-  Tornesello Donato  -  24/06/2009

LA FORMULA 1 SI FERMA AI BOX DEL TRIBUNALE - Donato TORNESELLO

Al fine di comprendere le problematiche sottese al conflitto tra la FIA (Fédération Internationale de l'Automobile) e le principali scuderie automobilistiche è opportuno riassumere le tappe che hanno portato ad uno scontro così duro, partendo dal ruolo dei protagonisti della vicenda.

La FIA (Fédération Internationale de l'Automobile) è una federazione che raggruppa oltre 200 club automobilistici in rappresentanza di 125 Paesi - per l'Italia, l'ACI - con sede a Parigi. Tra i suoi scopi quello di tutelare gli interessi dei suoi affiliati nonché quello di favorire lo sviluppo degli sport automobilistici: tale finalità è perseguita anche con l'organizzazione di primarie competizioni internazionali tra le quali rientrano, oltre alla Formula 1, la GP2, la Formula 3, il Campionato Mondiale Rally e altre.
Presidente della FIA è Max Mosley.
Se l'organizzazione tecnico-sportiva del campionato di Formula 1 spetta alla FIA, i diritti commerciali fanno capo a diverse società raggruppate nella Formule One Group of Companies (Formule One Group): in particolare la Formula One Administration Limited (FOA) ha la titolarità di tali diritti, compresi quelli televisivi, mentre la loro gestione spetta alla sua controllata Formula One Management Limited (FOM), ad eccezione della titolarità del logo e del marchio Formula 1 riservate alla Formula One Licensing BV. Società queste riconducibili, tramite un sistema di holdings e società controllate, a Bernie Ecclestone (e alla ex moglie Slavica) nonché alla CVC Capital Partners.

La FOTA (Formula One Team Association), costituita nel luglio 2008, raggruppa le scuderie partecipanti al campionato di Formula 1 ed è attualmente presieduta dal presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo.
I rapporti sportivi e commerciali tra i protagonisti del circus sono regolati da un apposito accordo detto "Patto della Concordia" stipulato per la prima volta a Parigi (presso la sede della FIA, in Place de la Concorde, da cui il nome al contratto) nel 1981 e successivamente rinnovato nel 1992 e nel 1997. L'ultimo accordo, scaduto il 31 dicembre 2007, è stato rinnovato nel 2005 prima dalla Ferrari (fino al 2012) poi da altre scuderie in ordine sparso che però, in questo modo, hanno perso l'occasione di far sentire una voce unitaria in fase di negoziazione contrattuale: anche al fine di rafforzare il loro ruolo politico nei confronti della federazione, le scuderie partecipanti al mondiale si sono recentemente riunite nella succitata FOTA.

Individuati i protagonisti, si possono riassumere le tappe del casus belli.
Nel mese di marzo 2009 il World Motor Sport Council della FIA, al dichiarato fine di ridurre i costi della Formula 1, introduceva unilateralmente un tetto alle spese dei team - cosiddetto budget cap - dapprima di 30 milioni di sterline, poi aumentato a 40 milioni (pari a circa 45 milioni di euro); secondo la nuova normativa, le scuderie che sforeranno tale tetto dovranno rispettare un regolamento tecnico-sportivo rigido, mentre le scuderie che si atterranno ai limiti di investimento previsti avranno agevolazioni nello sviluppo delle macchine e dei motori.
Le scuderie tramite la FOTA contestavano il massimale di investimento deliberato dalla FIA e, capeggiate dalla Ferrari, minacciavano di non iscriversi al successivo mondiale 2010.

Stante l'inamovibilità delle posizioni della federazione, la Ferrari (sostanzialmente anche nell'interesse delle altre scuderie) adiva l'autorità giudiziaria competente, ossia il Tribunal de Grande Instance di Parigi, per chiedere la sospensione del regolamento 2010.
La Ferrari avrebbe contestato alla federazione la violazione dell'ultimo Patto della Concordia ai sensi del quale le modifiche tecnico-sportive al regolamento si sarebbero dovute concordare con le scuderie; in particolare, ignorando il parere negativo della Ferrari all'introduzione di un "budget cap", la FIA avrebbe violato il diritto di veto spettante alla casa di Maranello. Il ricorso al tribunale ordinario (anziché a quello interno della federazione) sarebbe stato giustificato dal carattere contrattuale - e non sportivo - della controversia.

Il Tribunale parigino ha però rigettato il ricorso della Ferrari e, pur riconoscendo la propria competenza a deliberare, ha affermato che la Ferrari avrebbe dovuto esercitare il proprio diritto di veto nelle riunioni del Consiglio Mondiale della FIA del 17 marzo e del 29 aprile e che comunque non sussisterebbe "alcun danno imminente che bisognerebbe prevenire o un comportamento evidentemente illecito a cui porre fine".
Una prima analisi della decisione - necessariamente sommaria, stante la scarsità delle notizie pervenute solo tramite scarni comunicati ufficiali e in assenza delle motivazioni dei giudici parigini - non può che lasciare perplessi.
Il Tribunal de Grande Instance ha riconosciuto la natura contrattuale della vertenza ma ha “rimproverato” alla Ferrari di non aver esercitato il diritto di veto nelle precedenti riunioni del Consiglio Mondiale della FIA, presumendo, così, una sorta di decadenza o di acquiescenza tacita alle modifiche regolamentari: è da ritenere che tale assunto possa considerarsi corretto solo se il Patto della Concordia, così come rinnovato tra FIA e Ferrari, preveda stretti limiti decadenziali per l'esercizio del diritto di veto. Viceversa, in assenza di una clausola contrattuale compromissoria ovvero contenente limiti all'esercizio del diritto di veto, non si potrebbe desumere dal comportamento del team di Maranello alcuna manifestazione di acquiescenza alle decisioni unilaterali della federazione.

Ciò che maggiormente sorprende nella decisione del tribunale francese è però l'affermazione dell'inesistenza di un “danno imminente” (con la quale si è escluso, sostanzialmente, il periculum in mora): basti pensare alle conseguenze logistiche che derivano, in capo ad ogni scuderia, dalle modifiche regolamentari imposte dalla federazione. Non occorre essere esperti in materia sportiva o giuridica per capire che una riduzione degli investimenti (che per alcune aziende raggiungerebbe il 90% del capitale oggi impiegato) possa comportare scelte drastiche dagli effetti devastanti: basti pensare all'eventuale riduzione del personale o alle conseguenze derivanti dalla rinuncia a forniture di mezzi e tecnologia, per i quali sono stati già stipulati accordi contrattuali.
Motivi per i quali, pur in assenza delle motivazioni della decisione, il dispositivo del Tribunal de Grande Instance desta dubbi e perplessità.
La decisione non ha ovviamente fermato le polemiche ed ha, anzi, alimentato il caos: le trattative tra FIA e FOTA sono andate (e vanno) avanti con continui colpi di scena, tra nuovi team che hanno chiesto l'iscrizione al prossimo campionato e vecchie scuderie che hanno chiesto l'iscrizione senza condizioni (Williams e Force India) ovvero "con riserva" (le altre otto squadre FOTA ossia Ferrari, McLaren, Renault, Toyota, Bmw Sauber, Brawn Gp, Red Bull, Toro Rosso)... fino ad arrivare all'iscrizione d'ufficio da parte della FIA “senza condizioni” di alcuni team (tra cui la Ferrari) nell'elenco delle scuderie per il prossimo campionato 2010.

Non è questa la sede ovviamente per esaminare le ragioni dell'una o dell'altra parte, in questo braccio di ferro che rischia di concludersi senza vinti né vincitori.
Se è comprensibile l'interesse dei maggiori team a mantenere un investimento tale da permettere un adeguato sviluppo tecnologico così da garantire il massimo livello di prestazioni sportive, non è meno giustificata la preoccupazione dei team minori per i costi di gestione oramai difficilmente sostenibili, soprattutto in un momento di crisi economica globale.
La gestione di una scuderia competitiva può arrivare a costare anche 400 milioni di euro a stagione: cifre che non possono essere alla portata dei team minori i quali per compensare i costi sono a volte costretti ad ingaggiare non i piloti emergenti più bravi ma quelli che hanno la maggiore dote di sponsor et similia.

Vieppiù: nonostante la massiccia presenza degli sponsors l'impegno nel circus è così oneroso che non solo è limitata la competitività ma è addirittura messa in pericolo la stessa partecipazione dei team alle gare: anche tralasciando l'annosa problematica dell'ingresso di nuove scuderie, basterà considerare che squadre più o meno affermate sono state costrette a ritirarsi dal circus per motivi prettamente economici (basti pensare ai recenti casi della Honda e della Super Aguri).
Premesso che scopo comune delle parti è (anche) quello di aumentare l'interesse e quindi il ritorno d'immagine della Formula 1, pare ovvio che un campionato con i soliti 2-3 team in grado di essere competitivi, unitamente ad alcune discutibili decisioni della federazione (come quella di privilegiare mercati emergenti a danno di circuiti storici), rischia di far scivolare lo sport adrenalinico per eccellenza nella noia, con conseguente allontanamento di pubblico e sponsor.

Anche per questo occore intervenire.
Personalmente, non ritengo che il tetto massimo ai costi di gestione debba essere scartata a priori posto che in diversi sport esiste già un tetto massimo alle spese (salary cap) generalmente riferito alle competenze degli atleti: è così, ad esempio, nella NBA (National Basket Association) o nella NFL (National Football League) nordamericane o, per rimanere in Europa, nel Rugby anglosassone. E non sono pochi coloro i quali auspicano una regolamentazione delle spese anche nel calcio europeo (soprattutto a fronte di follie estemporanee alle quali, a volte, si assiste).
Il problema è riuscire a concordare non solo l'entità di un budget cap ma anche individuare le voci escluse da tale limite di investimento (nell'originario progetto della FIA il limite non comprende, ad esempio, per l'anno 2010, le spese per i propulsori, per il marketing e per gli ingaggi dei piloti) nonché le modalità per la sua introduzione nella Formula 1, che dovrebbe avvenire non in unica soluzione ma gradualmente, con progressivi decrementi del budget utilizzabile.
E' da ritenere che la risoluzione del problema comporti necessariamente rinunce reciproche al fine di impedire che l'intera circus salti. Eventualità questa che - tralasciando la possibilità, paventata da parte dei cronisti sportivi, che sottesa a tale crisi vi siano accordi sottostanti tra alcuni dei protagonisti della vicenda - nessuna delle parti ha interesse a perseguire.




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