introduzione alla trasversalità necessitata avente ad oggetto singoli istituti giuridici nei diversi ambiti civile e penale
tripartizione del fatto in condotta, evento e nesso di causalità; le diverse manifestazioni della colpevolezza (dolo, colpa, responsabilità oggettiva)
dimensione dell"antigiuridicità e cause di giustificazione, offesa determinata dall"illecito in ambito penale (importanza dell"art. 49 c.p.) e in ambito civile (il danno)
Come è stato più volte osservato – cfr., in particolare, capitolo I, pgf. 3 del volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" - Riccardo Mazzon, Rimini 2014 -, l"illecito civile e l"illecito penale risultano trasversalmente percorsi da istituti giuridici per lo minimo similari ed aventi comunque in comune il nomen che, in entrambi gli ambiti, li contraddistingue (dolo, colpa, responsabilità oggettiva, ecc.).
Tale trasversalità ben può definirsi necessitata, con ciò indicando almeno due fenomeni caratteristici che la contraddistinguono: trasversalità necessitata in quanto la struttura dell"illecito penale e quella dell"illecito civile ontologicamente risultano pressoché sovrapponibili – cfr. capitolo I, pgf. 6 volme citato –; trasversalità necessitata con la finalità di dare definizione e disciplina unitaria ad istituti normati nel codice penale (dolo, colpa, responsabilità oggettiva – cfr. capitolo I, pgf. 7 volume citato ma non anche nel codice civile, nonché di dare completezza e dimensione tendenzialmente paritetiche ad istituti (responsabilità oggettiva, antigiuridicità obiettiva, condotta, evento, offesa – cfr. capitolo I, pgf. 7.1 volume citato) se non altro affini, ma trattati con differente intensità nei due diversi settori (quello penale e quello civile).
Emblematico, per dare contezza alle affermazioni effettuate, quanto osserva il giudice amministrativo lombardo in tema di carenza di antigiuridicità obiettiva determinata dal sussistere, nel caso concreto, della causa di giustificazione del consenso dell"avente diritto: se è innegabile, afferma la pronuncia de qua, la responsabilità verso i terzi per i danni provocati da un"opera illegittimamente realizzata dall"operatore e illegittimamente assentita dalla p.a., non è tuttavia configurabile una responsabilità risarcitoria della p.a., per le conseguenze dannose derivanti dall"annullamento di un titolo ad aedificandum, nei confronti di chi ne abbia chiesto il rilascio, presentando un progetto non conforme alla normativa edilizia e urbanistica.
A ciò osta, infatti, il principio di autoresponsabilità, che informa tanto l"art. 1227 c.c. - che esclude il risarcimento dei danni riconducibili al concorso del fatto colposo del creditore -, quanto proprio l"art. 50 c.p., il quale, se nel campo penale esclude la punibilità di chi lede un diritto col consenso della persona che può validamente disporne, nella sfera dei diritti privati – ed in materia di responsabilità aquiliana – comporta l"esclusione della antigiuridicità dell"atto lesivo per effetto del consenso del titolare,
"ove il consenso sia stato validamente prestato ed abbia avuto ad oggetto un diritto disponibile" (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 16 dicembre 2005, n. 5004, FA, 2005, 12 3820).
In effetti, la norma contenuta nell'art. 50 c.p., secondo la quale non è punibile chi lede un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne, è espressione di un principio generale di autoresponsabilità, operante anche nella sfera dei diritti privati, che comporta in materia di responsabilità aquiliana la esclusione della antigiuridicità dell'atto lesivo per effetto del consenso del titolare, purché il consenso sia stato validamente prestato ed abbia avuto ad oggetto un diritto disponibile; così, ad ulteriore esempio, in una fattispecie concreta dove la parte aveva agito per ottenere il risarcimento del danno, derivatogli dalla deviazione sul suo fondo di un corso d'acqua ad opera di un altro soggetto privato, alla quale aveva consentito con una convenzione, la Suprema Corte ha ritenuto che, pur essendo nullo l'accordo ai sensi dell'art. 825 c.c., per la natura demaniale del corso d'acqua, il consenso valesse ad escludere l'illiceità del danno, inteso come lesione del diritto disponibile della proprietà del fondo - spettante al soggetto privato - e non del diritto demaniale,
"la cui titolarità non apparteneva all'attore, ma ad un soggetto pubblico estraneo alla lite ed unico legittimato alla sua tutela" (Cassazione civile, sez. III, 24/02/1997, n. 1682, Sauro c. Tamellini e altro, Giust. civ. Mass. 1997, 303).
Così ragionando, conviene allora porre nella giusta luce le conseguenze pratiche dell"assunto, preannunciando sin d"ora come, in entrambi i settori (penale e civile):
"non vi è ragione per negare per l'operato dello stesso mandatario la responsabilità della società preponente ai sensi dell'art. 2049 c.c. e ciò nel senso che l'operato del mandatario fu posto in essere su incarico e nell'interesse del preponente a cui beneficio andò la corruzione del giudice che fu operata soprattutto dallo stesso mandatario. Alla responsabilità diretta della società preponente per l'operato del legale rappresentante si aggiunge pertanto la responsabilità della società stessa ai sensi dell'art. 2049 c.c. per le condotte poste in essere dal mandatario" Tribunale Milano, sez. X, 03/10/2009, n. 11786 - Giustizia a Milano 2009, 10, 66]
con ciò giustificandone l"inserimento, a fianco del dolo e della colpa, in un ampio concetto di colpevolezza [non, però, almeno in ambito civile, nella colpevolezza in senso stretto:
"il produttore risponde del danno morale patito da chi abbia riportato lesioni personali per l'uso del prodotto, ancorché si verta in un 'ipotesi di responsabilità oggettiva, che prescinde dall'accertamento della colpevolezza dell'agente" (Corte appello Milano, 21/02/2007 Ferrara c. avv. Giorgetti c. Soc. La Vetroscala c. avv. Loasses, Foro it. 2007, 10, 2886 – conforme: Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005, n. 12750, RCP, 2006, 1129)];
"sono regolamentate anche nel diritto penale con riferimento a fatti che costituiscono reato (rectius: che altrimenti costituirebbero reato – n.d.r.), ma esse sono rilevanti anche nel diritto privato" (Gazzoni 2003, 699)];
"si dovrebbe invece riconoscere che la mancanza di offesa rileva, nonostante la tipicità del fatto, in forza dell"art. 49, 2° co., c.p., che attribuirebbe pertanto riconoscimento positivo al principio di offensività" (Padovani 2006, 135)].