-  Redazione P&D  -  30/04/2014

COLPA MEDICA - RIFIUTO DELLE CURE DEL PAZIENTE ED ERRATA DIAGNOSI DEL MEDICO - Giuseppe DE MARCO

Cassazione, IV sezione penale, sentenza n.17801 del 28 aprile 2014

 

 

 

Una signora muore per un tumore non diagnosticato dal medico curante. Nel corso delle varie visite mediche, nonostante la patologia fosse riconoscibile, il medico si era orientato per l"origine psicologica dei disturbi lamentati dalla paziente.

Chiamato in giudizio per rispondere del reato di omicidio colposo, il medico avanzava la tesi difensiva del rifiuto delle cure da parte della paziente, la quale nelle ultime settimane di vita avrebbe volontariamente evitato qualunque terapia. Invero, da diverse testimonianze emergeva che la donna confidava nella esattezza della valutazione medica, avendo appreso dal medico che le proprie condizioni di salute non avevano base organica.

Condannato in primo grado e in appello (nel secondo grado, tuttavia, la pena inflitta è stata ridotta), il medico ricorre in Cassazione lamentandosi della mancata analisi, da parte dei giudici, del quadro clinico complessivo, da cui emergerebbe un rifiuto delle cure e l"accettazione della morte da parte della paziente.

La Corte di Cassazione ribadisce il principio già espresso negli anni passati sia da altre sezioni penali sia dalla sezione civile della Suprema Corte, in tema appunto di rifiuto di cure mediche[1].

La sentenza che qui si evidenzia è importante perché con essa la Cassazione riformula lo stesso principio, proiettandolo sulla fattispecie esaminata, nel modo che segue:

"in tema di colpa medica, il rifiuto di cure mediche consiste nel consapevole e volontario comportamento del paziente, il quale manifesti in forma espressa, senza possibilità di fraintendimenti, la deliberata e informata scelta di sottrarsi al trattamento medico. Consapevolezza che può ritenersi sussistente solo ove le sue condizioni di salute gli siano state rappresentate per quel che effettivamente sono, quanto meno sotto il profilo della loro gravità".

Nel caso in questione, c"è stata inequivocabilmente una diagnosi errata. A tale diagnosi la paziente ha ritenuto di dover aderire, rifiutando di assumere farmaci antidepressivi, che non avrebbero certo modificato il decorso della grave patologia. Non vi è spazio alcuno, allora, secondo i giudici, per l"ipotizzato rifiuto di cure; tra l"altro, "in nessun momento la paziente venne portata a conoscenza dal sanitario o da altri dell"effettiva natura e gravità della patologia che l"affliggeva". Il rifiuto di cure deve essere affermato espressamente, "non potendosi intendere per tale un comportamento meramente passivo, che può trovare anche nelle scadute condizioni di salute la propria causa".

Al di là del caso in questione, risolto, come detto, dalla assorbente circostanza della errata diagnosi, che ha condizionato il comportamento della paziente, va detto che sentenze del genere aiutano a comprendere il punto nodale in tema di colpa medica: la spia della negligenza medica è rappresentata sempre da una mancata o insufficiente o non chiara informazione. L"esercizio della libertà, anche di non curarsi, deve essere consapevole.



[1] "l dissenso alle cure mediche, per essere valido e esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco e attuale; si è quindi giudicato non sufficiente una generica manifestazione di dissenso formulata ex ante e in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, essendo necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure (Cass. Civ. sez.3 sent.n.23676/2008; Cass.pen. sez.1 sent.n.26446/2002)".




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