Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  05/07/2022

Anche la Città Metropolitana di Cagliari dispone di un Garante, che vigilerà sulle condizioni e la salute dei detenuti - Giovanni Di Salvo

Il Garante dei diritti dei Detenuti.

Approfondimenti sulla recente Sentenza della Corte EDU, caso “Sy contro Italia” e sulle azioni risarcitorie disciplinate dallo Stato italiano per rimediare alle carenze, od alle criticità, strutturali. 

  1. Abstract.
  2. Abstract (inglese).
  3. La Città Metropolitana di Cagliari ed il Garante dei diritti dei Detenuti.
  4. Tutela dei diritti e trattamento dei detenuti vulnerabili. Il recente caso “ Sy contro Italia”.
  5. Il ruolo e le funzioni del Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà personale.
  6. Conclusioni.

Abstract.

Il tema del sovraffollamento carcerario costituisce ormai una emergenza nazionale. Ed a causa della recente pandemia ha turbato gli animi e gli intelletti dei migliori giuristi. Richiamati più volte dalla Corte EDU a vigilare affinché gli adeguamenti strutturali delle case detentive siano efficaci, ma soprattutto affinché siano rispettati pienamente i diritti fondamentali e le dignità delle persone private delle libertà. In effetti, le criticità riscontrate sono molto più vaste e complesse di quanto si possa immaginare. E spesso esse sono il prodotto delle società contemporanee. I detenuti sono, sovente, tossicodipendenti, migranti, immunocompetenti, vulnerabili, sbandati, sfollati. Soggetti fragili, privati d’ogni bene. Per cui le attività rieducative tradizionali risultano inadeguate, obsolete, costose e poco efficaci. Le amministrazioni penitenziarie scontano i ritardi e le carenze delle risorse riconducibili, ancora, alle conseguenze della Seconda Guerra mondiale. Ed oggi, per quanto dotate  di personale non contengono le derive causate dagli ingenti flussi migratori. Lo Stato italiano, pertanto, ha introdotto le nuove Autorità Garanti delle persone private della libertà e si ritiene che le sinergie attuate tra essi e gli uffici delle Magistrature di Sorveglianza consentiranno di colmare, nel prossimo decennio, le gravi lacune culturali ed operative. Intanto, sono state disciplinati, anche, altri strumenti legislativi, che consentiranno alle vittime, detenuti, migranti ed esiliati, di essere risarciti a causa delle violazioni gravi dei diritti fondamentali, costituzionali od umani.

Abstract (inglese).

The issue of prison overcrowding is now a national emergency.  And due to the recent pandemic it has disturbed the minds and intellects of the best jurists.  Recalled several times by the ECtHR to ensure that the structural adjustments of detention houses are effective, but above all that the fundamental rights and dignities of persons deprived of their liberties are fully respected.  In fact, the problems encountered are much larger and more complex than one can imagine.  And often they are the product of contemporary societies.  Prisoners are often drug addicts, migrants, immunocompetent, vulnerable, stragglers, displaced persons.  Fragile subjects, deprived of all good.  Therefore traditional rehabilitation activities are inadequate, obsolete, expensive and ineffective.  Prison administrations are paying for the delays and shortages of resources, again attributable to the consequences of the Second World War.  And today, although equipped with personnel, they do not contain the drifts caused by the huge migratory flows.  The Italian State, therefore, has introduced the new Guarantor Authorities of persons deprived of liberty and it is believed that the synergies implemented between them and the offices of the Supervisory Magistrates will make it possible to fill the serious cultural and operational gaps in the next decade.  Meanwhile, other legislative instruments have also been regulated, which will allow victims, prisoners, migrants and exiles, to be compensated for serious violations of fundamental, constitutional or human rights.

La Città Metropolitana di Cagliari ed il Garante dei diritti dei Detenuti.

La Città Metropolitana di Cagliari ha il proprio Garante dei Diritti dei Detenuti. È Francesco Caput, un amministrativista ed un formato giuspenalista, di settandue (72) anni, che è stato avvocato distrettuale di Cagliari e che ha ricoperto numerosi altri incarichi, sia in ambito pubblico che privato. Tanto, da essere stato prescelto e nominato, tra i numerosi candidati, in ragione delle competenze specifiche acquisite, dal Sindaco Metropolitano in carica Paolo Truzzu.

La recente nomina può ritenersi non solo la conclusione necessaria di una intensa campagna di sensibilizzazione, preceduta dalle petizioni e dalle mozioni inoltrate attraverso i Consigli Comunali ed al Consiglio Regionale della Sardegna. Dalle denunce, dalle proteste e dalle manifestazioni organizzate in Sardegna ed Italia, dai numerosi gruppi politici, per assicurare le tutele e le garanzie ad un mondo di sofferenza e di fragilità, distante dalla sensibilità della politica e dai dibattiti quotidiani. Ma un atto dovuto. Un adempimento di un obbligo dello Stato, assunto in sede internazionale, al quale non avrebbe potuto giammai sottrarsi l’ordinamento medesimo.

L’autorità indipendente, che è stata istituita, infatti, vigilerà sul rispetto dei diritti delle persone adulte e dei minorenni privati della libertà, sulle condizioni dei ricoverati nelle strutture ospedaliere delle Case detentive e delle persone ospitate nei REMS. Ed ancora sulle strutture psichiatriche, sui migranti accolti nei centri di accoglienza. E soprattutto sui rifugiati e sui richiedenti asilo.

In effetti, i compiti e le funzioni che assolverà il Garante saranno importanti poiché promuoveranno i diritti fondamentali e costituzionali. E tuteleranno le persone private della libertà personale, valorizzandone e contestualizzandone le partecipazioni alla vita civile, nell’ottica dei principi di recupero, di rieducazione proattiva e di reintegrazione sociale. In un momento storico che, non a torto, potrebbe essere definito cruciale, poiché è accresciuta la sensibilità istituzionale ed internazionale nei riguardi delle persone vulnerabili e dei  soggetti più fragili della società.

In tale contesto, sarebbe opportuno dare uno sguardo approfondito e maturo ai rischi di disumanizzazione della persona e di svilimento della dignità umana. Ed alle statistiche delle persone private della libertà personale, prima del processo e poi assolte. Per comprendere perché e quanto questo tema sia cruciale per l’ordinamento giuridico nazionale e per la tenuta della democrazia italiana.

Tutela dei diritti e trattamento dei detenuti vulnerabili. Il recente caso “Sy contro Italia”.

È, a mio avviso, opportuno introdurre il delicato tema delle tutele dei diritti umani e fondamentali richiamando la recente condanna inflitta all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima Sezione, con la Sentenza del 24 gennaio 2022, (ricorso n. 11791/20, Causa Sy contro Italia). Eppoi il saggio di Paolo Scarlatti, che propone di approfondire le sue analisi sulla conformità del sistema penitenziario italiano all’ordinamento costituzionale, oltreché convenzionale. Per quanto in particolare concerne l’effettività della tutela da assicurare ai detenuti vulnerabili.

Il saggio, infatti  pone in risalto la “sintonia esistente tra la giurisprudenza della Corte di Strasburgo”,  in tema di diritti dei detenuti vulnerabili, ed i più recenti “indirizzi della Corte Costituzionale”. Corte che ha confermato nella Sentenza n. 22 del 2022, seppur attraverso una dichiarazione di inammissibilità, il “peso della vulnerabilità” nella certificazione degli “evidenti profili di frizione” che l’operatività in concreto del sistema delle REMS (residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza) determina con i principi costituzionali. Esaminiamo, quindi, alcune questioni.

Nella fattispecie, un aspetto al quale potrebbero essere ricondotti i c.d. inadempimenti dello Stato e gli effetti della vulnerabilità riguarderebbero gli ambiti dei “diritti positivi”. Dinanzi ai quali la Corte Europea ha sviluppato una consapevolezza particolare sul legame che intercorre tra la tematica della tutela dei diritti delle persone vulnerabili e l’adempimento dei compiti e dei comportamenti attivi, da attuare da parte dello Stato. Affinché esso non si limiti ad astenersi dal tutelare le effettività dei diritti, se non in ragione di gravi ed irreparabili criticità, ma, anzi, si attivi a valorizzare le libertà ed i principi costituzionali, o convenzionali, in una ottica fattiva, funzionale, effettiva, operativa e costante.

Riguardo agli obblighi “positivi” di “carattere sostanziale”, la Corte Europea richiede allo Stato di adoperarsi con “l’adozione di tutte le misure necessarie, ulteriori, indispensabili e specifiche” per assicurare, per garantire alla persona vulnerabile una protezione adeguata ed effettiva dei diritti convenzionali. Configurando, con ciò, un obbligo d’intervento di tipo sostanziale dello Stato.

L’esame di questa Sentenza della Corte consente di cogliere alcuni elementi significativi ed idonei per sviluppare un approfondimento sugli aspetti diversi, inerenti le effettività delle tutele dei diritti dei detenuti, in quanto soggetti vulnerabili. In proposito, è utile evidenziare la “condizione di dipendenza” che affligge il detenuto, in quanto soggetto determinato. Dipendenza che può ricollegarsi tanto al rapporto imposto, gerarchizzato, dovuto, con la autorità dello Stato, quanto a quello obbligatorio con i soggetti terzi, che (ad esempio) l’abbiano in cura.

Parimenti indicativo risulta l’indirizzo seguito dalla Corte Europea in relazione al divieto di pene e di trattamenti inumani, o degradanti, sancito dall’art. 3 della CEDU, nella quale s’inserisce il Caso “Sy contro Italia”.

Infatti, in questo “caso”, anche, la Corte ha riconosciuto in via generale ai detenuti maggiormente vulnerabili, in quanto afflitti da patologie, disfunzioni o psicosi mentali, più o meno gravi, l’esigenza di una valutazione, di un approfondimento, che prenda in considerazione le condizioni particolari (di fragilità) nel contesto carcerario. Sino a porre, così, la questione dei “limiti di compatibilità” con la restrizione detentiva. E conseguentemente dei trattamenti di questi detenuti vulnerabili, fragili, ammalati e, pertanto, “particolari” in conformità con le garanzie sancite dalla CEDU.

Ad avviso della Corte EDU, quindi, l’essere “sottoposto al controllo” (detentivo) “della autorità” costituisce “la causa della vulnerabilità più manifesta”. In tale prospettiva la Corte di Strasburgo ha sostenuto che “la persona incarcerata può avere bisogno di maggiori tutele”, proprio a causa delle vulnerabilità dovute alle situazioni limitative o restrittive delle libertà, operate tanto dalle polizie (ad esempio, quando ricorra il fermo, o l’arresto), o quando la persona preposta sia stata condannata dall’amministrazione giudiziaria dello Stato. In particolare, risulta significativo l’indirizzo espresso incontrovertibilmente dalla Corte in relazione al divieto di imporre pene o trattamenti inumani, o degradanti, così come sancito dall’art. 3 della Convenzione.

In occasione del “caso Sy contro Italia” la Corte ha riconosciuto ai detenuti afflitti da patologie mentali e, perciò, vulnerabili il diritto ad una valutazione effettiva della condizione di salute e dello status particolare nel quale versano. Valutazione che tenga conto della personalità, delle peculiarità, delle specificità, della individualità e delle fragilità del singolo, astretto nel contesto penitenziario.

Il ruolo e le funzioni del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

A questo punto del nostro approfondimento esaminiamo alcune delle funzioni tipiche del Garante Nazionale dei Detenuti. Pur di comprendere al meglio gli impegni che seguiranno.

L’articolo 7 del Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla Legge 21 febbraio 2014, n. 10, poi modificato ulteriormente dagli atti legislativi successivi, istituì il Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà personale.

Il Garante Nazionale è, quindi, una Autorità di Garanzia indipendente, alla quale la Legge attribuisce le tutele dei diritti fondamentali e costituzionali. Sia che tale privazione della libertà sia stata disposta su mandato, o su decisione giurisprudenziale, dell’autorità giudiziaria, od amministrativa, nazionale. Sia che si tratti di privazioni, temporanee, o di fatto, della libertà. E cioè in assenza di un provvedimento formale dell’Autorità pubblica, od in conseguenza delle sue pronunce, od omissioni formali. Ciò in conformità con quanto previsto per gli organismi analoghi istituiti in altri Stati, od in ambito sovranazionale.

Organismi come il Comitato (CTP) Europeo per la Prevenzione della Tortura, delle pene e dei trattamenti inumani, o degradanti, del Consiglio d’Europa; od il Comitato (CAT) ONU per la Prevenzione della Tortura delle Nazioni Unite, che emana nuovi indirizzi sui diritti dei detenuti e dei richiedenti asilo.

In considerazione delle complessità da affronttare, il Garante Nazionale è stato costituito in Collegio, composto dal Presidente e da due Componenti, scelti tra persone non dipendenti delle pubbliche amministrazioni e nominati, previa delibera del Consiglio dei Ministri, con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le competenti Commissioni  Parlamentari.

Al riguardo, la Legge ha designato il Garante quale destinatario di funzioni ulteriori e rilevanti, quale il Meccanismo Nazionale di Prevenzione della Tortura (NPM - National Preventive Mechanism), nell’ambito del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura (OPCAT). Per cui esso è divenuto l’Organismo nazionale di vigilanza e di monitoraggio, anche, dei respingimenti, delle espulsioni e dei rimpatri forzati, ai sensi della Direttiva Europea 115/2008, sui rimpatri. E ad oggi le aree di intervento e di operatività sono articolate e complesse, spaziando nell’area penale, dalla vigilanza degli Istituti penitenziari per gli adulti ed i minori alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza e le Comunità. E sino alle aree delle Forze di Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia Municipale, quali le Camere di sicurezza ed i locali adibiti alle esigenze restrittive. Mentre per le persone migranti, vigila sui Centri di permanenza per i rimpatri, sugli hot-spot e sui locali di frontiera per il trattenimento delle persone migranti.

Sebbene l’area che risulti di maggiore interesse siano quelle dei Servizi psichiatrici di diagnosi e di cura, delle Residenze sanitarie assistenziali, per le persone anziane, o con disabilità, ed i luoghi formali di quarantena (quali, ad esempio, i c.d. Hotel Covid 19).

Le attività del Garante Nazionale principali sono, pertanto, le visite ai luoghi di privazione della libertà. Le cui visite, che si fondano su i tre poteri che il legislatore ha assegnato, si incentrano sull’accesso ai luoghi di custodia e di detenzione senza obblighi di preavvisi e di autorizzazioni. Sugli accessi ai colloqui riservati con i migranti e le persone detenute, vulnerabili, fragili od esiliati. Senza dover sottostare a formalità, o dover richiedere nulla osta, di sorta. Ed infine sull’accesso ai luoghi di indagine e sull’acquisizione istruttoria degli atti, delle cartelle cliniche e di tutte le documentazioni inerenti la procedura attivata.

In tal senso, il Garante dovrebbe poter operare in modo del tutto indipendente e senza alcuna interferenza, potendo accedere ai luoghi disciplinati dall’articolo 4 del Protocollo Onu. E svolgere colloqui visivi, riservati ed approfonditi con le persone detenute e con i testimoni; nonché con ogni altra persona che possa fornire elementi indiziari, o probatori, utili all’accertamento dei fatti ed all’esercizio delle funzioni preventive. Poiché lo scopo delle visite è individuare eventuali criticità e  trovare le modalità per risolverle. Ed innalzare, così, sempre più il livello di tutela delle persone private della libertà nel nostro Paese.

A conclusione delle attività il Garante Nazionale è tenuto a redigere un Rapporto dettagliato, contenente le osservazioni e le raccomandazioni che intende inoltrare alle Autorità competenti. Per cui ogni rapporto rimane riservato, fino a quando le Amministrazioni compulsate non abbiano risposto: ovvero, finché esso non sia pubblicato unitamente alle risposte ed alle osservazioni, sul sito web del Garante Nazionale.

Il Garante Nazionale, infine, presenta una relazione annuale al Parlamento ed è tenuto redigere un parere obbligatorio non vincolante su tutti gli atti legislativi in discussione in materia di privazione della libertà. 

Conclusioni.

Le recenti relazioni dei Garanti confermano dati allarmanti e criticità apparentemente irrisolvibili. Improvvisamente, i giuristi nazionali hanno compreso i drammi delle detenzioni presso le strutture italiane. E cominciano lentamente a valutare le strategie da attuare e gli interventi da programmare,  affinché l’Italia si adegui alle indicazioni che pervengono, sempre più frequentemente, dagli organismi internazionali. Ma soprattutto affinché siano ridotte le sofferenze per i soggetti più vulnerabili. In realtà le criticità sono le medesime da diversi anni. Ovvero, le strutture detentive sono obsolete, costose, sovraffollate e talvolta inidonee. Al 31 marzo 2022 sono circa 1.822 le persone condannate all'ergastolo, delle quali 1.280 all'ergastolo ostativo. Mentre 1.319 sono i detenuti in carcere per le esecuzioni delle sentenze di condanna, a meno di un anno; ed altri 2.473 obbligati a scontare una condanna da uno a due anni.

Il Garante Nazionale, inoltre, ha richiamato all'attenzione delle Istituzioni i numeri elevati dei suicidi in carcere e le violenze frequenti, avvenute, per esempio, presso la struttura di Santa Maria Capua Vetere. Evidenze che richiederebbero “capacità di accertamento rapido e rapida individuazione delle responsabilità, anche a tutela delle persone sulle quali penda una incriminazione così grave quale quella di tortura. O quella altrettanto grave di favoreggiamento nei confronti di coloro che di tale reato siano imputati”. Motivi per i quali il Garante ha ritenuto di ribadire che, in conformità con l’art. 27 della Costituzione, “la pena carceraria debba essere ridotta al minimo, parimenti ai reati ed alle pene, per le quali sino strettamente necessarie le misure penitenziarie”.

Tuttavia, dinanzi a tali scenari ciò che stimola maggiormente le attenzioni degli studiosi sono gli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale, la quale ha riconosciuto la fondatezza dei profili di incostituzionalità della normativa vigente. Ha richiamato il legislatore nazionale affinché provveda ad una riforma complessiva ed organica della materia, in considerazione delle carenze gravi, strutturali e culturali; e delle disfunzioni emerse dalla operatività del sistema attuale, che tanti drammi e sofferenze cagiona. Situazioni le quali gravità sono tal da determinare rotture con i principi e le salvaguardie costituzionali, sancite sui temi dei diritti alla salute, alla vita, alla dignità, alla sicurezza ed alla integrità.

Le cause principali? Sono le medesime da numerosi anni! Ciò che desta sgomento è la dietrologia politica e le difficoltà che incontra la amministrazione penitenziaria ad introdurre protocolli, o modelli, operativi più idonei. Riscontriamo, infatti,  carenze di personale, di competente, di mezzi, di risorse finanziarie e di programmazioni adeguate. Difficoltà di funzionamento dei luoghi di cura per la salute mentale esterni alle REMS, per gli imputati e le persone assolte in via definitiva per infermità mentale. La mancanza di efficaci coordinamenti tra l’amministrazione della giustizia ed i servizi sanitari territoriali. La difficoltà di produrre un rafforzamento della rete dei servizi per la salute mentale e dei soggetti vulnerabili, per ampliare e riqualificare l’offerta assistenziale. Ed, infine, la complessità psichiatrica, sanitaria, sociale e giudiziaria riconducibili alle vicende specifiche dei soggetti vulnerabili e fragili, che richiederebbero competenze ed impegni ulteriori, per costruire le motivazioni alla cura. E, soprattutto, per favorire una adesione consapevole delle persone astrette ai progetti proposti. 

Sui piani organizzativi ed amministrativi, invece, dovrebbero essere favoriti il maggiore coordinamento possibile ed un più ampio dialogo fra le istituzioni, che comprendano momenti di formazione congiunta, anche per favorire il ricorso all’intera gamma delle misure disponibili. Mentre sul piano della politica penal-penitenziaria potrebbero essere introdotte, con le opportune cautele, per le pene più brevi, misure alternative alla detenzione carceraria.

Infine ed a titolo del tutto personale, aggiungerei che il tema centrale è da individuarsi nel sistema delle fonti, poiché i testi unici e le normative non costituiscono più le fonti di produzione esclusiva ed a sé tante. E di conseguenza le norme interne non sono più portatrici di una intrinseca capacità innovativa, ma vieppiù rispondono alla necessità di recepire le pronunce e gli indirizzi formulati dagli enti sovraordinati, od internazionali. Agli enti interni resterebbe il governo del coordinamento e di ordine nella consultazione delle norme giuridiche. Al riguardo basti considerare quanto accade tra il giudice italiano e quello europeo, accertato che la normativa scaturente dalla fonte comunitaria regola il caso sottoposto al suo esame e ne applica il disposto  con esclusivo riferimento al sistema dell’ente sovranazionale. E di conseguenza le confliggenti statuizioni non possono costituire più, od oltre modo, un ostacolo al riconoscimento del valore e della forza del Regolamento, prima, e dei Trattati, poi, rispetto alla disciplina interna (benché oggetto di una riserva di Legge costituzionale); poiché l’effetto connesso con la norma europea non è quello di caducare la norma interna incompatibile, ma di impedire che essa venga in rilievo, quando sia palesemente in contrasto con l’ordinamento superiore; o violi i i diritti fondamentali od umani delle persone (rispetto ai quali non è configurabile alcuna riserva, negativa, di legge costituzionale). Ed allora, nell’evoluzione della giurisprudenza sovviene la necessità (ad avviso di alcuni l’obbligatorietà) di applicare immediatamente quel dato orientamento, o quel principio, che tuteli e valorizzi nella massima espansione i diritti fondamentali. E di conseguenza i diritti soggettivi assoluti ed esistenziali della persona, già codificati, con formule criptiche e limitative, nel nostro Codice civile, negli artt. 5, 10 ed 832, così come nell’art. 32 e nell’art. 2 della Costituzione. Articolo ultimo nel quale confluisce qualsiasi interesse collegato alla realizzazione della personalità dell'individuo, evolutivamente influenzato dalle esigenze, dai processi storico-sociali e pubblicistici della collettività in cui vive.

In conclusione i rimedi preventivi e quelli di natura compensativa dovranno coesistere, in modo complementare. Ed i percorsi di approfondimento sono e resteranno aperti per un lungo tempo, poiché non vi sarà più un tempo che possa intralciare l’accrescimento del catalogo dei diritti. Non vi sarà più uno spazio ed un tempo che possano limitare l’affermazione dei diritti dell’individuo.

Perché già oggi potrebbe invocarsi autonomamente il risarcimento dei danni per violazione di un diritto soggettivo, di un interesse legittimo, di un diritto costituzionale, o fondamentale. Oppure avvalersi degli strumenti legislativi predisposti dallo Stato al fine di beneficiare e di risarcire le vittime  detenute. Od infine avvalersi delle class action, a causa delle criticità strutturali, non imputabili, né alla responsabilità di un reo, né agli inadempimenti della pubblica amministrazione.

In allegato l'articolo integrale con note.


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