In seguito all’illustrazione della ratio e del fondamento delle cause di giustificazione, che attengono al piano strutturale-ontologico, si rende necessario procedere ad esaminare gli effetti delle stesse, soprattutto sulla posizione giuridica del soggetto agente. Il principale effetto delle cause di giustificazione è il venir meno dell’antigiuridicità della condotta, ossia del suo carattere illecito; come si è avuto modo di osservare, il medesimo fatto può tuttavia rilevare non solo ai fini della responsabilità penale ma anche e preliminarmente sul piano della responsabilità civile del soggetto agente per i danni cagionati alla persona offesa. Nel nostro ordinamento manca tuttavia una norma di raccordo tra la disciplina penale delle scriminanti e la disciplina della responsabilità civile, limitandosi il legislatore a regolare gli effetti del giudicato di assoluzione, all’art. 652 c.p.p., nei processi civile, disciplinare e amministrativo; Emerge dalla disciplina processual-penalistica che solo in ipotesi di esercizio del diritto o adempimento di un dovere, di cui all’art. 51 c.p., l’accertamento in sede penale, a determinate condizioni, produrrà effetti vincolanti nel giudizio civile volto ad accertare la responsabilità dell’imputato in veste di danneggiante per i medesimi fatti. Manca invece alcun riferimento alle restanti cause di giustificazione di cui agli artt. 50, 52 e 54 c.p., mentre l’uso legittimo delle armi può essere ricondotto alla nozione di adempimento di un dovere, adoperata dal legislatore nell’art. 652. c.p.p.; del pari, occorre evidenziare che la norma del Codice di procedura penale si limita a disciplinare gli effetti del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile, ma nulla prescrive in merito all’efficacia delle scriminanti di cui agli artt. 51 e 53 c.p. sulla responsabilità civile per i medesimi fatti, quando manchi una sentenza penale definitiva. In tal senso rilevano le disposizioni di cui agli artt. 2044 e 2045 c.c., rubricate, rispettivamente, “legittima difesa” e “stato di necessità”. Il primo prevede espressamente, al primo comma, che “Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o altri”, estendendo dunque l’effetto scriminante della causa di giustificazione disciplinata dall’art. 52 c.p. alla responsabilità civile per fatto illecito. Nel contempo, l’art, 2045 c.c. dispone che: “Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice”. La disposizione civilistica riproduce pedissequamente nella sostanza i presupposti dello stato di necessità disciplinato dall’art. 54 c.p., ad eccezione del requisito della necessaria proporzione tra il fatto ed il pericolo. In caso di stato di necessità tuttavia, il legislatore non si limita ad escludere la responsabilità dell’autore del fatto, prevedendo altresì il riconoscimento, a favore del danneggiato, di un’indennità nella misura ritenuta equa dal giudice civile. Sia la legittima difesa che lo stato di necessità trovano dunque espressa disciplina in materia civile, a differenza delle scriminanti del consenso e dell’adempimento di un dovere, ivi compreso il legittimo uso delle armi, o dell’esercizio di un diritto; tanto non consente tuttavia di ritenere che dette cause di giustificazione siano prive di effetti sulla responsabilità civile. Deve infatti considerarsi che, in materia civile, la responsabilità ed il conseguente obbligo di risarcire il pregiudizio cagionato, sussiste solo quando il danno risulti “ingiusto”, secondo la formulazione dell’art. 2043 c.c. L’ingiustizia del pregiudizio cagionato presuppone che risulti leso un bene giuridico meritevole di tutela; va precisato che il requisito di meritevolezza presuppone che l’interesse leso si collochi in una posizione gerarchicamente superiore rispetto all’interesse di cui sia portatore il danneggiante: qualora, pertanto, il danno sia stato cagionato nell’esercizio di un diritto che prevale o quantomeno equivale per valore giuridico all’interesse leso, non potrebbe ravvisarsi il requisito di ingiustizia del danno e verrebbe di conseguenza meno il carattere illecito della condotta del danneggiante. Non resta che valutare gli effetti, in materia civile, del consenso dell’avente diritto sulla responsabilità civile del danneggiante. Ad una prima soluzione, di carattere aprioristico, che esclude l’ingiustizia del danno in presenza del consenso del danneggiato, si contrappone una tesi dottrinale che evidenzia la incompatibilità tra la struttura dell’illecito civile e l’espressione del consenso in merito alla causazione del danno da parte del danneggiato. La responsabilità extracontrattuale, infatti, si caratterizza per l’estraneità tra il danneggiante e danneggiato, contrapposta alla relazione tra le parti, su cui si fonda la responsabilità contrattuale. L’espressione del consenso da parte dell’avente diritto, al contrario, presuppone che tra danneggiante e danneggiato sussista un rapporto giuridico, nell’ambito del quale il consenso viene espresso, che esclude pertanto la possibilità di ravvisare in capo al primo alcuna forma di responsabilità da fatto illecito. Emerge, dunque, che la sussistenza di una causa di giustificazione, oltre ad elidere l’antigiuridicità del fatto tipico, esclude il carattere illecito della condotta anche ai fini della responsabilità civile, sulla scorta delle suesposte considerazioni, che si prestano ad operare altresì in materia amministrativa o disciplinare. L’effetto scriminante delle cause di giustificazione è pertanto da ritenersi generale e tale conclusione non può essere revocata in dubbio ma risulta, al contrario, confermata dal disposto dell’art. 2045 c.c. che, pur prevedendo una conseguenza giuridica per il fatto commesso in stato di necessità, qualifica l’obbligo di pagamento di una somma equa al danneggiato come “indennità”, che presuppone proprio il carattere lecito della condotta, differenziandosi dal “risarcimento del danno”, che consegue invece all’illecito .
Estratto dalla tesi di laurea: "Il principio platonico-aristotelico di non contraddizione come fondamento dell'ordinamento giuridico."
In allegato l'estratto integrale con note
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