-  Cendon Paolo  -  02/03/2017

Funzione empatico-descrittiva delle sentenze – Paolo Cendon

Descrivere/riconoscere con franchezza e dovizia tutti i capitoli del male che è stato arrecato alla vittima. Mi limito qui al settore della responsabilità civile; è evidente come il discorso abbia, però, valenze più generali. Anche diritto di famiglia, minori in genere, lavoro, diritti della personalità, soggetti deboli, istituzioni "cattive", arroganze della pubblica amminstrazione.

In ciascuna di queste ipotesi, ecco: ci sono casi in cui parlare di funzione "reintegratoria", di funzione "preventiva", di funzione "distributiva", e aspetti simili, non vale a esaurire la gamma degli obiettivi tecnico/antropologici che - attraverso un provvedimento di condanna del danneggiante - l"ordinamento è chiamato a raggiungere.

Alludo in particolare alle situazioni in cui il bisogno maggiore (spesso insopprimibile) nella persona della vittima è  che abbia luogo da parte del giudice, nel seno della sentenza, un riconoscimento tanto esplicito quanto accurato (1) delle specifiche modalità di condotta del defendant e (2) delle ripercussioni che quel torto ha arrecato entro la sfera personale, quotidiana, dell"offeso.

Aggiungerei quanto segue:

# La necessità di un "riscontro comprensivio, minuzioso e partecipe" degli "sconvolgimenti esistenziali", delle "ombre psichiche" che si sono create, delle "pene sofferte" dall"attore, appare tanto più acuta quanto meno quest"ultimo mostri di essere stato (durante l"istruttoria, nel corso del dibattimento), accettato, seguito, ascoltato, creduto e "compreso" dagli avversari, dai mass media, dalle autorità, nell"ambiente circostante, dai giudici di primo grado.

# E" indispensabile che sia proprio il provvedimento giudiziale a esercitare tale mansione araldica, se è vero che nessun"altra tra le fonti pubbliche o tra gli strumenti di comunicazione (internet, social, giornali, TV, interviste, bollettini, libri autobiografici) potrebbero farlo con la stessa "autorevolezza-fragranza ricompositiva".

# Se quell"esigenza narrativo/catastale, "nel nome del popolo italiano", rimanesse disattesa, sconfitta, il sistema mancherebbe, ripeto, ad alcuni dei suoi compiti, che sono essenzialmente il "rendere pienamente giustizia" a chi ha battuto alla sua porta.

# Insomma: non è solo questione di riprendere istituzionalmente il motivo della "descrittività" delle varie voci del danno non patrimoniale (cfr. Cass, S.U. 26972/2008), e nemmeno di soddisfare, grazie a un tasso adeguato di analiticità nella cronaca, l"esigenza di una possibilità di verifica circa la congruenza e fondatezza delle cifre risarcitorie, stabilite dal giudice, anche in vista di eventuali impugnazioni, da una parte e dall"altra.

# Dare soddisfazione a 360° gradi invece – ecco il nodo - a chi ha sofferto, saper narrare, toccare e raggiungere, nel riassunto complessivo dei fatti, prima di scrivere la parola "the end", anche i  tessuti e le parti liquide-profonde dell"attore, aiutarlo mentalmente a chiudere la partita, a voltare pagina, senza carichi residui di frustrazione, senza più fantasmi nell"armadio o scorie di delusione, di rabbia, di senso di aridità, di impotenza burocratica, di rancore, di sfiducia nel diritto e nel mondo.

# un bisogno di verità, insomma, di ammissione partecipe, di rendiconto civile e leale dell"accaduto: far sì che non sia materialmente successo il male che è accaduto è (inutile dirlo) impossibile per tutti; neanche il diritto possiede bacchette magiche; si possono però far uscire dal semi-buio, quantomeno, i fatti e i misfatti avvenuti, "i cespugli del cuore" (Sartre), è possibile per l"estensore mettersi dal punto di vista del danneggiato, a cui si è deciso di dare ragione, sfogliando con lui e accanto a lui le pagine della sua storia, i capoversi centrali, le singole pieghe, le sfumature, i passaggi dell"intera vicenda: per quanto concerne, sottolineo ancora, (a) sia le fasi di commissione del male,  (b) sia il ventaglio di tutto ciò che, di negativo e doloroso, è stato patito.

# Ciò che in sostanza serve  al plaintiff è che davanti a lui (e al cospetto del soccombente, di tutti i personaggi della storia, vicini e lontani, dei cittadini lettori) il giudice dica/proclami apertamente: "Questo almeno ti dobbiamo adesso, la disponibilità a parlare di te, un po" di tempo da dedicarti, il tono insieme affettuoso e indignato, la condivisione, l"adesione. E nel narrare i vari punti non saremo neanche troppo laconici, disattenti, eccessivamente poveri di parole. Sappiamo cioè che non ti importa solo dei soldi, anche se di questi hai bisogno, certo, per restaurare i tuoi beni e i tuoi fondali perduti. Prendiamo atto, senza mezze tinte, come il punto essenziale per te sia proprio il dato di questo suggello ufficiale, svolto da noi in modo ricco, gentile, esaustivo".

# Sentenze "lunghe" quindi, in cui ciò che conta è la parte della motivazione non meno di quella del dispositivo. Non si tratterà per l"estensore di riportare, beninteso, le brutture nei dettagli più orrendi o più urtanti; o, quantomeno, occorrerrà non ferire una seconda volta, raccontando, chi ha subito il male. Trovare i toni giusti, insieme caldi ed eleganti: inserire direttamente o indirettamente nella sentenza brani estratti dagli atti processuali.

# Garbo, premura, solidarietà. Soffermarsi sui singoli pregiudizi, sui contraccolpi anche minuti. Sulle conseguenze grandi e piccole: (x) quelle – mi limito sempre alla parte non patrimoniale - interne, emotive, ricordate col tono di chi mostra di sapere, per l"esperienza che ha, di quale materia siamo fatti, noi esseri umani, cosa ci fa più soffrire: (y) quelle di tipo psichico-biologico, servendosi magari di pezzi delle consulenze, ufficiali o anche di parte; (z) quelle esterne, mondane, secolari, relazionali, illustrate via via con la sensibilità di chi non ignora quali meccanismi ostracistici, depressivi, amputanti, rinunciatari, possono mettersi in moto, in seguito all"illecito, sul terreno degli affetti, del lavoro, della vita sociale, del tempo libero, della creatività.       




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