Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  04/09/2021

Il consenso alla vaccinazione anti COVID-19 per  Amministrati e Tutelati:  problematiche del processo decisionale - Manuele Pizzi

La  L. 6/2021:  questioni  circa la manifestazione del consenso al trattamento vaccinale nell’interesse delle persone già beneficiarie di una misura di protezione

L’avvio, o la prosecuzione di un trattamento sanitario, ai sensi del primo comma dell’art. 1 della L. 219/2017, necessita dell’imprescindibile manifestazione di un consenso libero ed informato, da parte dell’interessato, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.   Con riguardo all’universo delle c.d. persone incapaci (prive in tutto od in parte di autonomia)  il legislatore, nel contesto emergenziale, cagionato dall’epidemia da SARS-CoV-19,   provvedeva all’introduzione di norme speciali afferenti la somministrazione del trattamento vaccinale anti COVID-19. 

 Nella sopravvenuta necessità di somministrare il vaccino anti COVID alle persone assoggettate di un provvedimento giudiziario di incapacitazione, qualora manchino le DAT  e  la persona interessata  sia priva della necessaria lucidità e sufficiente capacità di discernimento, è necessario focalizzare  il campo di azione  in capo ad all’Amministratore di Sostegno, che sia chiamato a manifestare il consenso al trattamento vaccinale anti-COVID  per il proprio beneficiario,     Sul punto, l’art. 3 della L. 219/2017, prevede che la persona incapace abbia diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti alla dignità,  alla salute ed all’autodeterminazione, in modo consono delle sue capacità al fine di essere messo in condizione di esprimere la sua volontà.

Con riguardo alle “ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”,  l’art. 5 del  Decreto-Legge n. 1  del 05/01/2021,   introduceva una specifica disciplina in materia di “Manifestazione del consenso al trattamento sanitario del vaccino anti Covid-19  per  i  soggetti  incapaci  ricoverati  presso  strutture sanitarie assistite”.   Il suddetto D.L. n. 1/2021 veniva abrogato dalla Legge 29 gennaio 2021 n. 6, inerente la: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 dicembre 2020, n. 172, recante ulteriori disposizioni urgenti per fronteggiare i rischi sanitari connessi alla diffusione del virus COVID-19”;  facendo salvi gli atti e i provvedimenti adottati, nonchè gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del suddetto decreto-legge non convertito. Le norme introdotte con l’art. 5 del decreto-legge abrogato continuavano a produrre effetti nell’ordinamento, in virtù della trasfusione del suo contenuto letterale nell’Allegato alla  L. 6/2021. 

 Nell’ Allegato alla L. 6/2021, è stato inserito l’art. 1-quinquies  rubricato: “Manifestazione  del  consenso  al  trattamento sanitario  del  vaccino  anti  COVID-19  per  i   soggetti   incapaci ricoverati presso strutture sanitarie assistenziali”.  Al primo comma del suddetto articolo sono individuati i soggetti tenuti alla manifestazione del consenso del trattamento a beneficio dell’interessato “incapace” che sono:  i tutori ed i curatori ex art. 424 Cod Civ., gli amministratori di sostegno, ed i fiduciari di cui all’art. 4  della  L. 219/2017.  Nel successivo terzo comma,  è  previsto il dovere, in capo alle suindicate figure, ovvero, in via residuale, in capo al Direttore sanitario/Responsabile  medico della RSA  di sentire il coniuge dell’interessato, l’altra parte dell’unione civile o la persona stabilmente convivente,  ovvero, in mancanza, il parente più prossimo, entro il 3° grado.   Il quarto comma, stabilisce che il consenso al trattamento vaccinale dev’essere conforme alla volontà dell’interessato; qualora quest’ultimo non sia nelle condizioni di esprimere una volontà, il consenso dev’essere conforme all’orientamento del coniuge/della persona parte dell’unione civile/della persona stabilmente convivente, ovvero, in mancanza, del parente  noto  più prossimo, entro il terzo grado.

Il comma 5° dell’art. 1-quinquies prevede che, nel caso di irreperibilità dei parenti, o contrarietà di questi ultimi alla somministrazione del vaccino, sarà necessario adire il Giudice Tutelare, per ottenere la convalida del consenso al trattamento vaccinale, sottoscritto dall’amministratore di sostegno. Sul punto, si rileva il contributo di:  FALCONE A. – Il D.L. n, 1/2021 introduce norme speciali in tema di disciplina del consenso al vaccino anti Covid-19 in favore degli incapaci ricoverati presso strutture sanitarie assistite,  in P&D – 25/01/2021. laddove descrive “l’intervento giudiziale si renderà sicuramente necessario è […] ove in  mancanza di una chiara volontà del paziente, sia emerso il dissenso da parte del familiare che deve essere sentito; in questo caso il “rappresentante (amministratore di sostegno; etc) dovrà rivolgersi al giudice tutelare affinchè autorizzi la somministrazione del vaccino […]”.  Quindi, il rappresentante legale della persona  si deve attivare nell’esplorare gli intendimenti e gli umori del parentado dell’amministrato.  

In materia di Tutela ed Amministrazione di Sostegno, la legislazione emergenziale per il contrasto della diffusione del COVID-19,  non preclude l’applicabilità delle norme generali previste dal Libro I° del Codice Civile.  Quindi, a prescindere dalla vigenza del Legge n. 6/2021, l’A.d.S., come il Tutore ex art. 424 Cod Civ., deve sempre consultare l’interessato con riguardo alla manifestazione dei consensi al trattamento sanitario, in virtù del principio generale di cui all’art. 410, Co 1°, Cod. Civ., norma avente la vocazione a disciplinare anche le fattispecie afferenti a persone interdette ed inabilitate,  nonché, in virtù delle pertinenti norme dettate al terzo e quarto comma dell’art. 3  della L. 219/2017. 

Prescindendo dalla normativa emergenziale anti COVID, nell’ipotesi in cui emerga la necessità di dare seguito ad un trattamento vaccinale, nei confronti di una persona beneficiaria di una misura di protezione, non è esclusa l’applicabilità dell’art. 410, Co 2°, Cod Civ.,  nella fattispecie in cui emergano orientamenti discordanti, nel parentado dell’interessato, circa l’idoneità del trattamento vaccinale per la  migliore tutela della sua salute. Pertanto, ciascun parente (entro il quarto grado) è legittimato ad adire tempestivamente il Giudice Tutelare con riguardo all’appropriatezza ed opportunità del trattamento sanitario.  La causa petendi che veicola il ricorso  ex art. 410, co 2, Cod Civ. attaglia: il contrasto di scelte, eventuali atti dannosi (e prevenzione del loro cagionarsi)  ovvero fatti che rappresentino negligenza nel perseguire l’interesse del beneficiario.

Ora, scendendo nel campo strettamente operativo, fissato nelle attività propedeutiche alla manifestazione del consenso alla somministrazione del vaccino anti COVID 19 per i soggetti incapaci,    il terzo comma dell’art. 1-quinquies (inserito nell’Allegato alla Legge 6/2021)  senza fissare alcun vincolo di forma,  stabilisce che,  in assenza di coniuge/altra parte dell’unione civile/persona stabilmente convivente, vadano “sentiti  i parenti (più prossimi) entro il terzo grado. Invero, non è affatto improbabile che esistano una moltitudine di parenti prossimi, che abbiano il medesimo grado di parentela con l’interessato.  

In mancanza di un’adeguata lucidità cognitiva in capo all’interessato, o del di lui coniuge/persona parte dell’unione civile/stabilmente convivente,  il comma 4° dell’art. 1 quinquies stabilisce che il consenso sottoscritto dall’ADS quale rappresentante legale dell’interessato vada manifestato in conformità agli intendimenti dei parenti più prossimi entro il terzo grado, tuttavia, non è scontato che gli orientamenti  del  “poliforme tessuto    di relazioni familiari ed affettive in cui potrebbe essere inserita la persona  (FALCONE A. – Op. cit.)  siano unanimi ed omogenei, pertanto, nella vigenza dell’art. 410 Co 2°, Cod. Civ., il consenso al trattamento, espresso dall’A.D.S o dal Tutore, necessita,  inevitabilmente, della convalida del Giudice Tutelare.

Nel soffermarsi sul contenuto letterale del terzo comma dell’art 1-quinqiues, sorge un interrogativo sull’utilità funzionale dell’inserimento di uno specifico dovere, in capo all’A.D.S., di sentire la compagine familiare; orbene, qualora l’A.D.S dovesse propendere per una consultazione veicolata dalla sola oralità, potrebbe ritrovarsi in difficoltà con posizioni oscillanti, se non ambigue.

Il meccanismo concepito dal terzo comma dell’art. 1-quinquies, demandando, ad una raffazzonata oralità, l’accertamento, presso il proteiforme tessuto familiare, che il trattamento vaccinale sia idoneo ad assicurare la migliore tutela della persona interessata, da un lato, cerca di coniugare l’esigenza di celerità nella campagna vaccinale, dall’altro, cercare di prevenire accuse strumentali nei confronti delle Strutture Sanitarie, e nei confronti di Tutori ed A.D.S., qualora, dopo la somministrazione del vaccino, si verificasse un evento infausto.


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