Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  24/11/2022

“Erano Donne ? No, ‘puttane’ per sempre”

In un novembre bagnato di sangue le Associazioni di donne  protestano contro l’articolo di Bati sulla stampa

Il fatto: un articolo sulla stampa che riporta  la cronaca di uno scrittore,  Patrizio Bati, all’indomani della morte di tre donne, sulla sua esperienza di sfruttamento della prostituzione femminile, ricordando quelle stesse donne in vita. Questo l’incipit del suo racconto: “ Io la conoscevo bene. Conoscevo l’appartamento  … tra il 2010 e il 2018 sono stato almeno 20 volte… ricordo bene la prima donna assassinata: pelle ambrata, capelli lunghi e neri, incisivi leggermente sporgenti, orientale ma forse non cinese…”

Gentile direttore Giannini,

Preso atto della sua risposta a chi ha protestato, tra cui molte donne e altre associazioni prima di noi, per l’articolo di Patrizio Bati, sulla sua frequentazione della casa nella quale sono state uccise due donne (di cui non è stato ancora possibile conoscere il nome per mancanza di documenti, e di cui si sa solo nazionalità e stile di vita) vorremmo aggiungere ancora qualcosa a quanto è stato già scritto da altre.

Noi sappiamo che dire prostituzione, quello che viene chiamato mestiere, è parlare di una delle attività più pericolose per una donna, di frequente mortale. In questo caso abbiamo dato per scontato, sbagliando, che di fronte all’orrore di via Riboty, lo spazio di espressione della “società civile” fosse tutto orientato a sottrarre complicità all’immaginario e ai gesti che hanno accompagnato in vita quelle donne, e le hanno anche portate alla morte. 

Si tratta di tre donne, vittime di femminicidio in quanto vittime di un sistema prostituente.

La denuncia, in questo e in altri casi, è fatta quotidianamente dalle donne, testimoni e sopravvissute che, non solo in Europa, lottano per abolire qualsiasi forma di legalizzazione della mercificazione delle prestazioni sessuali: emblematicamente in due parole la legalizzazione dello “stupro a pagamento”.

Dopo la lettura dello scritto di Bati ci chiediamo: è ammessa l’ignoranza di quanto il femminismo ha detto e continua a dire sul mercato della prostituzione, cioè sugli stupri a pagamento? Forse anche questo, di questi tempi, sembra difficile da stabilire con certezza? 

L’unica certezza è che alle regole del giornalismo si impongono cambiamenti prescritti dalle convenzioni internazionali, mentre i codici della comunicazione si attengono a pratiche spesso ignare del peso delle parole sulle espressioni violente del genere maschile, pratiche che sostituiscono gli usi alle norme.

Il suo giornale, pubblicando l’articolo o meglio il racconto del povero Bati, voleva “stare sul pezzo”? Davvero ci sembra paradossale, come lo sarebbe pubblicare uno dei tanti testi, letterari, accademici, giornalistici, processuali etc. che mostrano gli

autori di stupri come vittime di patologie sessuali compulsive e quindi posti sullo stesso piano delle vere vittime, donne sfruttate o persino schiave oggetto di tratta.

Per inciso, visto che in altri suoi scritti ha affermato di raccontare storie realmente accadute e vissute, il povero Bati era un frequentatore di donne in prostituzione, uno sfruttatore dei loro corpi, un utilizzatore non ultimo o finale (come usavano dire gli avvocati difensori di Berlusconi) ma di sicuro in prima linea a sostenere il sistema dell’oppressione e della soggezione femminile, avendone goduto e si suppone pagato per almeno una ventina di volte. Facendo astrazione dalla godibilità degli scritti autobiografici dell’autore in via generale -chiunque può giudicare da sé, non sono scritti clandestini e non c’è più l’Indice dei libri proibiti- il suo comportamento sarebbe stato oggetto, in uno dei paesi civili dove vige il cd. modello nordico, di penalizzazioni e non di spazi a profusione, per allietare i suoi simili con ameni racconti di vita quotidiana maschile. Da questi ‘spazi’ che gli uomini si concedono, noi tutte prendiamo le distanze e li additiamo come gesti, anzi reati, contro la dignità della donne (unendoci, in questo, alla Corte costituzionale che ha stigmatizzato la compravendita dei corpi femminili, consensuale o meno) e gridiamo a gran voce che si tratta di violenza e di femminicidio, perché il femminismo a cui ancora ci richiamiamo, non ha mai diviso le donne in angeli del focolare e puttane, e quindi ci dichiariamo tutte parte lesa per la persecuzione, segregazione, annullamento di ogni diritto, stupro continuato e morte di queste tre donne.

La letteratura e l’arte, che piacciano o no, non sono sottoposte ai criteri di pubblica responsabilità che dovrebbe vincolare alle convenzioni internazionali (CEDAW e Convenzione di Istanbul) e a quelle sottoscritte dai nostri enti locali, per una comunicazione che non sia lesiva dei diritti delle donne. Vive o morte che siano. La libertà dell’arte non ha liberato lei, Direttore, e la sua redazione da questa responsabilità, e lei certo sa bene di che parliamo. Parliamo della libertà della creazione e artistica, e della conseguente libertà di espressione degli autori, la quale tuttavia non giustifica il fatto che sia comparso sul suo giornale il “pezzo” di Bati, cioè il resoconto di esperienze concrete e rivendicate come reali, non fiction, ma lacerti di un’esperienza personale, scritto dopo la morte delle donne per ottenere forse un momento di gloria, o solo per affermare: “io le conoscevo bene, le puttane”. Il povero Bati (povero, dal nostro punto di vista, perché è il suo racconto e dunque la sua esperienza è di una semplicità da Io Tarzan, tu Jane con urla e liane incluse e i cestini di preservativi usati, che non si capisce come mai non si svuotino più spesso, mah) ha dato conto, utilizzando l’eco pubblicitaria e lo scalpore di più femminicidi in sequenza, solo del piacere maschile di usare violenza e mostrare così il proprio potere sulle donne. Non c’è traccia, nel racconto da lei pubblicato, di una pur minima ripulsa o dissociazione, di un sentimento di lutto ed empatia, tutto il campo è occupato dal veicolare gli usi e costumi degli uomini affidando non si sa a quale “intelletto d’amore” delle lettrici e dei lettori l’impresa eroica di scorgere un barlume di tristezza, per non parlare di denuncia. Confondere e sovrapporre cronaca e letteratura non è a nostro parere buon giornalismo, e tantomeno è giornalismo di denuncia contro il sistema prostituente.

La sua spiegazione poi “le ragioni per le quali abbiamo deciso di pubblicare il testo di Bati, le abbiamo spiegate a fondo sul giornale di oggi, a partire dalle lettere di dissenso” fa acqua da tutte le parti: non solo è una tardiva carrozzella di ritorno ma non dà conto della scelta di collocare in un contesto drammatico di femminicidio, di fatto del tutto ignorato, il racconto di un uomo sulle proprie relazioni con donne in prostituzione. Certo, ci vuole un maschio a spiegarci la prostituzione, ed è un peccato che Bati non le abbia intervistate da vive su cosa volevano dire, per loro, i gesti e le circostanze della loro quotidianità. Sarebbe stato un bel salto far parlare una donna, specialmente una donna dall’altro lato del “contratto”, ma c’era Bati a disposizione e lei, Direttore, forse ha pensato che andasse benissimo. Solo che poi è venuto fuori che l’A. voleva descrivere le tre morte ammazzate da un serial killer femminicida per come erano da vive, in modo che annegassero ancora una volta nel disgusto di relazioni spersonalizzanti, da schiave quali erano o erano state. Ci è riuscito. Erano donne? No. Puttane per sempre. 

Associazione Salute donna

Udi Napoli

Protocollo Napoli

Collettivo Luna Rossa

Associazione Terra di Lei

Arcidonna

Associazione Donne Insieme

Agorà-Pozzuoli

21/11/2022

In allegato l'articolo 


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