Nell’affidamento di servizi, le cooperative sociali non possono conteggiare nel personale i soci volontari
Un’ASL ha indetto una procedura di gara aperta per l'affidamento del servizio di trasporto sanitario ordinario di pazienti in ambulanza ed emodializzati nell’interesse dell’Azienda medesima, per la durata complessiva di cinque anni, suddivisa in tre lotti funzionali. Ai sensi dell'art. 60, comma 1 del D.lgs. n. 50/2016, nelle procedure aperte, qualsiasi operatore economico interessato può presentare un'offerta in risposta a un avviso di indizione di gara.
A seguito dell’aggiudicazione del servizio alla prima classificata, un’altra impresa ha presentato ricorso, lamentando, tra l’altro, che l’aggiudicataria “contrariamente a quanto imporrebbe la vigente normativa, ha previsto di impiegare, per effettuare i servizi previsti dalla procedura di gara, e del tutto indifferentemente - ovvero senza alcuna indicazione o specificazione delle modalità di impiego - anche i propri volontari, che quindi vengono destinati ad effettuare le prestazioni dedotte in contratto anche in sostituzione degli addetti non volontari, senza che vi sia alcuna distinzione tra addetti remunerati e con regolare contratto e volontari.”
E’ utile ricordare che, infatti, l’art. 2, comma 5 della legge n. 381/1991 (legge sulla cooperazione sociale) dispone che: “Nella gestione dei servizi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), da effettuarsi in applicazione dei contratti stipulati con amministrazioni pubbliche, le prestazioni dei soci volontari possono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti”. La ratio legis sottesa a questa disposizione è quella di evitare fenomeni distorsivi della concorrenza, agendo sul ribasso del costo del lavoro, avvantaggiando quelle cooperative sociali che possono fare un utilizzo “massivo” del volontariato.
Il Tar Veneto, con la sentenza 5 gennaio 2022, n. 32, ha accolto la doglianza della società ricorrente, statuendo come segue:
La legge 8 novembre 1991, n. 381, in uno con le legislazioni regionali succedutisi negli anni, ha inteso riconoscere la cooperazione sociale quale formula giuridico-organizzativa che permette alle cooperative tradizionali di svolgere funzioni di tipo sociale, superando i confini della mutualità interna. Le cooperative sociali esercitano un’attività imprenditoriale, rispondente ai criteri di efficienza e di efficacia dell'azione intrapresa, allo scopo di realizzare un fine solidaristico. In quest’ottica, si può dunque affermare che la legge n. 381 del 1991 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una figura giuridica che, in termini organizzativi, è caratterizzata dalla natura imprenditoriale e, sotto il profilo teleologico è finalizzata al perseguimento di scopi di interesse generale. Infatti, la legge prevede in capo alle cooperative sociali di perseguire una finalità sociale nell’azione svolta, di servire determinate categorie di soggetti, nonché una compagine sociale ampia, rappresentativa dei diversi soggetti portatori di interesse (multistakeholder). Nella compagine sociale sono presenti anche i soci volontari, ai quali l’ordinamento giuridico riconosce lo status pieno di soci (rischio di impresa) e allo stesso tempo li rende integrativi e complementari all’azione e all’attività svolta dai soci lavoratori (retribuiti).
Da quanto sopra espresso consegue, in ultima analisi, che elemento fondante della cooperazione sociale è rappresentato dalla finalità perseguita, segnatamente, una finalità di interesse generale rilevante per la comunità in cui la cooperativa sociale opera. Tuttavia, detta finalità deve essere realizzata e conseguita attraverso lo svolgimento di attività imprenditoriali che – come ribadito nella sentenza de qua – non possono risultare in contrasto con i principi di parità di trattamento e di concorrenza.