Occorre operare una distinzione a seconda che l’illecito sia stato compiuto dal beneficiario (a) nel pieno possesso delle capacità intellettive e cognitive, (b) oppure in condizioni di incapacità di intendere e di volere.
Diverso, infatti, il regime di responsabilità applicabile nelle due ipotesi.
Qualora l’illecito sia stato compiuto da persona capace di intendere e di volere, ben poco importerà che egli sia, o meno, beneficiario di amministrazione di sostegno; comunque l’autore sarà chiamato a rispondere secondo lo schema generale dell’art. 2043 c.c.
Qualora, al contrario, l’autore dell’illecito, nonché beneficiario dell’AdS, versasse in condizioni di incapacità naturale (cioè mancasse del senso del bene e del male, al momento del fatto), si dovrà fare capo alle regole stabilite dagli artt. 2046 e 2047 c.c.: l’incapace non sarà chiamato a rispondere direttamente, mentre il risarcimento sarà dovuto da chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che il sorvegliante provi di non avere potuto impedire il fatto.
Aggiunge la seconda norma, peraltro, che - qualora il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento dal ‘sorvegliante’ - il giudice potrà condannare lo stesso autore dell’illecito (dunque, l’incapace naturale) a corrispondere un’equa indennità; tenuto conto, fra l’altro, delle condizioni economiche del responsabile.
Tutto sta a vedere poi se l’amministratore debba, sol per questo, ritenersi ‘’sorvegliante’’ ex art. 2047: salvo casi eccezionali non lo è, quindi non risponde.
Comunque – attenzione – l’esenzione da responsabilità favorisce l’incapace solo in ambito di responsabilità oggettiva. Se si tratta invece dei casi di cui agli artt. 2049 e seguenti, tipo attività pericolose, edifici, animali, automobili, l’incapace risponde come gli altri, al 100%. E lo stesso vale tendenzialmente sul terreno del concorso di colpa, ex art. 1227 c.c.