-  Peron Sabrina  -  26/06/2012

CONTRAFFAZIONE DEL MARCHIO E DIRITTO ALLA RESTITUZIONE DEGLI UTILI - Trib. Genova 23.2.2011 – Sabrina PERON

Il risarcimento del danno conseguente alla violazione dei diritti di proprietà industriale è disciplinato dall'art.125 del D.Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 (come modificato dal D.Lgs. 16 marzo 2006, n. 140, emesso in attuazione dell'art. 3 Direttiva 2004/48/CE).

Come osservato dal Tribunale di Genova nella sentenza che qui si pubblica, l"art. 125 C.P.I.:

-         al primo comma, richiama, «principi e criteri già stabiliti, in materia di risarcimento del danno, dal Codice civile, facendo in particolare riferimento all'art. 1223, il quale prevede che il risarcimento deve comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante, all'art. 1226, che stabilisce i presupposti ed i criteri per la liquidazione del danno in via equitativa, all'art. 1227, che disciplina il concorso del fatto colposo del creditore». Nella liquidazione si deve inoltre tener conto «sia delle conseguenze economiche negative per il titolare del diritto leso, sia dei benefici realizzati dall'autore della violazione, nonché, ricorrendone i presupposti, del danno morale»;

-         al secondo comma, prevede la possibilità che - su istanza di parte il danno - sia «liquidato in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano, determinando in ogni caso il lucro cessante in un importo non inferiore a quello dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso».

-         al terzo comma, infine, statuisce che il «titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento».

Tale ultima disposizione, si configura come un tipica misura di deterrence e, stando a quanto riportato dalla relazione di accompagnamento al D.lgs. n. 140/2006 che ha modificato il testo dell'art. 125: «così facendo la nuova norma dell'art. 125 considera le misure del risarcimento del danno e della reversione degli utili come operativamente e concettualmente distinte essendo peraltro riconducibili rispettivamente al profilo della reintegrazione del patrimonio leso ed a quello − ben diverso − dell'arricchimento senza causa».

Si noti che «fino all'introduzione dell'art. 125, nel nostro ordinamento era esplicitamente prevista soltanto la regola per cui l'autore della violazione del diritto di proprietà industriale deve compensare per equivalente chi ha subito la violazione, mediante un pagamento commisurato alla perdita di ricchezza sopportata da quest'ultimo a causa della violazione. Nulla era invece previsto circa gli utili dell'autore della violazione, che peraltro la giurisprudenza prendeva occasionalmente in considerazione ai fini della liquidazione dei danni» (M.S. Spolidoro, Il risarcimento del danno nel codice della proprietà industriale. appunti sull'art. 125 c.p.i., in Riv. dir. ind., 2009, 03, 0149).

Tuttavia «già in vigenza dell'abrogato art. 125 c.p.i. che non prevedeva la "retroversione degli utili" la dottrina ammetteva il cumulo tra responsabilità e arricchimento senza causa che non risultava in contrasto con il principio di sussidiarietà ex art. 2042 c.c. poiché, anche qualora il fatto illecito fosse parimenti di responsabilità e di arricchimento, solo ciò che la responsabilità non consentiva di recuperare perché oltre il danno, risultava di pertinenza dell'arricchimento. Con riguardo alla contraffazione» (D. Barbierato, Risarcimento del danno e funzione deterrente, in Resp. civ. prev. 2009, 1176, che sul punto rinvia a: C. Castronovo, "La violazione della proprietà intellettuale come lesione del potere di disposizione. Dal danno all'arricchimento", in Dir. ind., 2003, 11 ss.; A. Nicolussi, Proprietà intellettuale e arricchimento ingiustificato: la restituzione degli utili nell'art. 45 TRIPs, in Europa dir. priv., 2002, 1003 ss; A. Plaia, Proprietà intellettuale e risarcimento del danno, Torino, 2005; e segnala l"opinione contraria di; P. Sirena, La restituzione del profitto ingiustificato (nel diritto industriale), in Riv. dir. civ., 2006, 305 ss.).

 L"attuale formulazione dell"art. 125 C.P.I., fissa quindi il «rimedio restitutorio dell'arricchimento senza causa in concorso (integrativo) con il rimedio risarcitorio. A tale stregua anche i "benefici realizzati dall'autore della violazione" del comma 1 non possono rientrare nel quantum risarcitorio poiché risultano di afferenza del rimedio restitutorio. Il risarcimento ex art. 125 c.p.i. non è, quindi, ultracompensativo. La finalità deterrente non è perseguita dal rimedio risarcitorio, ma dal rimedio restitutorio o meglio dal concorso (=cumulo) integrativo di entrambi. La norma rappresenta una novità assoluta per il nostro ordinamento, frutto della sua matrice comunitaria e internazionale» (D. Barbierato, cit.). In definitiva i due rimedi non sembrerebbero essere «rigidamente alternativi: la vittima può così esperire l"azione risarcitoria in relazione al danno aquiliano arrecato al diritto sull"esclusiva. Al contempo, può agire per la restituzione dell"arricchimento. Tale meccanismo cumulativo non è in alcun modo regolato o condizionato dalla condotta del contraffattore. Piuttosto, il rimedio restitutorio è indifferente rispetto alla sussistenza dell"elemento soggettivo, può cioè essere esperito anche se l"elemento soggettivo non sussiste» (A. Plaia, Allocazione contrattuale del rischio e tutela civile della proprietà intellettuale, in Danno e resp., 2008, 499, ss). La norma, dunque, «consente al titolare del diritto leso di ottenere la restituzione degli utili realizzati dal contraffattore, e opportunamente precisa che tale facoltà si pone in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi (cioè, gli utili realizzati dal contraffattore. Parole aggiunte) eccedono tale risarcimento. Dal che si deduce (ma non solo per considerazioni letterali) che la restituzione degli utili può coesistere con il risarcimento, ma solo per la parte che eccede l'importo liquidato a titolo di lucro cessante. Si deduce inoltre (…), che la restituzione degli utili può essere disposta anche se l'importo così liquidato viene ad essere superiore al danno effettivo» (V. Di Cataldo, Compensazione e deterrenza nel risarcimento del danno da lesione di diritti di proprietà intellettuale, in Giur. comm., 2008, 02, 198). In questo contesto, la spettanza dell'utile lucrato dalla contraffazione non darebbe luogo ad un "conflitto aquiliano" di interessi, ma ad un "conflitto attributivo", giacché si tratterebbe di attribuire un'utilità, stabilita non dalla norma (secondaria) della responsabilità civile, ma dalla norma (primaria) della proprietà (intellettuale): «la pretesa degli utili illecitamente prodotti è in sostanza niente più che un'azione di "rivendica" di una somma di denaro: si tratta allora di capire a chi l'ordinamento ha attribuito i beni (e gli utili) contestati; chi, in altri parole, è legittimato all'azione di "rivendica"» (A. Plaia, Proprietà intellettuale e risarcimento del danno, 161).

Mentre, con riguardo ad eventuali rischi di overcompensation a favore del titolare del diritto, la dottrina ha osservato che «si tratta di due rimedi distinti i quali entrambi concorrono, in presenza di presupposti soggettivi e oggettivi diversi, a definire il livello ottimale di deterrenza affidato alla tutela medesima. In fatto, poi, per il modo in cui la Direttiva articola le tecniche di quantificazione del danno risarcibile, il giudice dispone di margini piuttosto ampi per evitare ipotetici rischi di overcompensation del titolare del diritto» (L. Nivarra, L'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale dopo la direttiva 2004/48/ce, in Riv. dir. ind., 2005, 01, 0033).

Nel senso delineato dalla dottrina sopra citata, sembra orientarsi anche il Tribunale di Genova, laddove – per la prima volta nel panorama della giurisprudenza interpreta l"art. 125, 3° comma C.P.I., come un rimedio di natura restitutoria. In particolare il Tribunale, richiamando su punto la dottrina (e segnatamente A. Plaia, La violazione della proprietà intellettuale tra risarcimento e restituzione, in Riv. dir. comm., 2003, 1026) statuisce che il diritto alla restituzione degli utili si colloca su un «piano diverso rispetto al risarcimento del danno, sia perché non sarebbe ravvisabile un rapporto di correlazione necessaria tra vendite del contraffattore e mancate vendite del titolare, sia perché il riconoscimento del diritto sarebbe ispirato alla necessità di evitare che la violazione della privativa sia occasione di arricchimento per il suo autore tutte le volte in cui il guadagno realizzato superi la perdita effettiva del titolare del diritto leso. Quest'ultima interpretazione appare al Collegio preferibile in quanto aderente al testo della norma, la quale, dopo avere enumerato in modo esaustivo le voci di danno risarcibili ed i criteri di risarcimento, precisa che "in ogni caso" il danneggiato può chiedere la restituzione degli utili realizzati dal contraffattore. E' inoltre significativo che la disposizione contrapponga il diritto agli utili realizzati al diritto al risarcimento del lucro cessante, prevedendone l'esercizio in via alternativa - quanto meno fino alla concorrenza dell'importo del risarcimento - in quanto tale contrapposizione induce una differenziazione ontologica tra i due diritti, che finirebbero invece per sovrapporsi se partecipassero della medesima natura risarcitoria. La differenziazione tra risarcimento del danno e restituzione degli utili compare oltretutto anche nella rubrica dell'art. 125».

In questo contesto, secondo il Tribunale di Genova, la condanna del responsabile alla restituzione degli utili non è «condizionata alla prova dell'esistenza di un danno risarcibile», tuttavia, l'applicabilità della disposizione nel caso concreto richiede tuttavia la verifica di due presupposti: anzitutto, «l'accertamento degli utili conseguiti»; in secondo luogo, giacché la norma attribuisce al titolare del diritto leso gli utili realizzati attraverso una condotta vietata dalla normativa sulla proprietà industriale, «è necessaria una relazione causale tra la violazione e il profitto conseguito; in caso di contraffazione di un marchio è quindi necessario che il profitto sia imputabile esclusivamente o prevalentemente all'uso dell'altrui segno distintivo».

 

 

Sull"argomento, oltre agli autori ed ai contributi già citati, per ulteriori approfondimenti si rinvia a:

BARBUTO M., Il risarcimento dei danni da contraffazione di brevetto e la restituzione degli utili, in Riv. dir. ind., 2007, I, 172

BICHI R., La liquidazione del danno da contraffazione e le prospettive riconosciute dall'art. 125 del d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, in Riv. dir. ind., 2005, 4-5, 390

CARTELLA M., Il danno da violazione di marchio:dalla tipologia, all'accertamento e quantificazione, in Studi in onore di Adriano Vanzetti, Milano, 2004, 303

FRANZOSI M., Valutazione della proprietà intellettuale, in Dir. ind., 2003, 17

FRANZOSI M., Il risarcimento del danno da lesione di diritti di proprietà industriale, Dir. ind., 2006, 205

PLAIA A., Il risarcimento del danno e la restituzione degli utili nel nuovo sistema italiano ed europeo di tutela della proprietà industriale, in Quaderni di AIDA n. 12, pp. 32




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