Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  01/02/2023

Il principio platonico-aristotelico di “non contraddizione” come fondamento dell’ordinamento giuridico: parte quarta - Cecilia De Luca

La struttura del reato secondo la condivisa concezione tripartita

Per tale sistematica, tedesca, essendo il reato un fatto umano antigiuridico e colpevole, lo studio deve  ripartirsi in tre indagini distinte. Tra il fatto e la colpevolezza, che in sostanza rappresentano l’elemento materiale e psicologico del reato, viene posta quale requisito distinto ed autonomo, l’antigiuridicità, la quale si desume da due note: l’una positiva (la conformità del fatto concreto al modello astratto di reato configurato dal legislatore) e l’altra negativa (la mancanza di cause di giustificazione). Anche se questa tripartizione, rappresentativa di un notevole sforzo per la sistemazione razionale degli elementi del reato, non può essere seguita per la degradazione dell’antigiuridicità, quest’ultima non è altro che un giudizio, in particolare di relazione. Quando si parla di antigiuridicità si emette un giudizio sul fatto: si riconosce, cioè, mediante una valutazione, che il fatto è in opposizione con un precetto del diritto. Ma se così è, allora non è possibile affiancare l’antigiuridicità al fatto dell’uomo ed alla colpevolezza , in quanto cose che per la loro eterogeneità non sono suscettibili di essere coordinate. Tanto il fatto quanto la colpevolezza, invero, sono fenomeni esistenti nel mondo naturale, mentre non è tale un giudizio di relazione. La conferma dell’esattezza di questo rilievo si ottiene scomponendo  il fatto delittuoso nei suoi elementi strutturali. In questa operazione noi troviamo un fatto umano ed un atteggiamento psichico del soggetto; non troviamo l’antigiuridicità perché essa non è un quid che si distingua dagli altri e due e possa isolarsi, quale entità a sé stante, dagli stessi, ma la loro risultante.  La teoria in esame da un lato ha visto un sostanziale ritorno di alcuni suoi seguaci al bipartismo quando ha ridotto il concetto di antigiuridicità oggettiva all’assenza di cause di giustificazione; dall’altro è caduta in un eccessivo frammentarismo quando ha proposto la separata analisi di quattro categorie di reati: commissivi dolosi, commissivi colposi, omissivi dolosi ed omissivi colposi. Quanto si è detto per la sistematica si riscontra anche in Marinucci e Dolcini che hanno ravvisato nel reato quattro elementi: il fatto, l’antigiuridicità, la colpevolezza, e la punibilità e, in passato, dal Battaglini, il quale sostenne che nel diritto positivo italiano la punibilità deve considerarsi elemento costitutivo del reato, giungendo così alla tripartizione. Le due teorie presentate prestano il fianco all’obiezione che la punibilità può essere concepita in due modi soltanto: come caratteristica generale del reato, oppure come applicabilità della pena, e cioè come possibilità giuridica di irrogare questa sanzione. In entrambi i casi non è logicamente consentito ravvisare nella punibilità un elemento che concorre all’esistenza del reato. Al contrario la teoria bipartita del reato scinde l’illecito penale in due parti, distinguendo l’elemento oggettivo del reato dall’elemento soggettivo. Il primo comprende, come abbiamo già avuto modo di illustrare, la condotta del reo ed i presupposti del reato mentre il secondo attiene all’imputazione soggettiva del fatto al reo e alla sua imputabilità. Più nel dettaglio, l’elemento oggettivo è costituito, secondo i sostenitori di questa concezione, dalla condotta posta in essere dal reo, dall’evento cagionato – se previsto dalla norma incriminatrice – dal nesso eziologico che lega l’evento all’azione od omissione del reo, nonché dall’antigiuridicità del fatto commesso, in termini, ormai ben noti, di assenza di cause di giustificazione. L’elemento soggettivo, nella teoria che stiamo discutendo, comprende ogni profilo attinente alla sfera psicologica del reo, nei termini di capacità di intendere e di volere e di elemento soggettivo in senso stretto (dolo, colpa, preterintenzione o forme di responsabilità miste). Anche qui l’Antolisei afferma che in ogni reato si può rinvenire un fatto materiale, e per essere più precisi un comportamento esteriore dell’uomo, perché il diritto è norma dell’operare, è regola di condotta, destinata a disciplinare i rapporti della vita sociale. Per conseguire i suoi fini lo Stato proibisce determinate azioni e ne prescrive altre. Un fatto esterno dell’uomo quindi, è sempre indispensabile perché si abbia reato. Ma nel reato vi è sempre un elemento di natura psichica: un atteggiamento della volontà che ha dato origine al fato materiale. Il diritto è un complesso di imperativi che si dirigono agli uomini come esseri forniti di coscienza e volontà. La norma penale, di conseguenza, non viene violata se il fatto esterno non è espressione del volere del soggetto.

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