro di tutte, evitando duplicazioni ma anche vuoti risarcitori.

 Il possibile vuoto da prendere in considerazione riguarda, in questo caso, quello che la Cassazione – guardandosi bene dall"evocare la categoria del danno esistenziale - definisce come "danno alla vita di relazione": ciò in quanto in sede di merito era stato liquidato esclusivamente il danno morale, ritenuto comprensivo, con motivazione assai stingata, di ogni altra voce di pregiudizio. Proprio per questo i congiunto lamentavano la mancata considerazione della ripercussione negativa devastante prodotta dal lutto nella vita dei superstiti. Sotto questo aspetto, la S.C. afferma che "il giudice di rinvio non sarà chiamato – alla luce dei precedenti di questa Corte – a verificare la sussistenza di semplici mutamenti delle abitudini e condizioni di vita, che sono da ritenere impliciti in presenza di un evento come la morte di un figlio ventenne; bensì dovrà accertare, con onere della prova a carico dei richiedenti, se in conseguenza del fatto si siano determinati autentici sconvolgimenti nella vita dei familiari superstiti, tali da comportare scelte radicalmente diverse. Soltanto in presenza di una simile eventualità potrà trovare giustificazione il riconoscimento di una ulteriore e diversa posta risarcitoria".

 Due sono le grandi pecche logiche di un ragionamento del genere.

 La prima lacuna (la cui portata pratica rimane in secondo piano nel caso di specie) riguarda l"incapacità dei giudici di distinguere la portata plurioffensiva dell"illecito che abbia determinato la morte del familiare. Tale evento lesivo, infatti, è sempre suscettibile di determinare la lesione del rapporto parentale: la quale determina ricadute sia nella sfera emotiva che nella dimensione quotidiana dei congiunti. Può accadere che la perdita sia tale da determinare, altresì, la lesione alla salute di taluno dei congiunti: che verrà a sommarsi alle altre ricadute pregiudizievoli, in quanto fonte di un danno biologico. Non è esatto, dire, allora che danno biologico, morale e alla vita di relazione rispondono alla valutazione del medesimo evento lesivo, in quanto appaiono ricollegabili a distinte lesioni: quella del rapporto parentale e quella (eventuale) della salute. Tale profilo appare particolarmente importante da sottolineare, in quanto solo un"impostazione del genere impedisce che possa essere imboccata la pericolosa strada mirante a ritenere che l"intera portata pregiudizievole debba essere dimensionata alla lesione dell"integrità psico-fisica (ragionamento che non è stato applicato, peraltro, nel caso di specie, considerata la lieve portata dei postumi della salute, riscontrati in capo ad uno solo dei congiunti).

 Molto più grave è quanto affermato dalla Cassazione con riguardo al danno che, al di là delle ritrosie linguistiche dei giudici, va definito come esistenziale. La S.C., la quale pure non esita a riconoscere che "la morte di un figlio – ammesso che sia possibile ipotizzare una sorta di scala progressiva dei dolori umani – rappresenta il punto più elevato di detta scala, certamente ricompressa nella tutela degli articoli 29 e 30 Cost.", sottolinea poco dopo che non basta riscontrare semplici mutamenti di abitudini e condizioni di vita, ma occorre accertare "autentici sconvolgimenti nella vita dei familiari, tali da comportare scelte radicalmente diverse".

Un ragionamento del genere, com"è ovvio, appare fortemente contraddittorio. Va da sé che la perdita di un familiare convivente determina non soltanto una sofferenza interiore, ma un cambiamento di vita che appare di per sé radicale. Non occorre certo, ipotizzare, che la madre abbandoni il lavoro o che il fratello si faccia monaco buddista per giustificare il riconoscimento di un pregiudizio il quale appare scontato, essendo sempre correlato ad un lutto; tanto più in una circostanza così tragica, come quella della perdita di una giovane vita. Vi sono, anzi, dei casi in cui le ripercussioni potrebbero verificarsi esclusivamente in questa sfera: si pensi al caso in cui il malato di Alzheimer perda il familiare che lo accudiva personalmente. Dal risarcimento di tale pregiudizio, diverso dal danno morale, non si può prescindere.

 Si tratta di un danno, occorre sottolineare, che non abbisogna di alcuna prova, spettando ai familiari la dimostrazione soltanto di quegli effetti pregiudizievoli peculiari: i quali vadano cioè oltre le conseguenze esistenziali che debbono essere date per scontate sulla base di un ragionamento presuntivo. Da questo punto di vista, la stessa S.C. riconosce che i mutamenti di vita sono da ritenere impliciti in presenza della morte di un figlio ventenne. Proprio perché scontati, allora, dovranno essere sempre trovare riscontro sul piano risarcitorio (mentre sembrerebbe che i giudici pensino che, in quanto scontati, dovrebbero essere sopportati!).   




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