-  Redazione P&D  -  04/08/2014

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E LITISCONSORZIO - Cass. 17032/14 - Alessandro FAROLFI

Con l"ordinanza resa da Cass., VI. Sez., 25 luglio 2014, n. 17032, i giudici di legittimità tornano ad occuparsi di questioni processuali connesse alla nomina o (come in questo caso) alla cessazione dell"amministrazione di sostegno. Lo fanno, in modo condivisibile, riportandosi ad una precedente pronuncia del 2013, ma soprattutto dettando alcuni principi che vanno oltre l"importanza del caso deciso  e che coinvolgono le stessa fondamenta del nuovo istituto di ausilio delle persone prive di autonomia o con disabilità.

Il principio di diritto testualmente espresso è il seguente:

"Il procedimento per l"istituzione dell"amministrazione di sostegno, come la sua chiusura, rappresenta un procedimento unilaterale, nel quale non vi sono parti necessarie al di fuori del beneficiario dell"amministrazione. Non è perciò configurabile una ipotesi di litisconsorzio necessario fra i soggetti partecipanti al procedimento davanti al tribunale né, tantomeno, fra i soggetti che la legge individua come legittimati a proporre il ricorso per la istituzione della misura. Conseguentemente, la mancata notifica dell"istanza di chiusura all"amministratore o al pubblico ministero non costituisce una violazione del contraddittorio tale da dare luogo all"applicazione dell"art. 354 c.p.c.".

Nel caso di specie, il G.T. di Matera viene adito per la apertura dell"amministrazione di sostegno a favore di una persona di sesso femminile e tanto provoca, in via d"urgenza e sulla scorta della rappresentazione dei fatti contenuta nell"atto introduttivo, la nomina di un amministratore di sostegno provvisorio. Nel corso del procedimento emergono, invece, elementi tali da sconsigliare o rendere comunque superflua la definitiva apertura dell"amministrazione di sostegno ed il G.T. provvede, pertanto, alla immediata chiusura dell"amministrazione di sostegno provvisoria.

Il "puntuto" amministratore provvisorio, ritenutosi scavalcato da questo provvedimento, propone reclamo per motivi processuali, deducendo che non gli è stata notificata l"istanza di revoca o chiusura dell"amministrazione, né tale incombente risulta eseguito nei confronti del P.M.

La Corte d"Appello di Potenza rigetta il reclamo e conferma la valutazione del giudice tutelare. Ma l"indomito amministratore provvisorio non si ferma qui, proponendo ricorso per Cassazione che, come già anticipato, viene nuovamente respinto.

Al di là della vicenda concreta, il condivisibile provvedimento della Cassazione suscita alcune riflessioni.

In primo luogo, viene nuovamente sottolineata la natura unilaterale del procedimento per la nomina o la cessazione dell"amministrazione di sostegno. Le pure scarne disposizioni procedimentali dettate i questa materia (fondamentalmente gli artt. 405 e 407 c.c. e l"art. 720 bis c.p.c.) non configurano un procedimento contenzioso a parti contrapposte, bensì un modello di procedimento nel quale l"unica parte necessaria è costituita dal beneficiario, dalla persona della cui mancanza di autonomia gestoria si discute in vista dell"applicazione, o meno, di una misura di sostegno, variamente graduata. In questo senso, pertanto, le sollecitazioni dei famigliari del beneficiario, le preoccupazioni patrimoniali, gli eventuali conflitti fra aspiranti amministratori restano sullo sfondo: il loro non è un interesse direttamente apprezzato dal legislatore o giuridicamente tutelato in questo ambito, ma è soltanto un interesse strumentale ad offrire una migliore conoscenza al G.T., in vista  dell"adozione della migliore e più adatta misura volta a perseguire l"interesse del beneficiario senza limitarne inutilmente i diritti e la capacità di agire.

Si delineano in questo modo due principi sostanziali cardine di questo istituto, dalle immediate ricadute processuali:

1) sostenere limitando nel minor modo possibile la capacità del beneficiario - l"ADS costituisce uno strumento flessibile, sussidiario, proporzionato, come il troppo spesso dimenticato (perché non trasposto in qualche norma del codice) art. 1 della L. 9 gennaio 2004, n. 6 ci ricorda, sancendo che il nuovo istituto di protezione "ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell"espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente". Tale ratio trova una evidente applicazione positiva in norme come l"art. 409 c.c. (in forza del quale il beneficiario conserva la capacità per tutto ciò che non gli viene espressamente vietato e in ogni caso per i c.d. "atti minimi" della vita quotidiana), l"art. 405 c.c. (che delinea, fra l"altro, l"ipotesi di amministrazione temporanea e che riconferma, richiedendo espressamente nel decreto di nomina l"indicazione degli atti da compiere necessariamente con l"assistenza o la rappresentanza dell"amministratore, una regola di libertà e capacità salvi i soli atti, o categorie di atti, per i quali il decreto del G.T. opera una limitazione a carico del beneficiario), od ancora nell"art. 413 c.c. (secondo cui il G.T. può anche d"ufficio provvedere alla cessazione dell"amministrazione, mentre deve trasmettere gli atti al P.M., non potendo agire direttamente, laddove ritenga che all"ADS debba seguire – secondo una ipotesi che chi scrive reputa sostanzialmente teorica – l"interdizione);

2) perseguire il "best interest" del beneficiario – ciò che deve stare a cuore al G.T. non sono le più o meno fondate istanze che provengono dai famigliari del disabile o dalle sollecitazioni dei responsabili dei servizi sociali o sanitari che seguono la persona bisognosa di tutele, quanto l"interesse esclusivo del beneficiario, da perseguire nel miglior modo possibile. Naturalmente questo non sta a significare che le sollecitazioni dei soggetti indicati dall"art. 406 c.c. non debbano trovare spazi di approfondimento, anzi; ma sta ad indicare che quanto dagli  stessi esposto dovrà trovare seguito soltanto ove corrisponda all"interesse del beneficiario e secondo l"adozione di un provvedimento "personalizzato", capace in concreto di aiutare e non annichilire la persona debole. Anche in questo caso molteplici spunti normativi accolgono questo principio: l"art. 407 c.c. (che rende l"esame dell"interessato momento centrale del procedimento, nel quale valutare compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione i "bisogni" e le "richieste" dello stesso esaminando); l"art. 408 c.c. (secondo cui la scelta dell"ADS avviene "con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario", tanto che in caso di designazione "anticipata" da parte del beneficiario, il G.T. può nominare come ADS altro soggetto  soltanto se ricorrono "gravi motivi"); l"art. 410 c.c. (che funzionalizza l"esercizio delle attribuzioni dell"ADS al servizio dell"interesse del beneficiario, dei cui bisogni ed aspirazioni deve tenere conto, informando il G.T. in caso di scelte che non trovino il consenso del beneficiario); l"art. 411 c.c. (laddove consente al G.T. di estendere all"ADS decadenze ed effetti propri dell"interdizione, avuto riguardo ancora una volta all"interesse del beneficiario).

Diviene a questo punto pienamente comprensibile la decisione della Cassazione in commento, la quale non fa altro che occuparsi dei risvolti processuali dei principi appena ricordati: il procedimento per la nomina dell"ADS non è e non può essere un procedimento a parti contrapposte dei cui diritti il G.T. sia chiamato a farsi carico, determinando una "soccombenza" in senso tecnico dell"una o dell"altra parte; si tratta invece di un procedimento nel quale si discute unicamente dell"interesse del beneficiario e del miglior modo per realizzarlo, magari attraverso l"apporto conoscitivo dei soggetti indicati dall"art. 406 c.c., ma senza che in alcun modo gli stessi soggetti assumano la veste di litisconsorti necessari, tanto è vero che – anche dal punto di vista istruttorio – il G.T. ha unicamente l"obbligo di procedere all"esame dell"interessato, mentre può disporre d"ufficio tutti gli accertamenti medici o gli altri mezzi istruttori che ritenga utili per la decisione, limitandosi a "sentire" gli altri soggetti, compresi il ricorrente diverso dallo stesso beneficiario.

Non vi è una contraddizione fra legittimazione attiva ed assenza di litisconsorzio: il particolare interesse pubblicistico perseguito in materia di tutela ed ausilio delle persone disabili o prive in tutto od in parte di autonomia giustifica, infatti, l"attribuzione della legittimazione ad agire a soggetti diversi, compresi il P.M. ed i responsabili dei servizi socio sanitari. Ma si tratta di una legittimazione processuale straordinaria, attraverso la quale i soggetti di cui all"art. 406 c.c. non perseguono un proprio interesse, bensì quello dell"unica parte necessaria del procedimento. Conseguentemente gli stessi non assumono la veste di litisconsorti necessari e la loro assenza non determina un vizio tale da imporre alla Corte d"appello la rimessione al giudice di primo grado, ai sensi dell"art. 354 c.p.c.

Tale conclusione era stata già affermata dalla Cassazione con un unico precedente edito: trattasi della sentenza del 5 giugno 2013 n. 14190 (in D&G, 2013, p. 845, con nota di TANTALO), che occupandosi di un caso di rigetto delle domande di interdizione o inabilitazione con nomina di un amministratore di sostegno provvisorio da parte del Tribunale di Roma (provvedimento confermato dalla Corte di secondo grado), aveva altresì ritenuto che pur dovendosi applicare l"art. 713 c.p.c. all"ADS, in forza del richiamo contenuto nell"art. 720 bis c.p.c.,  la partecipazione al procedimento dei soggetti diversi dall"interessato è limitata alla loro qualità di "fonti" le cui informazioni siano ritenute utili ai fini della decisione del ricorso. Su questo argomento, cfr. altresì Corte Appello di Bologna, 16 dicembre 2005 (in www.personaedanno.it), la quale ha rigettato il reclamo del nipote e del pronipote del beneficiario - i quali lamentavano la mancata notifica del ricorso cui era seguita la nomina dell"ADS – evidenziando che parenti ed affini non hanno qualità e veste di parti in senso proprio, ma un compito "consultivo" per il giudice.

Del resto, questa ricostruzione del procedimento di nomina dell"ADS come "unilaterale" appare coerente con l"altra grande questione processuale più volte affrontata dal S.C., concernente la necessità o meno della difesa tecnica, che i giudici di legittimità hanno escluso in linea generale, salvo il caso in cui occorra adottare provvedimenti "incapacitanti" per il beneficiario, dovendo in questo caso, per esigenze superiori di difesa, disporne la costituzione in senso tecnico attraverso un legale. La nota Cass. 29 novembre 2006, n. 25366 (in GD, 2006, n. 49, 36), infatti, nel ribadire le differenze fra procedimento in parola e giudizio di interdizione, ci ricorda che parlare del procedimento in commento come di volontaria giurisdizione non è di per sé sufficiente ad escludere la necessità di una rappresentanza difensiva tecnica, esistendo esempi di procedimenti camerali nei quali è avvertita l"esigenza di assicurare pienamente il diritto di difesa (es. art. 10 l. 184/83 mod. dalla L. 149/2001 in tema di accertamento dello stato di abbandono del minore, o l"art. 37 di quest"ultima legge, ove richiede che genitori e minore siano assistiti da un difensore nei procedimenti ablativi o limitativi della potestà genitoriale – oggi responsabilità genitoriale – od ancora la disciplina dell"abrogato processo societario, che prevedeva l"obbligo della difesa tecnica per i procedimenti camerali di  giurisdizione volontaria bilaterali o plurilaterali, considerandola invece facoltativa per i procedimenti unilaterali, in base all"art. 25 co. 3 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5). La Corte è recentemente tornata sul tema con la decisione 20 marzo 2013, n. 6861 (in www.iusexplorer.it) affermando che "il procedimento per la nomina dell"amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l"emanando provvedimento debba limitarsi  ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l"intervento dell"amministratore; necessita, per contro, detta difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell"interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazione o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l"interdetto o l"inabilitato".

Tornando conclusivamente al provvedimento in esame, va infine notato come non debba sorprendere neppure il rigetto del secondo motivo di doglianza avanzato dall"ADS ricorrente, concernente la mancata notifica al P.M. dell"istanza di chiusura dell"amministrazione provvisoria inizialmente concessa. In primo luogo la Corte rileva la novità e quindi inammissibilità della censura, ma anche nel "merito" della questione processuale posta, il S.C. evidenzia come le analogie fra procedimento di ADS ed interdizione si fermino nel ritenere necessaria la partecipazione del P.M. al procedimento, nel senso che lo stesso deve essere posto in grado di intervenire nel procedimento, attraverso non una notifica ma la comunicazione a cura della cancelleria del ricorso e della fissazione dell"udienza per l"esame del beneficiario (art. 407 u.co. c.c. e art. 713 c.p.c. richiamato dall"art. 720 bis c.p.c.). Questo non significa che la mancata presenza de facto del P.M. renda nulli gli atti poi eventualmente compiuti dopo tale prima comunicazione (che lo ha messo ritualmente in grado di intervenire quale proprio dovere d"ufficio), né che gli debbano essere comunicati – e meno ancora notificati – eventuali rinvii dell"udienza o istanze incidentali, come quella relativa alla chiusura dell"amministrazione provvisoria, che anche in questo caso la Cassazione esclude possa dare luogo ad un difetto del contraddittorio comportante la rimessione al giudice di prime cure.  Su questo tema, cfr. altresì Cass. 21 maggio 2014, n. 11223, in www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com: "in tema d'intervento obbligatorio del P.M., la tardiva formulazione delle sue conclusioni, fuori udienza e senza che le parti abbiano potute conoscerle, non determina la violazione del contraddittorio, atteso che, ai fini della validità del procedimento, non è necessaria né la presenza alle udienze né la formulazione delle conclusioni da parte di un rappresentante di tale ufficio, che deve semplicemente essere informato, mediante l'invio degli atti, e posto in condizione di sviluppare l'attività ritenuta opportuna"; cfr. altresì Cass. 24 maggio 2005, n. 10894, secondo cui "per l'osservanza delle norme che prevedono l'intervento obbligatorio del P.M. nel processo civile - come nel caso di procedimento di separazione personale dei coniugi - è sufficiente che gli atti siano comunicati all'ufficio del medesimo per consentirgli di intervenire nel giudizio, mentre l'effettiva partecipazione e la formulazione delle conclusioni sono rimesse alla sua diligenza".

NOTA BIBLIOGRAFICA MINIMA: Anche sui temi procedurali legati all"amministrazione di sostegno esiste una vasta bibliografia. Ci si limita pertanto a ricordare le seguenti opere, ove sono contenuti ulteriori riferimenti bibliografici: BATTAGLIA, Amministrazione di sostegno e ricorribilità in Cassazione, in www.personaedanno.it; CASSANO, Norme applicabili all"amministrazione di sostegno e disciplina processuale, in GI, 2007, 1840; CENDON- ROSSI, ADS: il procedimento, in www.personaedanno.it; CENDON- ROSSI, ADS: la difesa tecnica, in www.personaedanno.it; FAROLFI, Amministrazione di sostegno, Giuffrè, Milano, 2014, in part. 115 e ss.; MASONI, Profili procedimentali dell"amministrazione di sostegno, in www.personaedanno.it; MASONI, Commento agli artt. 404 – 407 c.c., in Commentario al Cod. civ. a cura di Cendon, Giuffrè, Milano, 2009; PASSANANTE, Profili processuali dell"amministrazione di sostegno, in Fam., 2006, 257; TOMMASEO, La disciplina processuale dell"amministrazione di sostegno, in Quaderni familia, Giuffrè, Milano, 2005, 184.




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