1 - Il dialogo tra diritto ed altre scienze, per essere fattivo, deve fondarsi su un chiarimento di base quanto ai fenomeni che risultano presi in considerazione. Ove ciò non avvenga, si innescano ambiguità di vario genere, inevitabilmente destinate a determinare un"applicazione distorta delle regole giuridiche. Un esempio di dialogo non sufficientemente chiaro tra il diritto, da un lato, e la medicina legale nonché le scienze psicologiche, dall"altro lato, si riscontra in tema di danno psichico.
Il principale problema che si trova ad affrontare l"interprete riguarda la definizione del rapporto che intercorre tra il danno psichico e le voci attraverso le quali viene abitualmente descritto il pregiudizio non patrimoniale in ambito giuridico, al fine di poter introdurre tale pregiudizio nel modello risarcitorio applicato in materia di danni non suscettibili di valutazione economica.
Nell"affrontare tale problema, due premesse appaiono necessarie:
Ciò posto, si tratta di osservare – ai fini del risarcimento del danno - la patologia psichica assume rilievo, ai fini risarcitori, in quanto determinata da un illecito. Le ipotesi prospettabili sono di vario genere:
Proprio a fronte di quest"ultimo caso emerge un approccio non sufficientemente limpido da parte degli giuristi alla questione del danno psichico: che ha portato all"applicazione di principi assai discutibili. In particolare, e Sezioni Unite – nelle sentenze di San Martino del novembre 2008 - affermano che la sofferenza soggettiva può essere liquidata autonomamente, sotto la veste di danno morale, ove rimanga confinata a livello di turbamento dell"animo e dolore intimo; mentre nel caso in cui si verifichino degenerazioni patologiche della sofferenza, i giudici di legittimità sostengono che si rientra nell"area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. In questa seconda ipotesi, la S.C. riconosce che il giudice dovrà: "procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza"
Il rapporto tra pregiudizio morale e pregiudizio psichico risulta, quindi, configurato dalle Sezioni Unite secondo la logica dell"assorbimento; il danno biologico sarebbe destinato a risucchiare nel suo alveo il danno morale ogni volta che la sofferenza sia tale da determinare una patologia.
2. Una prospettiva che colloca i rapporti tra danno morale e danno psichico nella logica dell"assorbimento non appare, in realtà, condivisibile.
Gli stessi giudici di legittimità (Cass. 11.6.2009, n. 13530, RCP, 2009, 1779) hanno avuto modo di sottolineare come - laddove il danno morale sia generato da un illecito tale da ledere un interesse distinto rispetto alla salute – un simile pregiudizio debba essere preso in considerazione separatamente da quello derivante dalla violazione della salute psichica. Più in generale, in sede di merito, è stato sottolineato che la lesione di carattere psichico non è che un aspetto – quello clinicamente accertabile – della complessiva sofferenza: "la malattia non esaurisce né assorbe affatto la componente della sofferenza morale, ma ne rappresenta solo una delle espressioni, quella accertabile secondo criteri medico-legali di giudizio. (…) Sarebbe veramente riduttivo pensare che il passaggio dal dolore intimo alla patologia certificabile cancelli il primo anziché, come appare anche più fedele agli aspetti del caso concreto, dilatarne lo spessore" (Trib. Trieste 29.8.2009, www.personaedanno.it).
Tali conclusioni vanno senz"altro condivise.
Il turbamento emotivo - prima di costituire la possibile fonte di una lesione alla salute psichica – rappresenta (in quanto generato da un illecito) l"effetto della violazione di una situazione giuridica autonomamente rilevante; ad esso va quindi attribuita la veste di danno-conseguenza, risarcibile quale pregiudizio di carattere morale.
Ove la sofferenza assuma una consistenza tale da rappresentare – con riguardo alla psiche della vittima - un evento traumatico, suscettibile di riflettersi sull"integrità psichica del soggetto, il torto mostrerà altresì l"attitudine a incidere sulla salute. In questo caso, si tratta di rilevare che sussisterà una lesione della salute psichica.
A livello risarcitorio, bisogna dar conto delle conseguenze di tale lesione: rappresentate dal danno biologico; e la consistenza di quest"ultimo dipende esclusivamente dal livello assunto dalla malattia mentale, la quale si rivela indipendente dall"ordine di grandezza della sofferenza che l"ha originata (così, ad esempio, per il danno morale della vittima di stupro: v. Cass. 21.6.2011, n. 13611, www.altalex.com).
In definitiva, sul piano giuridico, quando parliamo di danno psichico lo dobbiamo intender quale danno biologico discendente da una patologia psichica: quest"ultima incarna la lesione, suscettibile di determinare una serie di conseguenze pregiudizievoli rappresentate dalla menomazione di talune delle funzioni della psiche. Tali disfunzionalità determinano ripercussioni negative sulle attività quotidiane e nella dimensione dinamico-relazionale (rectius: esistenziale). Tutte queste conseguenze negative vanno ricondotte alla voce descrittiva del danno biologico (derivante, nella specie, da lesione psichica)
Dal canto suo la sofferenza emotiva, quale che sia l"entità e la durata della stessa, va sempre ricondotta – sul piano descrittivo – all"area morale del danno; il patema d"animo e il turbamento emotivo – quand"anche rappresentino la fonte di una patologia di ordine psichico - non potranno mai assumere la veste di danno biologico.
3. La lesione psichica può essere determinata da:
Per quanto riguarda questo secondo caso, sperimentare emozioni negative non significa essere vittime di un danno biologico di carattere psichico. Se le emozioni rimangono nell"ambito di ciò che viene ritenuto normale, restiamo al di fuori di una lesione psichica. Pertanto di lesione psichica (fonte di un danno biologico) non potrà parlarsi in corrispondenza a qualunque turbamento emotivo patito dalla persona.
Ove ricorrano alterazioni emotive che non si rivelano suscettibili di intaccare a livello patologico l"equilibrio psichico della persona, risulta infondato richiedere il risarcimento del danno biologico. Ciò discende dal fatto che il concetto di salute applicabile in ambito aquiliano non può corrispondere all"ampia nozione – utilizzata altrove con diverse finalità - di generico benessere dell"individuo, ma deve intendersi in termini più restrittivi, come assenza di malattia (a tale proposito, taluni interpreti hanno criticato l"ampia definizione di salute dell"OMS in quanto "il concetto di salute non deve essere confuso con il concetto di natura umana, finendo per inglobare al suo interno ogni possibile valore").
Ciò che vado a risarcire come danno biologico non è la patologia psichica (temporanea o permanente), bensì gli effetti che essa determina a carico della vittima:
Spetta al consulente tecnico accertare la ricorrenza della patologia psichica. In linea generale, la consulenza è volta ad accertare la ricorrenza della lesione e il suo impatto in termini di invalidità. La peculiarità che contraddistingue l"accertamento di una patologia psichica sta nel fatto che essa si fonda anche sull"indagine relativa alle compromissioni della sfera dinamico-relazionale del soggetto.
Posto che le alterazioni della sfera esistenziale della vittima possono rappresentare oggetto di indagine da parte del consulente con l"obiettivo di verificare la ricorrenza o meno di una lesione psichica, ciò non significa, invece, che si debba ricorrere alla consulenza quando si tratti di verificare la sussistenza di un danno esistenziale, in dipendenza della lesione di diritti diversi dalla salute.