-  Gasparre Annalisa  -  17/02/2016

DIVIETO AVVICINAMENTO AI LUOGHI FREQUENTATI DAL FIGLIO E DIRITTO DI VISITA – Cass. pen. 45686/15 – Annalisa Gasparre

atti persecutori nei confronti della madre del figlio

ordinanza di misura cautelare

divieto avvicinamento luoghi frequentati anche dal figlio minore convivente con la p.o.

esigenza di impedire attraverso l'applicata misura la strumentalizzazione del diritto di visita nei confronti del figlio minore, per porre in atto comportamenti minacciosi nei confronti della ex coniuge

Sul punto la Corte chiarisce che la misura cautelare "non è volta ad impedire il diritto di visita/frequentazione padre-figlio, bensì ad impedire che l'indagato possa reiterare la condotta recandosi presso l'abitazione" della persona offesa. Ove l"indagato/genitore "intenda incontrare il minore anche in forma protetta ed al limite anche tramite servizi sociali, dovrà rivolgere apposita istanza in sede civile per la diversa regolamentazione del diritto di visita ed incontro".

Sul reato di stalking, le specifiche misure cautelari e altri profili, Gasparre, IL REATO DI STALKING TRA PROFILI TEORICI E APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI, Key Editore, settembre 2015

 

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-10-2015) 17-11-2015, n. 45686 - Pres. Nappi, Rel. Pezzullo

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza in data 20.7,2015, ha confermato in sede di riesame ex art. 309 c.p.p., l'ordinanza di applicazione della misura nei confronti di T.T. del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla p.o. P. S., alla madre della stessa (Tu.Fe.) e al figlio minore (T.M.) conviventi con la persona offesa, prescrivendo all'indagato, di non avvicinarsi, senza l'autorizzazione del giudice procedente, ai luoghi abitualmente frequentati dalla parte offesa, con particolare riguardo al luogo di dimora e al luogo di lavoro e, comunque, di mantenersi a distanza da tali luoghi, con divieto di avvicinamento a meno di 300 metri, facendo contestualmente divieto al T. di comunicare - attraverso qualsiasi mezzo telefonico, telematico o di altra natura - con P.S. e con la madre di questa ( Tu.Fe.), in relazione al reato di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p..

1.1. In particolare, la persona offesa, P.S., con querela sporta in data 26.5.2015 denunciava, tra l'altro, come il T. si fosse reso protagonista, a seguito della separazione dalla medesima, avvenuta nel giugno 2014, di una serie di condotte moleste e minatorie nei suoi confronti e dei suoi familiari dal mese di settembre 2014, consistenti in pressanti controlli e visite presso la sua abitazione, in stato di alterazione alcolica, prendendo a pretesto e strumentalizzando il diritto di visita del figlio minore per importunare e molestare la ex moglie.

2. Avverso la suddetta ordinanza il T. ha proposto ricorso per cassazione, con il quale lamenta:

- con il primo motivo, la mancanza di motivazione in merito alla richiesta effettuata con il riesame, tesa a ristabilire anche in forma protetta ed al limite anche tramite servizi sociali, le frequentazioni con il figlio, T.M., in considerazione del forte legame e delle pressanti richieste in tal senso avanzate quotidianamente dal minore, che ha sempre avuto un rapporto molto sereno con il ricorrente, rapporto che nel tempo è sempre stato continuativo e mai caratterizzato da violenza, neanche verbale; in dipendenza del forte e sereno legame con il padre, il piccolo M. è il primo a soffrire di tale distacco forzato, chiedendo ogni giorno al padre, nel corso dei colloqui telefonici, di poterlo incontrare; il ricorrente non ha mai fatto mancare al figlio la necessaria assistenza materiale e morale, il supporto ludico, nè è assuntore abituale di alcool; sull'effetto negativo dell'interruzione del rapporto con il figlio minore, come su tutte le motivazioni addotte dalla difesa nel corso del riesame il Tribunale ha omesso di pronunciarsi;

- con il secondo motivo, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, laddove l'ordinanza impugnata, a fronte di soli tre episodi denunciati dalla P. ed intercorsi nell'arco di neanche due mesi (il primo episodio è del 2.04.2015 e l'ultimo del 25.05.2015), indica, come elemento giustificativo della sussistenza dell'esigenza di cuiall'art. 274 c.p.p., lett. c), la "decisamente apprezzabile protrazione temporale" dei "singoli episodi descritti in sede di capo di imputazione provvisorio", valutazione questa contraddittoria tenuto conto, invece, del breve lasso temporale; inoltre, ulteriore ed ancor più grave aspetto contraddittorio ed illogico della motivazione dell'ordinanza in oggetto è quello che giustifica l'estensione della misura cautelare del divieto di avvicinamento al minore T.M. alla circostanza che due dei tre episodi contestati si sono "verificati presso l'abitazione della P., in occasioni in cui l'indagato si era recato per farsi consegnare il minore, in riferimento alle specifiche condizioni concordate in sede di procedimento di separazione personale", avendo il ricorrente "strumentalizzato il proprio diritto di visita nei confronti del figlio minore al fine di porre in atto comportamenti minacciosi nei confronti della coniuge";

- con il terzo motivo, l'inosservanza di norme giuridiche e segnatamente delle norme che, in conformità con i principi già garantiti dalla Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia (ratificata e resa esecutiva dall'Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176), sono state inserite nel "Protocollo d'Intesa tra il Ministero della Giustizia, l'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza e l'Associazione Bambini senza sbarre Onlus" siglato nel nostro Paese il 21 marzo del 2014; tale protocollo - detto anche "La Carta dei figli dei genitori detenuti" - riconosce formalmente il diritto dei minorenni alla continuità al proprio legame affettivo con il proprio genitore detenuto e, al contempo, ribadisce il diritto alla genitorialità; non vi è dubbio che, se tale diritto alla continuità dei rapporti affettivi è garantito ai detenuti ed ai loro figli, a maggior ragione deve essere garantito, anche tramite frequentazioni protette, a chi ancora non ha subito una condanna definitiva, o a chi, come il sottoscritto, è ancora in attesa del primo grado del procedimento e ciò soprattutto per la tutela del soggetto più vulnerabile a seguito di un distacco così repentino e brusco: il bambino; i principi recati da tale disposizione e da tutto il citato Protocollo d'intesa sono, nel superiore interesse del minore, analogicamente e ragionevolmente applicabili anche a chi come il ricorrente, ancor prima di un giudizio, si è visto interrompere totalmente il proprio diritto di frequentazione con il figlio minore, pur avendo fornito il consenso a qualsiasi tipo di visita, anche tramite servizi sociali, pur di preservare la continuità del legame affettivo, cruciale per lo sviluppo psico-affettivo del bambino; un minimo di un incontro settimanale risulta essere in conformità con quanto appurato tramite studi di settore, l'unico strumento di mantenimento del legame affettivo, importante per crescere, per riparare all'interruzione spesso improvvisa del rapporto con il genitore, potenzialmente traumatica e per evitare che questo comprometta una sua crescita equilibrata.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.

1. La richiesta di riesame e conseguentemente il presente ricorso sono dichiaratamente finalizzati a "ristabilire frequentazioni od incontri anche protetti tra l'indagato ed il figlio minore T. M.", ma le doglianze relative a tale esigenza non possono essere proposte in questa sede, bensì in sede civile. Ed invero, con i tre motivi di ricorso, così come in sede di riesame, il T. non contesta in sostanza che alcuni episodi integranti il grave quadro indiziario a suo carico per il delitto di stalking si sono verificati in occasione della visita presso l'abitazione della P. per la consegna del figlio minore in riferimento alle specifiche condizioni concordate in sede di procedimento di separazione ed è proprio in relazione all'esigenza di evitare che l'indagato strumentalizzi il proprio diritto di visita nei confronti del minore, ponendo in essere comportamenti minacciosi nei confronti della moglie, anche in presenza del piccolo, che è stata applicata la misura del divieto di avvicinamento in questione.

1.1. Nell'ordinanza applicativa della misura, integralmente richiamata dall'ordinanza impugnata, si legge che il T. si è spesso presentato presso l'abitazione della ex moglie, approfittando della giustificazione di vedere il figlio, visite queste in realtà finalizzate a verificare chi si trovasse eventualmente in casa, contestando alla ex moglie le sue frequentazioni ed operando, quindi, una sorta di controllo sulla vita privata della donna. In particolare, le dichiarazioni della parte offesa hanno trovato conferma, oltre che nelle convergenti dichiarazioni delle persone informate sui fatti, anche dall'intervento di P.G. effettuato in data 27 aprile 2015 presso l'abitazione della P. su chiamata di quest'ultima per una lite, durante la quale gli operanti riscontravano la presenza del T., in stato alterazione.

Inoltre, in data in data 25 maggio 2015 il T. si presentava presso l'abitazione della parte offesa, in evidente stato di alterazione alcolica, iniziando ad urlare di far scendere il piccolo M. ed al rifiuto della P. che non si fidava di consegnare il bambino di anni (OMISSIS) ad una persona in evidente stato di ebbrezza alcolica, il T. entrava nello stabile e iniziava a bussare insistentemente alla porta dell'abitazione e, riuscito ad entrare, inveiva contro le donne presenti (la persona offesa e la di lei madre) proferendo nei loro confronti ingiurie.

2. In tale contesto non si ravvisa il vizio motivazionale denunciato con il primo e secondo motivo di ricorso, atteso che il Tribunale del riesame, dopo aver preso atto della mancanza di contestazione dei gravi indizi di colpevolezza da parte dell'indagato, in relazione al delitto di cui all'art. 612 bis c.p. e ritenuto la sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274 c.p.p., lett. c), per le connotazioni oggettive della condotta e per l'apprezzabile protrazione temporale denotanti il chiaro deficit di autocontrollo nei confronti dei soggetti riconducibili all'ormai disciolto nucleo familiare, ha con motivazione non illogica evidenziato come la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa sicuramente fosse munita dei requisiti della proporzionalità e adeguatezza.

2.1. In proposito, la doglianza, secondo cui l'arco temporale di verificazione degli episodi persecutori non si presenta significativo, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, non appare condivisibile, atteso il lasso di tempo richiamato è stato ritenuto senza illogicità apprezzabile.

2.2. Con specifico riguardo, poi, all'estensione del divieto di avvicinamento anche nei confronti del figlio minore convivente con la p.o., il Tribunale con motivazione immune da vizi ha evidenziato che l'art. 282 ter c.p.p., comma 2, prevede che il divieto di avvicinamento possa essere imposto anche in riferimento a prossimi congiunti della persona offesa od a persone con questa conviventi, o, comunque, legati da relazione affettiva, qualora sussistano "ulteriori esigenze di cautela" ravvisabili anche nei loro confronti e nella specie il fatto che due degli specifici episodi contestati al T. si erano verificati presso l'abitazione della P., in occasione della consegna del figlio minore, determinava l'esigenza di impedire attraverso l'applicata misura la strumentalizzazione del diritto di visita nei confronti del figlio minore, al fine di porre in atto comportamenti minacciosi nei confronti della ex coniuge.

2.3. Orbene, ove occorrente, va rimarcato che tale misura non è volta ad impedire il diritto di visita/frequentazione padre-figlio, bensì ad impedire che l'indagato possa reiterare la condotta recandosi presso l'abitazione della P., sicchè ove lo stesso intenda incontrare il minore anche in forma protetta ed al limite anche tramite servizi sociali, dovrà rivolgere apposita istanza in sede civile per la diversa regolamentazione del diritto di visita ed incontro.

2.4. Inconferente in tale contesto si presenta il richiamo ai principi già garantiti dalla Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia non risultando direttamente pregiudicato dalla misura in questione il diritto di visita e frequentazione padre/figlio.

3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere la generalità e gli altri identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015.

 

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2015




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