-  Redazione P&D  -  26/08/2007

CRONACA DI UN URAGANO (NON) ANNUNCIATO – Lorenza MORELLO

Per scrivere sul rapporto tra geografia reale e geografia letterari, si offrono due strade tra loro diverse, che portano in direzioni diametralmente opposte. La prima è indicata da Franco Moretti, docente di letteratura comparata alla Columbia University di New York, che ha pubblicato un esemplare Atlante del romanzo europeo 1800-1990 dove individua, tra l’altro, com’erano fatte l’Inghilterra di Jane Austen, la Spagna del romanzo picaresco, la Francia balzacchiana della Comédie humaine. L’altra strada è quella precorsa da un giovane autore italiano che scrive romanzi a metà strada tra il noir e il poliziesco, il cui nome è Andrea G. Pinketts. In limine al suo romanzo Lazzaro vieni fuori (Feltrinelli, 1997), Pinketts testualmente avverte: "I fatti, i luoghi e i personaggi di questo romanzo sono puramente immaginari. Mi si potrebbe obiettare che esiste una regione chiamata Trentino Alto Adige e un paesino chiamato Bellamonte. Mi sento obbligato a specificare che sia il Trentino che Bellamonte, com'è noto, li ho inventati io".
Ed a volte è un po’ così che ci si sente quando si cerca di raccontare il vissuto.

Dopo un anno passato a correre dietro a scadenze, riunioni ed incombenze, mi ritrovo in vacanza alla Martinique, isola dalla vegetazione di un’intensità sfolgorante, che ricorda i quadri di Gauguin o i racconti del caribe di Marquez. Un pomeriggio dedicato all’otium catulliano viene, però, turbato da una notizia che la direzione del club porge alla gentile clientela data in stile: “Stanotte arriverà un uragano. Dovete chiudervi in stanza alle 19.00 e non uscire finché il personale non verrà a dirvi che è cessato l’allarme. Vi verranno forniti viveri per i prossimi giorni, ci scusiamo per il disguido”.

"Come, prego??! E da quanto lo sapevate?". "Da due giorni, ma non volevamo creare allarmismi". "Ma a saperlo ci organizzavamo per trovare un volo e tornare a casa". Sorriso ironico dell'interlocutore "Tanto non c'erano aerei, stanno già tornando a casa tutti quelli che lo sapevano". Lascia basiti la risposta da commedia dell'arte.

La tempesta ci ha sorpresi nella notte. Tutto il villaggio era stato preventivamente privato dell’energia elettrica, per cui l’attesa di Dean era stata resa più greve dall’aria dei carabi, che entrava con la sua rotondità tropicale nelle narici e si posava sulla pelle senza l'attenuazione del condizionatore, rendendo particolarmente lunga quella notte di turisti chiusi nelle proprie stanze senza avere la reale percezione di ciò che sarebbe accaduto.
Un uragano annunciato nel pomeriggio da un capo villaggio, siamo sinceri, tutto può suonare tranne che come qualcosa di pericoloso. Dopo il “gioca caffè” e Dio sa quale altro ridicolo passatempo per turisti svogliati, “Signore e signori, questa sera, l’uragano Dean”. Personalmente, senza dubbio, sarei stata più infastidita davanti all’ennesima richiesta di partecipare ad un gioco di gruppo piuttosto che dal sapere dell’uragano.
E poi te lo trovi lì, nel cuore della notte, che si chiami Dean o Katrina o come vuoi tu, la vera forza contro la quale ti devi misurare quando ti ritrovi in una situazione del genere è la consapevolezza di essere solo. Solo davanti all’ineluttabilità della natura. Solo davanti al tuo prossimo, ai tuoi compagni di viaggio che, da persone simpatiche ed affabili, trasfigurano in tanti personaggi di Lord of the flies

Non credo che ciò che si prova possa essere definita paura, quanto piuttosto stupore e consapevolezza. Lo stupore di quanto non ci si fosse mai avvicinati alla reale percezione di ciò che una calamità naturale di quel genere è: l’acqua che entra da ogni dove, le palme sradicate, il vento che soffia così forte da coprire la voce del tuo vicino. Assistere da dietro ad un vetro allo “spettacolo”. Come in un cinema in 3D molto convincente, ti scopri a chiederti “che fine faranno i nostri eroi?”. Ecco la consapevolezza. Sei consapevole che non puoi fare altro che aspettare. Aspettare che la tempesta si plachi, o aspettare di essere spazzato via. E così inizi a pensare. A chi vorresti dire “Ti voglio bene” ancora una volta, a tutte le cose belle che la vita ti ha donato, a quante futilità hai permesso di invadere il tuo quotidiano, e a quanti dei problemi e dei progetti futuri, che prima sembravano fondamentali, potresti rinunciare senza nessuna fatica e a quelli che, invece, abbandoneresti con rammarico. E a come sei, davvero, piccolo e inerme.

Tornando, poi, dalla sfera intima a quella pratica, il racconto si potrebbe concludere così. Il personale addetto alle cucine ed alla pulizia della struttura che ci ospitava era composta da gente locale che, ovviamente, all’annuncio dell’uragano imminente è dovuta tornare a casa dalle proprie famiglie. Solo in seguito abbiamo saputo che alcune di queste abitazioni (che noi chiameremmo capanne) sono state divelte e trascinate via. Eppure, placata la tempesta, l’enorme grumo d’odio, quel modo di guardare ai neri con gli occhi di un estraneo che rimane inerme, quasi non comprendesse quanto sia grave che un turista bianco si sia nutrito due giorni di panini (mentre a lui volava via la casa), era nella voce e negli sguardi di troppi. Il danno da vacanza rovinata viene snaturato ed annebbia i cervelli piccoli. L’ossessione della nerezza, tra l’altro, ancora una volta nasconde che gli abbandonati hanno avuto in comune più la povertà che il colore della pelle, che la povertà in questi paesi incide e uccide. Nel caos si è cercato il negro in rivolta, il negro esoso, il negro stupido, il negro puzzolente e fastidioso. Questo è quello che molti vedono in quelle immagini strazianti, trasmesse dalle televisioni e da noi viste solo una volta tornati a casa, perché la mancanza di elettricità e la chiusura degli aereoporti impedivano il nostro accesso alle notizie. Eravamo "nella" notizia, ma non la vedevamo. Non avevamo la percezione "esterna" di ciò che accadeva. E dall'interno, in queste circostanze, la realtà ha le fattezze delle immagini trasmesse dal caleidoscopio. 
In una città al collasso, la stampa internazionale parlava di catastrofe naturale, molti dei malcapitati turisti, miei compagni in questa sventura, facevano eco lamentando che il telefonino non prendeva ancora, non c’era la tv, l’aria condizionata, e “… l’acqua del mare sarà balenabile o no? Boh, e che ne so…questi non capiscono nulla!” 

Questa è l’uomo medio in vacanza: una miscellanea senza comune senso di umanità, la cui intelligenza (là dove sia presente) sonnecchia pigra ed indolente sotto una palma, senza barlumi di civiltà, un insieme di patrioti pronti a uccidere in paesi lontani ma incapaci di solidarietà fra di loro. Ognuno abbandonato ai propri mezzi, al denaro che ha, agli amici che ha. Sperando che quegli amici non siano come lui.




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