-  Redazione P&D  -  28/09/2015

COLPA MEDICA E DIAGNOSI DIFFERENZIALE – Cass. 35528/2015 – Livio MEO

Nell'ambito dell'attività medica è alquanto frequente che il quadro sintomatologico del paziente sia comune a differenti patologie. In tali ipotesi, il medico dovrà eseguire la c.d. diagnosi differenziale, ossia quella particolare indagine che consiste in un procedimento di esclusione delle possibili malattie alternative fino ad individuare quella di cui è affetto il paziente.

Tale metodologia diagnostica è applicabile in diverse branche di specializzazione e interessa pertanto svariate tipologie di medici specializzati. 

In tema di responsabilità professionale medica, la giurisprudenza di legittimità ha espresso in diverse pronunce il seguente principio di diritto: il medico versa in stato di colpa qualora, in presenza di un quadro sintomatico riferibile a più malattie, non ponga in essere la diagnosi differenziale.

La Suprema Corte ha riconosciuto in modo esplicito la responsabilità colposa del medico per omissione della diagnosi differenziale, come avvenuto nel recente caso di un chirurgo che, a fronte di una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, aveva mantenuto ferma l'erronea posizione diagnostica iniziale, causando lesioni gravi al paziente (Cass. pen., sez. IV, 14.1.2013, n. 1716, DeJure; Cass. pen., sez. IV, 12.7.2011, n. 34729, CED, 251348).

L'orientamento espresso dalla Cassazione nelle pronunce citate è il risultato di una elaborazione giurisprudenziale risalente. A partire dalla sentenza n. 11651/1988, la Suprema Corte ha più volte affermato che il medico è tenuto a prendere in considerazione tutte le possibili patologie ricollegabili al sintomo rilevato evitando di rimanere "arroccato" sulla prima diagnosi, la quale deve essere esaminata mediante un raffronto con tutte le altre ipotesi alternative (Cass. pen., sez. IV, 8.11.1988, n. 11651, CED, 179815).

In una decisione del 2005, inoltre, la Corte ha precisato che il principio di responsabilità a titolo di colpa per omessa diagnosi differenziale sussiste "non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell'immediato futuro a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare del quadro già esistente" (Cass. pen., sez. IV, 29.11.2005, n. 4452, CED, 233238). 

In molti casi, come osservato acutamente da alcuni commentatori (Piras P., La diagnosi differenziale in medicina: principi giurisprudenziali, www.penalecontemporaneo.it), il principio della diagnosi differenziale non viene richiamato in modo esplicito in motivazione perché viene assorbito nel più generale principio secondo il quale versa in stato di colpa il medico che non compie la diagnosi corretta.

In diverse sentenze, infatti, la Cassazione ha identificato la diagnosi corretta, dalla cui omissione deriva la responsabilità colposa del medico, con la metodologia della diagnosi differenziale. A titolo esemplificativo, in un caso di decesso del paziente per dissezione aortica, il medico è stato ritenuto responsabile di omicidio colposo per omissione della diagnosi corretta perché, dopo aver fugato il sospetto di un infarto del miocardio, "avrebbe dovuto proseguire nell'indagine strumentale con un ecocardiogramma transesofageo e con altri esami radiografici di maggiore livello e specialità, per avere un quadro clinico preciso della situazione patologica del paziente, il che gli avrebbe consentito di effettuare una sicura e tempestiva diagnosi differenziale" (Cass. pen., sez. IV, 7.5.2008, n. 26111, DeJure). 

Tra le sentenze più recenti in materia di diagnosi differenziale si segnala la decisione in commento, la quale contiene un significativo obiter dictum sulla problematica in esame.

Infatti, pur se essenzialmente incentrata sull'accertamento del nesso causale, la pronuncia n. 35528/2015 contiene un interessante richiamo alla metodologia della diagnosi differenziale. Il caso riguarda un responsabile del pronto soccorso ospedaliero che, dinnanzi ad un paziente ricoverato a causa di un dolore toracico, si era limitato a fare un elettrocardiogramma e ne aveva disposto la dimissione con diagnosi da torocoalgia conseguente a esofagite da reflusso. All'imputato era stato contestato di non aver tenuto il paziente in osservazione al fine di effettuare ulteriori accertamenti, dato che il paziente, affetto da grave malattia cardiaca, era poi morto al momento del secondo ricovero.

Il giudice di prime cure aveva condannato l'imputato per omessa diagnosi differenziale, cioè per non avere, in presenza di sintomi costituenti espressione di possibili diverse patologie, adeguatamente e scrupolosamente condotto tutti gli esami e accertamenti necessari per escludere le patologie astrattamente riconducibili ai sintomi, sino a giungere all'individuazione della reale causa degli stessi.

A seguito dell'assoluzione in grado d'appello, motivata sulla base dell'assenza del nesso di causa tra condotta omissiva ed evento, e del successivo ricorso proposto dalle parti civili, la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

La condotta omessa, la cui relazione causale con il decesso del paziente sarà oggetto di valutazione da parte del giudice di rinvio, è stata riconosciuta come doverosa "perché pacificamente corrispondente alle linee guida accreditate presso la comunità scientifica, anche in funzione della verifica della possibilità per il medico, a seguito del ricovero e all'effettuazione degli specifici accertamenti ed esami di laboratorio e strumentali suggeriti dalle linee guida, di effettuare una diagnosi differenziale e così intervenire in modo adeguato ed eventualmente risolutivo in relazione alla patologia assunta quale causa del decesso" (Cass. pen., sez. IV, 28.4.2015, n. 35528).

Nel caso in esame, quindi, la Cassazione ha preso in considerazione la metodologia della diagnosi differenziale ritenendola espressamente doverosa per una corretta individuazione della patologia. Può così ritenersi nuovamente affermata, seppure in obiter dictum, la rilevanza della diagnosi differenziale tra i doveri precauzionali imposti al medico a tutela della salute del paziente.




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