-  Trisolino Luigi  -  12/01/2016

CENNI SULLABUSO DUFFICIO, DALLA TEORIA ALLA PRATICA – Luigi TRISOLINO

-La necessità di mantenere l"abuso d"ufficio

-Cenni sulla travagliata storia della fattispecie di abuso d"ufficio

-Menzione dei problemi aperti sull"elemento psicologico della fattispecie di cui all"art. 323 c.p.

 

Costituisce una necessità giuridica odierna il sondare il grado di tenuta sistemico-costituzionale della figura delittuosa dell"abuso d"ufficio, previsto e punito nel codice penale italiano vigente all"art. 323, articolo rientrante nella meccanica micro-sistemica del Capo I ("Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione"), Titolo II ("Dei delitti contro la pubblica amministrazione") del Libro II. Se si pone uno sguardo attento alla fattispecie di abuso d"ufficio, anche nei suoi mutamenti storici, si potrà convenire sul fatto che teoricamente e praticamente occorre confutare l"idoneità logica e l"utilità dell"orientamento che di fatto tende ad esiliare la figura delittuosa in questione dall"ordinamento giuridico, o ad auspicarne addirittura un superamento, malgrado la sua lunga, travagliata tradizione, ispirata alla tutela del cittadino dinanzi alla dimensione autoritativa dei pubblici poteri, ora limitati in un"èra di stretta legalità in senso garantistico.

La fattispecie di abuso d"ufficio, nella versione originaria del Codice Rocco, entrato in vigore il 1 luglio 1931, era rubricata con la (oggi assolutamente anacronistica) dicitura "Abuso d"ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge". L"originaria formulazione del precetto, precedente all"entrata in vigore della Carta costituzionale del "48, era ispirata ad una indeterministica logica di completezza punitivo-ordinamentale, che oggi, in virtù della più aggiornata ermeneutica costituzionale e sovranazionale, nonché in ragione della visione del diritto penale quale "extrema ratio" del sistema, risulterebbe totalmente incompatibile col principio di legalità (ai sensi degli artt. 25, comma 2, Cost. e 7 CEDU), sia nel versante formale, ove trova la sua dimensione la riserva di legge, sia nel versante sostanziale, ove viene collocato concettualmente il principio di determinatezza.

L"art. 323, così, è stato oggetto di diverse riforme nel tempo. Dapprima con la L. n. 86/1990, la quale ha in primo luogo esteso l"area dei soggetti agenti del reato proprio (non esclusivo) di abuso d"ufficio, contemplando, oltre ai pubblici ufficiali, anche gli incaricati di un pubblico servizio. Successivamente, con la L. n. 234/1997, che costituisce invero l"ultimo intervento del legislatore sulla struttura dell"art. 323 c.p. La legge del "97, in aderenza ai principi penalistici di stretta legalità e di determinatezza, ha ragionevolmente blindato l"entroterra logico della fattispecie in questione, rendendo più complesso il meccanismo di sussunzione dei fatti storici, riguardanti l"operato funzionale e istituzionale dei soggetti agenti pubblici qualificati, nell"articolata dimensione astratta della fattispecie di cui all"art. 323.

La siffatta blindatura strutturale della fattispecie, attraverso il requisito della violazione di legge o di regolamento, che sostituisce le precedenti dizioni normative condensate attorno al vago concetto di abuso di potere, oltre ad annettere nel qualificato nucleo oggettivo della struttura fattispeciale la più deterministica (e predeterminata) condotta "contra legem et regolamentum", a fronte della precedente condotta "non iure", realizza pure la conformazione del delitto di abuso d"ufficio alla logica dell"art. 5 del codice penale, sulla inescusabilità dell"ignoranza della legge penale, tranne se inevitabile, poiché, sotto l"ineludibile lume della certezza del diritto, il pubblico ufficiale o l"incaricato di un pubblico servizio, da un lato, e il cittadino che con questi venga in contatto funzionale e istituzionale, dall"altro lato, sono messi nelle condizioni di conoscibilità e consapevolezza potenziale delle situazioni costituenti devianze e distorsioni dal corretto contegno, auspicabile nello svolgimento delle funzioni o del servizio.

Occorre segnalare, pure, l"intervento della legge c.d. anticorruzione, n. 190/2012, di prevenzione e contrasto alla genesi dei contegni abusivi e, in generale, criminosi in seno alla pubblica amministrazione. La L. n. 190/2012 non ha modificato la struttura della fattispecie, ma ha soltanto innalzato il minimo e il massimo della cornice edittale di pena, rispettivamente, da sei mesi a un anno, e da anni tre ad anni quattro, con alcuni momentanei risvolti consequenziali di natura processuale. In particolare, per quanto concerne l"applicazione della misura cautelare della custodia carceraria ex art. 280 c.p.p., tra l"entrata in vigore della legge 190 nel novembre del 2012, e il D.L. n. 78/2013, convertito in L. n. 94/2013, che ha innalzato da quattro a cinque anni di pena nel massimo il tetto di pena per la misura in questione. Dopo la L. n. 190/2012, risulta pure riconosciuta la facoltà, in capo agli ufficiali ed agenti di P.G., di arrestare il soggetto agente pubblico colto in flagranza, dato che il nuovissimo abuso d"ufficio è punito con la pena della reclusione di anni quattro, quindi superiore nel massimo a tre anni, come dispone l"art. 381, comma 1, c.p.p.

Il nuovo abuso d"ufficio si struttura nella presenza di una clausola di salvezza iniziale che, più che qualificare il fatto, serve ad eccettuare le ipotesi costituenti più gravi reati, dinanzi ai quali la fattispecie di abuso d"ufficio risulta essere nomologicamente recessiva. L"art. 323 si struttura anche nel carattere soggettivamente ed oggettivamente proprio del delitto, poiché i soggetti agenti devono rivestire la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (anche soltanto di fatto, e pure in caso di aspettativa, secondo la giurisprudenza di legittimità dominante), ma essendo un reato proprio non esclusivo, secondo l"orientamento dominante di legittimità, è configurabile un concorso dell""extraneus" con l""intraneus". E ancora, i soggetti "de quibus" devono agire nello svolgimento delle loro funzioni o servizi (da qui il carattere di reato oggettivamente proprio, o nomo-funzionalmente circostanziato, a voler coniare un"altra dicitura). Poi, altro fondamentale elemento di blindatura della fattispecie è costituito dalla violazione di legge o di regolamento, oltre che dall"omessa astensione in casi di conflitti d"interesse per interesse proprio o di prossimi congiunti, e negli altri casi previsti: si passa quindi dall"incriminazione di una condotta "non iure" all"incriminazione di una condotta "contra ius et regolamentum", causativa di un evento di vantaggio o di danno.

Deve configurarsi un evento di vantaggio ingiusto, dopo la riforma del "97, di carattere soltanto patrimoniale, in favore del pubblico agente qualificato o di terzi, e un eventuale ingiusto danno altrui, che può invece avere carattere patrimoniale o non patrimoniale.

Malgrado si sia di fronte ad un delitto non naturale, bensì tecnico, occorre sempre vagliare la sussistenza logica del nesso di causalità tra la condotta e l"evento di danno o di vantaggio, i quali devono essere qualificabili entrambi come ingiusti, secondo la tesi giurisprudenziale della c.d. doppia ingiustizia. L"apparato gnoseologico che domina l"operazione della verifica sulla sussistenza del rapporto causale, a rigore, è fondato quindi su leggi di copertura di tipo tecnico-giuridico.

Importante elemento strutturale della fattispecie dell"art. 323 è costituito dalla forma intenzionale del dolo, che apre diversi problemi, e ha contribuito grandemente alla diminuzione delle condanne e delle imputazioni a titolo di abuso d"ufficio.

Con la L. n. 234/1997, da un lato si è superata la rarefazione della determinatezza che fino a quel momento aveva caratterizzato la fattispecie di abuso d"ufficio, ma dall"altro lato si può rilevare la ragionevole resistenza del carattere di reato a forma libera. Tuttavia, si è passati da una struttura di reato di pericolo con dolo specifico di danno, in cui il vantaggio o il danno non rientravano nell"evento del fatto tipico della fattispecie, ad un reato di evento, e in particolare di danno, con dolo intenzionale.

Spesso la giurisprudenza di legittimità ha tentato di estinguere di fatto la punibilità a titolo di abuso d"ufficio, invero, sostenendo che il vantaggio che l"agente ha avuto di mira deve risultare "ex ante" ed "ex post" come primario, o addirittura esclusivo, nell"economia valoriale criminosa dei casi di specie, rispetto quindi ad altri fini, o che se la condotta abusiva risulta comunque rispondente al perseguimento di un fine pubblico, non sussiste il reato di abuso d"ufficio.

Ciò creerebbe problemi, con un ovattato cortocircuito valoriale, dinanzi alla "ratio" ed alle esigenze proprie della fattispecie di abuso d"ufficio.




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