Per molti secoli i più fini giuristi e le più illustri menti filosofiche si sono interpellati circa la natura e l'estensione del diritto e dei diritti, sulla corretta amministrazione della giustizia e sulle migliori forme di governo e gestione della cosa pubblica.
Una firma su carta bollata e un dito sul grilletto hanno spazzato via in pochi attimi secoli di riflessioni e di (lente) conquiste, teoriche e pratiche, dimostrando quanto tutte le buone idee del mondo e qualsiasi previsione normativa non contino nulla senza l'effettività.
Facciamo un passo indietro.
Il giorno di ferragosto 2014 un "cercatore di funghi" di Pinzolo, in Trentino, riferisce di essere entrato in contatto con un orso, mentre era nella foresta, dedito alla raccolta. A seguito dell'incidente le autorità dichiarano di dover intervenire nei confronti dell'orsa Daniza, identificata quale "colpevole" dell'aggressione, rimuovendola dall'habitat e dai propri due cuccioli di circa 6-8 mesi di età, rinchiudendola in struttura isolata.
L'11 settembre le autorità trentine hanno dichiarato che l'orsa Daniza era stata catturata, ma che la dose di anestetico utilizzata per la telenarcosi sarebbe stata troppo elevata e che, pertanto, si è verificato il decesso.
Partiremo dal presupposto che tutti i fatti, benchè attualmente soggetti a numerose critiche e secondo molte di queste tutt'altro che provati, si siano svolti con le modalità descritte.
Il giurista non è soltanto interessato ai fatti, ma anche - soprattutto - alle norme ad essi applicabili, nonché alle implicazioni: in questo caso l'azione della Provincia Autonoma si è basata sul protocollo PACOBACE(http://www.orso.provincia.tn.it/binary/pat_orso/collaborazioni/PACOBACE_def1ottOK.1196074960.pdf), che al capitolo 3 sancisce definizioni, criteri, azioni e principi di valutazione ed (eventualmente) intervento.
Il capitolo esordisce con una sorta di monito/promemoria: "In tutte le zone nelle quali orso e uomo convivono si verificano conflitti". Le definizioni per i giuristi sono tutto, poiché è dalla loro esatta interpretazione che scaturisce il diritto positivo, cioè quello praticato quotidianamente nelle aule di Giustizia.
Ebbene, non si dice "in alcune zone", nè "in molte zone", e neppure "in quasi tutte le zone": il messaggio è inequivoco e nessuno, dopo averlo letto, potrà dirsi all'oscuro della sua portata; pertanto allorchè il fungaiolo ha riportato la sua esperienza non si è verificato nulla di imprevisto o imprevedibile, bensì una semplice routine talmente nota da essere stata preventivamente codificata.
Pochi capoversi sotto si legge anche che: "Ai fini dell'accettazione sociale dei plantigradi, è importante che le autorità competenti per la conservazione e la gestione dell'orso attivino azioni tempestive ed efficaci di prevenzione dei rischi per la sicurezza dell'uomo e della mitigazione dei conflitti, in particolare finalizzate a correggere eventuali comportamenti di assuefazione all'uomo".
È difficile comprendere in che modo le autorità competenti abbiano dato attuazione a questo dettame, specie dal momento che i fatti narrati sanciscono che sarebbe semmai stato l'uomo ad avvicinare l'orso nel suo habitat, e, così facendo, determinare lo stigmatizzato comportamento di assuefazione.
Le autorità sono autorizzate ad intervenire, allorchè l'orso manifesti caratteristiche di pericolosità, ai sensi della definizione di cui all'art. 3.4.1 PACOBACE, che - nel valutarne il comportamento - contempla espressamente fra le condotte naturali e non problematiche "un'orsa avvicinata quando è coi piccoli".
La logica giuridica è estremamente semplice: SE non sussiste la condotta stigmatizzata, ALLORA non ricorre il presupposto per l'irrogazione delle sanzioni, o, come nel caso di specie, per l'adozione delle contromisure.
L'alveo delle contromisure è definito dall'art. 3.1, che le consente soltanto "quando tali azioni non pregiudichino lo status di conservazione della popolazione oggetto di intervento": una popolazione di poche decine di individui e la presenza di due cuccioli non autonomi possono senz'altro indurre a ritenere qualsiasi intervento di rimozione una minaccia per la conservazione della popolazione, dunque una condizione ostativa.
Quali contromisure si sarebbero potute applicare? La stessa norma contempla, o, per meglio dire, non esclude, "nei casi estremi, la possibilità ultima di rimozione degli esemplari"; nei casi estremi, cioè in ipotesi estranee al contesto.
Fin qui si è discusso delle leggi, cioè del presupposto su cui si fondano i poteri delle pubbliche istituzioni e delle c.d. "autorità competenti", e si è visto che perfino dando per scontata la ricostruzione dei fatti - tutt'altro che tale, almeno per quanto noto attraverso le fonti di informazione pubblica - non è dato rinvenire coerenza tra il dettame normativo e le decisioni assunte.
A questo punto un altro passo indietro ci riporta alla questione - ad avviso di chi scrive - di ben maggiore spessore e rilevanza: su quali presupposti si fondano i poteri pubblici e le leggi? Da cosa nasce il diritto e la titolarità di diritti?
Storicamente la questione è stata risolta in vario modo, principalmente con una contrapposizione tra le correnti giusnaturalistiche, che ravvisano nei principi di natura l'ispirazione del diritto, e quelle giuspositiviste, che attribuiscono alla volontà dei consociati valore essenziale. In particolare, poi, quanto al potere politico e legislativo, il contrattualismo afferma che tutti i consociati aderiscono al c.d. contratto sociale, che sarebbe fonte di diritti e di doveri.
Sicuramente non esiste un principio di natura cui fare appiglio nel caso di specie, atteso che l'azione decisa dalle autorità non è scaturita quale "reazione", e si è asseritamente fondata sull'interpretazione di norme e protocolli, non già su principi astratti e tantomeno in applicazione della c.d. "legge del più forte" (probabilmente la più decantata fra quelle considerate naturali), che avrebbe considerato normale il soccombere dell'uomo più debole all'animale più forte.
La disamina dei protocolli PACOBACE esclude altresì che si sia agito, come il giuspositivismo richiederebbe, nell'alveo delle leggi: mancano, infatti, la fattispecie oggettiva (aggressione per motivi specifici e non naturali), quella soggettiva (pericolosità) e il nesso di causalità, atteso che l'unica condotta soggetta a censura, in quanto determinante indebita interferenza, poteva essere quella del fungaiolo che si trovava nell'habitat dell'orso (foresta) e che poteva costituire una minaccia per esso (basti pensare ai cacciatori). Anzi, a ben guardare, il comportamento diffidente dell'orsa sarebbe semmai stato indice di non aver maturato quella "confidenza" con l'uomo che viene considerata tipica dei casi di dannosità/pericolosità.
Resta da vagliare la legittimazione alla stregua delle teorie contrattualiste: di sicuro l'orsa non aveva stipulato alcun contratto sociale, quindi si può preliminarmente escludere che fosse soggetta alle nostre decisioni o al rispetto di qualsivoglia codice etico-comportamentale.
Il giuscontrattualismo si fonda sul consenso sociale, per cui è soltanto dalla legittimazione della volontà collettiva che può fondarsi un potere politico-istituzionale. Ebbene, nel caso di Daniza l'opinione pubblica si è espressa a gran voce, sia nei singoli che tramite le associazioni, contro le misure interdittive, da cui la delegittimazione sia di quella decisione che di qualsiasi altra lesiva dell'orsa.
Sarebbe sufficiente l'ultima constatazione, cioè quella della volontà popolare, per sancire che perfino protocolli e leggi eventualmente contrari avrebbero dovuto perdere qualsiasi cogenza, risultando immediatamente privi del loro elemento fondante.
Per tutti questi motivi la "questione Daniza" trascende la vita che è stata strappata e quelle dei suoi cuccioli che potrebbero seguirla, e si impone quale riflessione senza tempo - eppure al tempo stesso drammaticamente attuale - sui principi del nostro ordinamento, della nostra giustizia e delle istituzioni preposte a garantirli.
Carlo Prisco, Avvocato e Dottore di ricerca