-  Redazione P&D  -  21/03/2017

Fenomeno e profilo criminologico dei maltrattamenti in famiglia - Cass. Pen. 10901/17 - Chiara Menicatti

Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p. si inserisce nel contesto penalistico dei delitti contro lo stato di famiglia, oggetto di riforme che hanno rivisitato in chiave più ampia il concetto di famiglia, ad oggi improntato su legami e rapporti parentali con l"emersione del fenomeno della famiglia di fatto e l"equiparazione della filiazione naturale e legittima.

In tale fattispecie, il legislatore ha inteso salvaguardare un legame giuridico intercorrente tra persone appartenenti alla medesima famiglia o ad un vincolo ad essa stessa assimilabile con la conseguente tuteladell"integrità psicofisica, del patrimonio morale, della libertà e del decoro del soggetto passivo del reato.

Il delitto de quo si perfeziona a fronte della sussistenzadi una serie di condotte lesive; si tratta di fatti che potrebbero avere connotati di natura commissiva od omissiva e che si  reiterano nel tempo determinando nel soggetto passivo una discrepanza psicologica, morale o fisica.

I fatti portati al cospetto della Corte di Cassazione, riguardano un soggetto assolto in primo grado dal reato di maltrattamenti ai familiari o conviventi, in specie, maltrattamenti psicologici e fisici verso il figlio della convivente, in quanto ritenuti dal Giudice di prime cure "comportamenti ordinari, poco urbani, frutto di sottocultura e maleducazione, ascrivibili in una mentalità maschile poco aperta, riconducibile ad una mascolinità retrograda e superata".

Gli Ermellini affrontano quindi una problematica peculiare, volta alla corretta canalizzazione motivazionale addotta dal Tribunale di primo grado rispetto ad una condotta palesemente rilevante sotto il profilo penalistico, ritenendo quindi che lo stesso non abbia applicato i princìpi di diritto in relazione all"elemento oggettivo e soggettivo dell"art. 572 c.p..

I comportamenti considerati poco urbani, frutto di sottocultura e maleducazione, ascrivibili in una mentalità maschile poco aperta, riconducibile ad una mascolinità retrograda e superata, potrebbero senza dubbio alcuno essere considerati come frutto di un fenomeno di natura criminologica.

Difatti a parere di chi scrive, è proprio l"aspetto criminologico che in tale sede occorre considerare per poter tracciare ab origine il discrimen tra condotte penalmente rilevanti e non, ciò anche a fronte della possibilità di far valere sotto il profilo sostanziale l"istituto della rieducazione del reo.

Autorevole dottrina criminologica descrive come la famiglia assuma una duplice ed antitetica valenza.

Da un lato, viene considerata un luogo di protezione dal crimine, di apprendimento di valori sociali, di rifugio e protezione dell"individuo a fronte del fatto che la stessa sia il primo e il più pregnante nucleo della socializzazione ove si realizzano i primi modelli delle relazioni interpersonali che formeranno nel corso di tutta la vita chi ne è parte.

Dall"altro essa può divenire un luogo patologico ed inadeguato alimentando una peculiare delittuosità violenta che si differenzia dalle altre per l"habitat particolare e per le strette relazioni esistenti fra vittime e rei.

Tale ambivalenza si riflette nel diritto penale laddove i rapporti di famiglia sono in taluni casi considerati come fattori di aggravamento del crimine ed in altri casi come fattori di attenuazione dello stesso.

Nel caso che ci occupa, non vi è alcun dubbio come la famiglia sia stata per il minore fino ad allora un luogo macchiato da fattori criminogeni e come tali debbano essere riconsiderati, valutati e perseguiti penalmente.

(Approfondimenti: Ponti- MerzagoraBetsos, Compendio di criminologia ult. Ed.; Graziano Pujia - Roberta Nardone, La violenza nelle relazioni familiari, in Rassegna Penitenziaria criminologica anno 2010)

 

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 febbraio – 6 marzo 2017, n. 10901 - Presidente Carcano – Relatore Gianesini

Ritenuto in fatto

1. Il Pubblico ministero presso il Tribunale di Ravenna e il Difensore della parte civile C.R. hanno proposto ricorso "per saltum" in Cassazione contro la sentenza con la quale il Tribunale di Ravenna ha assolto, perché il fatto non sussiste, A.S. dal reato di cui all"art. 572 cod. pen. per aver maltrattato il C. , figlio della moglie convivente e ancora dai reati di cui agli artt. 614 e 624 bis cod. pen..

2. Il Pubblico ministero ha articolato due motivi di ricorso, entrambi riferiti a violazione di legge penale sostanziale ex art. 606, comma 1 lett. b cod. proc. pen..

2.1 Con il primo motivo, riferito al reato di cui all"art. 572 cod. pen., il ricorrente ha segnalato che la vicenda processuale esaminata dal primo Giudice registrava la presenza di ripetute condotte psicologicamente violente realizzate mediante reiterazione sistematica di atti di disprezzo e di denigrazione del minore con sopraffazione morale della persona offesa, condotte tali da concretare sicuramente la fattispecie di maltrattamenti anche da punto di visto dell"elemento soggettivo.

2.2 Con il secondo motivo, riferito al reato di cui all"art. 614 cod. pen., il ricorrente ha segnalato che, nonostante la separazione di fatto esistente tra i coniugi nel periodo in cui i fatti si erano realizzati, il titolare del diritto di esclusione di terzi andava comunque individuato nel coniuge che era rimasto nella abitazione comune e si esercitava anche nei confronti del coniuge trasferito.

3. La Parte civile C.R. ha articolato un unico motivo di ricorso, riferito a inosservanza ed erronea applicazione di legge penale sostanziale in merito alla imputazione di cui all"art. 572 cod. pen.

3.1 Il ricorrente, dopo aver premesso che lo stesso Tribunale aveva riconosciuto l"esistenza materiale dei fatti enunciati nella imputazione, ha segnalato che l"imputato aveva realizzato sistematicamente condotte violente, vessatorie e sopraffattrici sicuramente qualificabili come maltrattamenti ai sensi dell"art. 572 cod. pen., sia dal punto di vista materiale che da quello dell"elemento psicologico.

Considerato in diritto

1. La sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna, trattandosi di ricorso "per saltum" ex art. 569, comma 1 cod. proc. pen., per nuovo giudizio in riferimento ai reati di cui ai capi A (art. 572 cod. pen.) e B (art. 614 bis cod. pen.), dato che per il reato di cui al capo C di furto in abitazione ex art. 624 bis cod. pen. non c"è impugnazione.

2. In merito al reato di maltrattamenti di cui al capo A va subito osservato che le condotte enunciate nel relativo capo di imputazione sono state riconosciute come effettivamente esistenti dallo stesso Tribunale di Ravenna, che ne ha escluso però il carattere di maltrattamento penalmente rilevante sulla base della considerazione che si sarebbe trattato di condotte "in parte ordinarie, in parte poco urbane, in altra parte frutto di sottocultura e di maleducazione..... iscrivibili in una mentalità maschile poco aperta, riconducibile ad una mascolinità retrograda e superata".

3. Il Tribunale di Ravenna non sembra aver fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione in tema di elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all"art. 572 cod. pen..

3.1 Sul primo punto, è noto che le condotte di maltrattamento raggiungono la soglia della rilevanza penale quando si collochino in una più ampia ed unitaria condotta abituale idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (Cass. Sez. 6 del 27/5/2003 n. 37019, Caruso, Rv 226794); è sufficiente la mera lettura delle condotte enunciate nella imputazione e la considerazione, fondata sulle dichiarazioni dei testi e in particolare del minore C.R. , per cui le stesse si svolgevano con abitualità e ripetitività lungo un ambito temporale decisamente assai rilevante (la contestazione data dal 2005 al settembre del 2011) per concludere che ci si trova qui in presenza di condotte sicuramente maltrattanti, caratterizzate come sono da manifesto disprezzo nei confronti della personalità morale e della dignità del minore e da minute ma reali violenza fisiche e certe e positive violenze morali.

3.3 Anche sotto il profilo dell"elemento soggettivo del reato, quello che il Tribunale di primo grado sembra aver particolarmente esaminato e valutato, va rilevato che un intento intermittentemente scherzoso o giocoso non esclude certo il dolo del reato, che si caratterizza per la coscienza e volontà di sottoporre la persona offesa ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuato ed abituale (tra le tante, di identico, tenore, si veda Cass. Sez. 6 del 28/3/2012 n. 15680, Rv 252586), estremo quest"ultimo che appare manifestamente sussistente una volta che si valuti la lunga e dettagliata descrizione delle condotte maltrattanti enunciate nella imputazione e la natura e la "qualità" delle stesse.

4. Quanto infine al reato di cui all"art. 614 cod. pen. di cui al capo B, basterà qui mettere in evidenza che il Tribunale ravennate non si è adeguato al principio di diritto secondo il quale in tema di violazione di domicilio, nella ipotesi in cui, in seguito ad una separazione di fatto, uno dei coniugi abbia abbandonato l"abitazione familiare trasferendosi altrove, l"unico titolare del diritto di esclusione di terzi va individuato nel coniuge rimasto nella abitazione familiare (Cass. Sez. 5 del 21/9/2012 n. 47500, Catania, Rv 254518); la B. , quindi, contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice di primo grado, era titolare effettiva di un diritto di esclusione nei confronti dell"A. .

P.Q.M.

anulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte di Appello di Bologna.

 

 




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