-  Tornesello Donato  -  22/07/2010

Corte internazionale di Giustizia, 22 luglio 2010 - L'ASSERITA LEGITTIMITA' DELLE DICHIARAZIONI UNILATERALI DI INDIPENDENZA: IL CASO KOSOVO - Donato TORNESELLO

 Premessa: la situazione nel Kosovo a partire dal 1996

Il contesto storico è noto: a partire dal 1996, nel Kosovo, regione autonoma della Repubblica Federale di Jugoslavia (composta da Serbia e Montenegro), le tensioni tra la maggioranza della popolazione (di etnia albanese) da una parte e il Governo centrale e la popolazione serba dall'altra avevano portato ad un vero e proprio conflitto armato tra indipendentisti kosovari e forze regolari jugoslave, conclusosi in seguito ai pesanti bombardamenti della Nato sulla Serbia.


Al fine di impedire il riproporsi di situazioni conflittuali tra le parti, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, con la dichiarazione n. 1244 (1999), aveva posto il Kosovo sotto l'amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite; ciò al dichiarato fine di permettere l'auto-amministrazione della provincia, nel rispetto della sovranità e dell'integrità della Repubblica Federale di Jugoslavia, in attesa di una soluzione politica definitiva.

Ma anziché tale soluzione politica, il 17 febbraio 2008 l'Assemblea del Kosovo proclamava unilateralmente l'indipendenza della provincia autonoma.

In seguito a questa dichiarazione, alcuni Stati (tra cui l'Italia e gli USA) hanno riconosciuto il Kosovo come Stato indipendente; altri Stati, tra cui Russia, Cina, Spagna e Grecia, non hanno invece riconosciuto l'indipendenza della provincia balcanica.

L'Assemblea Generale dell'ONU ha quindi investito la Corte Internazionale di Giustizia della questione e, in particolare, della verifica della conformità al diritto internazionale di tale dichiarazione unilaterale.

La Corte, con un parere alquanto ampio, ha ritenuto di poter affermare la legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, sia con riferimento al diritto internazionale generale, sia con riferimento alla lex specialis costituita dalla Risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.

La competenza della Corte Internazionale di Giustizia.


La Corte Internazionale di Giustizia (Cour International de Justice o International Court of Justice nelle denominazioni in lingua francese ed in lingua inglese) ha sede a L'Aja e non deve essere confusa con la Corte di Giustizia dell'Unione Europea con sede a Lussemburgo né tantomeno con la Corte Penale Internazionale (anch'essa con sede a L'Aja).

Costituisce il principale organo giurisdizionale civile dell'ONU ed è competente a dirimere i conflitti giuridici insorti tra gli Stati (membri delle Nazioni Unite ovvero che abbiano aderito allo Statuto della Corte o ne abbiano accettato la giurisdizione) nonché a pronunciare pareri consultivi su questioni giuridiche proposte dagli organismi e dalle istituzioni specializzate dell'ONU.

Il caso di specie rientra sicuramente tra le competenze della Corte, la quale però, prima di decidere nel merito la questione sottoposta alla sua attenzione, ha preliminarmente precisato, e quindi limitato, l’oggetto della sua pronuncia: precisazione che costituisce il punto cruciale della decisione.

Infatti la Corte ha cura di specificare che con il parere de quo non verificherà se il diritto internazionale conferisca al Kosovo (o a qualsiasi entità situata all'interno di uno Stato esistente) il diritto positivo di dichiarare unilateralmente l'indipendenza ma solo se la dichiarazione di indipendenza in sé sia stata o meno adottata in conformità al diritto internazionale. In particolare, la Corte ha inteso rispondere al quesito «La déclaration unilatérale d’indépendance des institutions provisoires d’administration autonome du Kosovo est-elle conforme au droit international?»

Concetto che viene ribadito al punto 51 e al successivo punto 56 dove la Corte specifica che essa non sarà quindi tenuta a verificare se dal diritto internazionale possa desumersi un diritto positivo per il Kosovo di proclamare la propria indipendenza né tantomeno se il diritto internazionale conferisce, in generale, il diritto in capo alle entità poste all'interno di uno Stato esistente di separarsene unilateralmente

E difatti, al punto 56, la Corte ritiene che «Il se pourrait parfaitement, en effet, qu’un acte - tel qu’une déclaration unilatérale d’indépendance - ne soit pas en violation du droit international, sans constituer nécessairement l’exercice d’un droit conféré par ce dernier. La Cour est invitée à se prononcer sur le premier point, non sur le second.» (punto 56 del parere).

Una considerazione di non poco conto, che ha consentito alla Corte di rispondere solo formalmente alla questione, senza però affrontare il problema sostanziale, ossia la legittimità della secessione della regione balcanica.

La conformità al diritto internazionale generale.


Secondo la Corte Internazionale di Giustizia la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo del 17 febbraio 2008 non ha violato il diritto internazionale generale.

Il ragionamento della Corte è lineare: non solo le dichiarazioni di indipendenza non sono mai state vietate dal diritto internazionale ma esaminando il contesto della seconda metà del XX° secolo è possibile verificare come il concetto di autodeterminazione si sia evoluto fino a divenire un vero e proprio diritto di indipendenza (“au bénéfice des peuples des territoires non autonomes et de ceux qui étaient soumis à la subjugation, à la domination ou à l’exploitation étrangères”, cfr. punto 79 del parere) nonché come dall'esercizio di tale diritto siano nati nuovi Stati. Orbene, considerando che alcune dichiarazioni di indipendenza si sono avute anche al di fuori di tale contesto, si deve desumere che non esista una norma che vieti le dichiarazioni unilaterali di indipendenza.

Un tale divieto - prosegue la Corte – non potrebbe farsi derivare dal principio di integrità territoriale degli Stati, posto che tale principio (espressamente riconosciuto dalla carta dell'ONU) si applica solo ai rapporti tra Stati (vietando sostanzialmente che uno Stato possa attentare all'integrità di un altro) e non ai popoli.

Né tantomeno – come invocato da alcuni membri - il divieto di dichiarare unilateralmente l'indipendenza può desumersi dai precedenti casi in cui il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha condannato alcune dichiarazioni similari (e si fa riferimento ai casi di Cipro del Nord, della Rhodesia del Sud e della Repubblica Srpska, cfr. punto 81 del parere), dato che in questi casi l'illiceità sarebbe derivata non dal carattere unilaterale della dichiarazione ma dall'uso della forza o dalla violazione di norme imperative del diritto internazionale generale (jus cogens). In questo caso, conclude la Corte, il Consiglio di Sicurezza non ha preso analoghe misure di condanna e proprio il carattere eccezionale di tali risoluzioni sembrerebbe confermare l'inesistenza di un generale divieto a dichiarare unilateralmente l'indipendenza.

La conformità alla lex specialis.

La Corte di Giustizia ritiene che neppure dalla lex specialis, ossia dalla risoluzione n. 1244 del Consiglio di sicurezza dell'ONU adottata il 10 giugno 1999 nonché dai successivi regolamenti della Missione Onu in Kosovo (UNMIK – MINUK United Nations Interim Administration Mission In Kosovo) possa desumersi un divieto specifico di proclamare l'indipendenza.

Tale divieto non potrebbe in particolare desumersi dal Reg. UNMIK n. 2001/9 con il quale è stato adottato il quadro costituzionale provvisorio del Kosovo dato che lo scopo di tale norma era quello di stabilire un regime giuridico temporaneo di carattere eccezionale e non uno status definitivo (punto 100 del parere).

Vieppiù: posto che la dichiarazione di indipendenza non sarebbe stata assunta dai membri dell'Assemblea del Kosovo quale istituzione provvisoria di amministrazione autonoma (e che, in quanto tale, non avrebbe potuto che agire nell'ambito dei limiti tracciati dal quadro costituzionale delineato dai regolamenti UNMIK) bensì dai membri dell'Assemblea in quanto rappresentanti del popolo, anche le ulteriori eccezioni di legittimità vengono a cadere.

In altre parole, nonostante la dichiarazione di indipendenza sia stata assunta nel corso di una riunione dell'Assemblea del Kosovo, la Corte riconduce la dichiarazione stessa ad un contesto più generale, fino a ritenere che gli autori della dichiarazione non abbiano inteso agire all'interno del quadro costituzionale creato dalle Nazioni Unite (cosa che non avrebbero potuto fare) bensì al di fuori di esso.

Tale distinzione di ruoli da parte dei soggetti che hanno sottoscritto la dichiarazione di indipendenza (membri dell'Assemblea del Kosovo da un lato e rappresentanti del popolo dall'altra) costituisce una novità rispetto a quanto ritenuto dalla stessa Assemblea Generale (che richiedeva il consulto della Corte, “rappelant que le 17 février 2008, les institutions provisoires d’administration autonome du Kosovo ont déclaré l’indépendance du Kosovo de la Serbie”) e si desumerebbe da una serie di indici, quali l'interpretazione letterale di alcune parti del testo (dalle quali emergerebbe la volontà di agire al di fuori del quadro costituzionale temporaneo), l'assenza in capo alla dichiarazione, dell'espressione “Assemblea del Kosovo” (presente solo nel testo in albanese, a differenza del testo inglese e di quello francese), dalla sottoscrizione anche da parte del presidente del Kosovo che non è membro dell'Assemblea (punto 104 del parere), dalla differente procedura rispetto a quella utilizzata per l'adozione degli atti legislativi e così via.

Le argomentazioni giuridiche addotte per sostenere la legittimità della dichiarazione di indipendenza non appaiono a dire il vero così forti: a prescindere dalla capacità degli indici indicati dalla Corte di ricondurre la dichiarazione di indipendenza al di fuori del quadro costituzionale temporaneo previsto dalla regolamentazione UNMIK, occorre rilevare come la risoluzione n. 1244 imponesse comunque una futura soluzione politica (che quindi doveva assumersi con l'accordo di tutte le parti in causa): soluzione politica che nel caso di specie non c'è stata.

Argomentazioni che appaiono giuridicamente deboli e che sono però necessarie alla Corte Internazionale per eliminare le ulteriori opposizioni relativamente alla legittimità della dichiarazione di indipendenza.

Un'occasione persa?


La decisione della Corte Internazionale di Giustizia è da ritenere, come anticipato, non è esente da critiche.

In particolare ciò che lascia perplessi è proprio la scelta della Corte di interpretare in senso restrittivo la questione di cui era stata investita, posto che si è limitata ad un esame della legittimità formale della dichiarazione di indipendenza del Kosovo anziché procedere ad una verifica della legittimità sostanziale della stessa (esistenza o meno del diritto positivo alla secessione).

Per fare un parallelo, è come se la Corte Costituzionale, investita di verificare la legittimità di una legge ordinaria, si limitasse a verificare il rispetto dei criteri relativi al procedimento di formazione della stessa anziché verificarne la sua conformità ai precetti costituzionali che si assumono violati.

La Corte, dal suo punto di vista, ha svolto il compito assegnatole, ossia quello di rispondere ad una domanda “circoscritta e precisa” (cfr. punto 51 del parere) così come postale dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Purtroppo è da rilevare che le considerazioni giuridiche della Corte non solo non hanno risolto il problema dal punto di vista giuridico - sostanziale (ossia se il Kosovo avesse o meno un diritto di secessione) ma corrono il rischio di avere un effetto deflagrante a livello mondiale: se il principio dell'integrità territoriale si applica solo agli Stati e non alle popolazioni, qualunque minoranza in qualunque Stato potrà ritenersi legittimata a dichiarare unilateralmente la propria formale secessione (e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno, nell'ambito del diritto internazionale, di un diritto positivo in tal senso).

Ancora: se nonostante una regolamentazione da parte dell'ONU che imponga soluzioni politiche ad una determinata situazione di crisi, una delle parti in causa può adottare unilateralmente una soluzione differente, si comprende come lo stesso “peso politico” delle decisioni degli organismi delle Nazioni Unite subisca una riduzione.

Non è questa ovviamente la sede per entrare nel merito della questione giuridica (che la Corte avrebbe potuto affrontare) relativa al diritto o meno di secessione da parte del Kosovo e, conseguentemente, per approfondire il concetto e i limiti del principio di autodeterminazione dei popoli: basterà qui ricordare che il diritto all'autodeterminazione - che può prima facie definirsi come il diritto di un popolo di determinare la propria forma di governo - riguarda quei popoli sottoposti al dominio di uno Stato straniero e non le minoranze etniche che possono partecipare democraticamente al Governo dello Stato; è, ad esempio, proprio su queste basi che la Corte Suprema Canadese con la sentenza del 20 agosto 1998 ha negato il diritto all'indipendenza del Québec. Così come si deve ricordare che il diritto all'autodeterminazione non può pregiudicare il diritto all'integrità territoriale di uno Stato sovrano, come affermato da diverse prese di posizione delle Nazioni Unite, non ultima la Risoluzione 2625 (XXV), adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 24 ottobre 1970, con la quale è stato riaffermato che il diritto all'autodeterminazione dei popoli non può autorizzare o incoraggiare azioni in grado di attentare all'integrità territoriale di uno Stato sovrano.

A tutt'oggi la questione dell'indipendenza del Kosovo è tutt'altro che risolta e l'ardua (?) decisione passa nelle mani dell'Assemblea Generale dell'ONU che deciderà – prossimamente – presumibilmente sulla base di criteri prettamente pratico-politici.

Criteri che, ovviamente, non potranno non considerare la situazione di fatto che si verrà a creare, ossia un sempre maggior numero di Stati che via via riconoscerà l’indipendenza del Kosovo: facile infatti presumere che se già oggi diversi Stati, tra i quali l'Italia, hanno riconosciuto il Kosovo pur in assenza di una qualsivoglia pronuncia di legittimità, da domani diversi altri Stati seguiranno questa linea politica, anche sulla base del parere della Corte Internazionale di Giustizia, che verrà trasformato in placet formale dai fautori della secessione. Con buona pace del diritto internazionale sostanziale che, molto probabilmente, cederà il passo alla situazione di fatto.




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