-  Gasparre Annalisa  -  04/11/2016

Circo con animali: nuova condanna per la gestione penalmente illecita degli animali – Cass. pen. 46144/16 – Annalisa Gasparre

Non sorprendono più le sentenze di condanna di proprietari di circhi con animali. Quello che sorprende ancora, ad essere sinceri, è la cecità di chi al circo che impiega animali continua ad andare.

Come appunto testimoniano le numerose sentenze di condanna – per maltrattamento di animali, per detenzioni illecite, per violazioni delle norme di sicurezza, eccetera – è quasi scontato che tra i tendoni e le luci sfavillanti dei circhi si verifichino spesso – non certo sempre – illeciti di rilevanza penale.

Per vero ormai siamo assuefatti dagli illeciti ovunque e da chiunque commessi. Quasi non fanno più notizia se non quando vengono utilizzati per campagne politiche o talk show (in spregio alle statistiche, ai dati empirici, agli studi effettivi). Così però non dovrebbe essere quando vittime sono esseri senzienti, quali gli animali. Per questo torniamo a parlarne per raggiungere chi ancora non si sia avveduto di come sia del tutto innaturale detenere, trasportare e fare esibire animali in uno spettacolo che di artistico ha ben poco. E soprattutto per raggiungere chi ancora contribuisce economicamente a questo "spettacolo". Che non si può salvare il mondo lo sappiamo e tuttavia è possibile non essere complici: questo rientra nel nostro piccolo libero arbitrio, libera scelta se partecipare all"imprigionamento e allo sfruttamento oppure dissociarsi.

Nel caso in esame, di cui alla sentenza della Corte di cassazione, gli animali erano detenuti in precarie condizioni: mancanza di luce naturale ed acqua, dimensioni insufficienti, sovraffollamento e reazioni di alcuni esemplari nel segno dell"ansia e dei comportamenti stereotipati. I giudici hanno ritenuto che gli animali fossero di fatto "abbandonati" nel senso di detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.

La Corte ha confermato il sequestro degli animali.

Approfondimenti in Gasparre, "Diritti degli animali. Antologia di casi giudiziari oltre la lente dei mass media" (Key Editore, 2015), disponibile nelle librerie giuridiche, nonché sui siti keyeditore, IBS, Libreria Universitaria e Amazon.

 

 

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 giugno – 3 novembre 2016, n. 46144 - Presidente Rosi – Relatore Mocci

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 2 aprile 2015, il Tribunale di Chieti, sez. distaccata di Ortona condannava V. C. per il reato di cui all'art. 727 comma 2° c. p.

Al prevenuto era contestato, quale titolare della ditta "Circo V.", di aver detenuto una pluralità di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze.
2. Affermava il giudice di primo grado che, sulla scorta di una serie di incontestate carenze (mancanza di luce naturale, mancanza di acqua per alcune specie di animali, uniformità della temperatura all'interno della struttura, dimensioni obiettivamente insufficienti delle gabbie), dovesse reputarsi raggiunta la prova delle sofferenze patite dagli animali ristretti in cattività. D'altronde, la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura avrebbe reso rilevante anche la mera negligenza, ricondotta al sovraffollamento degli ambienti.

3. Ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il C., sulla scorta di due motivi [violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. riguardo all'elemento oggettivo del reato; violazione dell'art. 606 lett. b) con riguardo alla disposta confisca].

Considerato in diritto

1. Mediante il primo motivo, il ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe desunto la prova della condotta del C. dalla violazione delle "linee guida per il mantenimento degli animali nei circhi" (D.M. 27/4/93), senza considerare che, in esito all'istruttoria, era emersa una netta divergenza tra i contenuti delle deposizioni dei testi e che all'imputato non avrebbe potuto essere mosso un addebito di colpa, giacché il regolare conseguimento di tutte le licenze del caso avrebbe dovuto escludere l'elemento psicologico. Sotto diverso profilo, la norma contestata (nella versione introdotta a seguito della legge n. 189 del 2004) avrebbe limitato la tutela penale alle ipotesi in cui, oltre alla detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali, fossero anche state inferte agli stessi gravi sofferenze. Da ciò, l'illogicità dei ragionamento della sentenza impugnata, la quale avrebbe inammissibilmente equiparato la detenzione degli animali e le sofferenze, solo presunte, degli stessi.

2. Attraverso il secondo rilievo, il C. denuncia l'erronea interpretazione dell'art. 240 c.p., giacché il Tribunale avrebbe disposto la confisca, ritenendo gli animali oggetto materiale dei reato, laddove la norma evocata richiama "le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto ed il profitto". Gli animali del circo non apparterrebbero ad alcuna di tali categorie, né la confisca sarebbe prevista da alcuna legge speciale.

II ricorso è infondato.

3. La fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 727 c.p., con particolare riferimento all'ipotesi della detenzione "vietata" di animali, ossia della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, è stata interpretata da questa Corte nel senso che "le condizioni in cui vengono custoditi gli animali non sono dettate da particolari esigenze e risultino tali da provocare negli stessi uno stato di grave sofferenza, indipendentemente dal fatto che in conseguenza di tali condizioni di custodia l'animale possa subire vere e proprie lesioni dell'integrità fisica" [Sez. 3^, n. 37859 dei 04/06/2014 (dep. 16/09/2014), Rainoldi, Rv. 260184].

Ne consegue che la detenzione penalmente rilevante è quella attuata in condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttiva di gravi sofferenze, sicché il parametro normativo della natura degli animali, in base al quale la condotta di detenzione assume valenza illecita, richiede, per le specie più note (come ad esempio ai cani, gatti, cavalli), che ci si riferisca al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali.

4. Come ha affermato il Tribunale, le condizioni degli animali tenuti in cattività dal C. in alloggiamenti con dimensioni e caratteristiche tecniche non conformi alle minime esigenze naturali e fisiologiche degli stessi integrano un comportamento incompatibile con il benessere degli esemplari e con le loro caratteristiche etologiche. Il ragionamento all'uopo seguito è logico e sfugge a qualunque censura di legittimità.

5. In punto di diritto, la disciplina richiamata prevede la concorrenza di due elementi, la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e la produzione di gravi sofferenze, conseguenti a tali condizioni.

Con riguardo al primo elemento, la sentenza impugnata da conto delle risultanze dibattimentali, richiamandosi a precise mancanze (di luce naturale, di acqua, di una temperatura adeguata, di arricchimenti ambientali), accompagnate a comportamenti stereotipi ed ansiosi degli esemplari. Da ciò viene dedotta la sussistenza anche del secondo elemento, lo stato di sofferenza degli animali, reputato probabile e "razionalmente credibile". In questo senso il Tribunale ha correttamente utilizzato una regola di esperienza che trae il suo fondamento dalla considerazione che lo stato di sofferenza indicato dalla norma va contestualizzato e riferito ad esseri viventi diversi dall'uomo, per i quali uno stato di sofferenza può prescindere dal dolore, fisico o morale, e riguardare la frustrazione di esigenze primarie, come il cibo e l'acqua o la possibilità di muoversi più o meno liberamente in un ambiente tollerabile. E' dunque vano pretendere, come vorrebbe il ricorrente, la prova della sofferenza fisica degli animali, che invece può essere integrata e ritenuta sussistente sulla scorta dalle particolari condizioni ambientali del luogo e dalle reazioni degli stessi esemplari, volta per volta considerati.

La sussistenza dell'elemento soggettivo non può essere esclusa dalla regolarità dei permessi e delle autorizzazioni, che sicuramente non valgono a scriminare una custodia imperita o negligente.

6. II secondo motivo è parimenti infondato.

L'applicabilità dell'art. 240 c.p. agli animali appare in realtà consentita dall'art. 19 quater delle disposizioni di attuazione al codice penale, laddove è previsto che "gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca sono affidati ad associazioni o enti che ne facciano richiesta, individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto col Ministro della salute". Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'imputato anche alla rifusione delle spese di lite del grado a favore delle parti civili, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili _______ - e _____, che liquida in complessivi € 3.500, oltre accessori di legge.




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