Cultura, società  -  Redazione P&D  -  23/06/2022

Catcalling, il racconto della 19enne molestata da tre militari a Milano: "Piangevo, mi sono sentita minacciata"

La ragazza presa di mira il pomeriggio del 21 marzo 2021: per tre volte approcciata con frasi pesanti, anche quando a difenderla sono intervenuti i genitori e il fratello. «L’hanno terrorizzata, ora va dallo psicologo»

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«All’inizio non ho dato peso alle loro parole. Poi dopo che per tutto il giorno mi hanno importunata, sono esplosa. Alla fine sono scoppiata anche a piangere. Mi sono sentita minacciata». Lo ha detto fuori dall’aula la ragazza, ora 19enne, che all’inizio della primavera dell’anno scorso è stata vittima di catcalling (ovvero molestie verbali rivolte per strada o in un luogo pubblico) da parte di tre militari dell’esercito, di 23, 24 e 32 anni, ora sotto processo a Milano.

La ragazza, davanti al giudice monocratico, Luigi Fuda, ha raccontato di quel pomeriggio del 21 marzo 2021 quando i tre, addetti all’operazione «Strade sicure», assieme ad altri erano al bar sotto casa sua, in zona San Siro, per fare festa e bere birra. Lei, dovendo uscire di nuovo di casa per portare fuori il cane, dopo il primo episodio di molestie si era anche cambiata i vestiti per non attirare di nuovo l’attenzione dei militari seduti al bar. Ma non è servito: per tre volte, ha detto la ragazza, «mi sono venuti vicino» con frasi pesanti che lei stessa ha ripetuto in aula. Ha ricordato anche un particolare: l’avvertimento di uno dei militari alla madre, intervenuta verso sera, insieme con il fratello e il padre della vittima (un poliziotto), in seguito all’ultimo episodio di molestie: «Si è avvicinato un ragazzo a me e ai miei genitori e ha detto: non fatela più uscire di casa da sola».

Tra i testimoni anche la madre della giovane. Pure lei ha raccontato di quanto fosse «spaventata» la figlia. «Era umiliata, e alla fine era in lacrime per quello che le hanno detto. Le hanno fatto saltare i nervi. Quello che mi è venuto vicino, faccia a faccia, e per giunta senza la mascherina» per dirle di non fare più uscire la figlia di casa, «aveva un alito che sapeva di alcol». Gli altri militari stavano discutendo «con il mio compagno» al quale avrebbero spiegato «di non aver detto niente di male». Al termine della sua deposizione la donna, parlando nel corridoio di Palazzo di giustizia, ha affermato: «Avrebbero dovuto difenderla e invece l’hanno terrorizzata. Ora ha dei seri problemi, va due volte alla settimana dallo psicologo, non riesce più a concentrarsi».

 

 




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