-  Valeria Cianciolo  -  13/04/2017

Adozione. Anonimato materno e interpello – di Valeria Cianciolo

Nota a margine della Corte di Appello di Salerno, decreto del 7-8 febbraio 2017

 La l. n. 184/1983 era improntata, ab origine, a che con l"adozione si interrompesse ogni rapporto tra l"adottato e la famiglia biologica. Le norme successive, invece, registrano un"apertura verso la famiglia d"origine. Si pensi al dovere imposto ai genitori adottivi di informare il minore adottato della sua condizione (art. 24 l. 28.3.2001, n. 149). Oppure, all"abrogazione dello stesso art. 28 nella parte in cui vietava l"accesso alle informazioni in una pluralità di casi, restringendo tale divieto al solo caso del parto anonimo (art. 177, comma 2°, d. legis. 30.6.2003, n. 196). Un"apertura che, ovviamente, deve avvenire nei modi e nei termini ritenuti più opportuni: cioè, senza ignorare le ricadute che simili informazioni, una volta ottenute, possano avere sull"adottato (soprattutto se minore) e sul rapporto con la famiglia adottiva

La versione originaria dell'art. 28 della legge n. 184 del 1983 non ammetteva la possibilità di conoscere le generalità dei genitori naturali, perchè con l'adozione legittimante, il minore sostituisce il proprio status di figlio naturale con quello di figlio adottivo. In sostanza, l'adozione è una «rinascita» del minore e in quest'ottica, il passato perde importanza.

La scelta di apporre il segreto alle origini biologiche dell'adottato serviva, da una parte, a scongiurare il pericolo di una doppia genitorialità, dall'altra rappresentava il modo per contemperare agli interessi dei tre soggetti coinvolti — genitori naturali, adottivi, minore — attraverso la cesura netta di ogni tipo di rapporto[1].

In linea generale era, pertanto, preclusa la visione dei documenti contenenti informazioni sui genitori naturali ai sensi dell'art. 24, 1° comma, legge 241/1990, che esclude l'accesso «nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge».

L'assolutezza del dettato normativo veniva stemperata dal 2° comma dell'art. 28, «L'ufficiale di stato civile e l'ufficiale di anagrafe debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria». L'indeterminatezza dei presupposti in base ai quali accordare l'autorizzazione è stata interpretata nel senso di consentire l'accesso alle informazioni sui genitori naturali nell'ipotesi in cui tale conoscenza fosse strumentale alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti, in primis la salute (Trib. min. Napoli, 24 luglio 1998).

Il semplice desiderio di conoscenza (salvo un caso isolato, Trib. min. Umbria, 27 febbraio 2001) era destinato a rimanere insoddisfatto.

Sulla spinta del diritto convenzionale (art. 20 della Convenzione europea di Strasburgo sull'adozione dei minori; artt. 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; art. 30 della Convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale) la novella del 2001, L. 28 marzo 2001, n. 149, cambia totalmente registro, consentendo all'adottato di sapere chi sono i propri genitori naturali.

Un diritto incondizionato a conoscere le proprie origini biologiche è configurabile solo dopo i venticinque anni: «L'adottato, raggiunta l'età di venticinque anni, può accedere ad informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici» (art. 28, 5° comma). È questa l'età ritenuta dal legislatore idonea a garantire che la conoscenza non rappresenti uno shock troppo grande per l'adottato. Riconoscere un diritto incondizionato significa che con il raggiungimento dei venticinque anni cessa la segretezza sul rapporto genitoriale biologico, forma di tutela per i genitori naturali (salvo quanto disposto dal 7° comma) e per i genitori adottivi, e l'unica situazione giuridica rilevante per l'ordinamento diventa il diritto all'informazione dell'adottato.

L"impianto normativo sul "parto anonimo" (art 28 Legge 4 maggio 1983 n.184, dichiarato incostituzionale con la sent. 278/2013) non consente al figlio di venire a conoscenza delle proprie origini, assicurando alla madre l"anonimato dei dati relativi alla sua identità laddove la stessa abbia dichiarato, ai sensi dell"art. 30, comma 1, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 di voler rimanere anonima.

Invero, secondo la disciplina oggi in vigore e contenuta nel Codice della Privacy (art 93 comma II e III del D.L.vo n.193/2003), il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre, sono consultabili decorsi 100 anni dalla formazione del documento.

Soltanto a seguito della sentenza Godelli c. Italia, ed ancor prima della sentenza Oviedre c. Francia, si è avuta un"apertura circa la "reversibilità" del segreto materno.

Con la sentenza emessa il 13 febbraio 2002, nel caso Odièvre contro Francia la Corte EDU ha riconosciuto l"esistenza di due interessi in conflitto, da una parte quella del figlio alla conoscenza delle proprie origini e dall"altra quella della madre di portare a termine la gravidanza e di partorire in condizioni di sicurezza, e la necessità di una contemperamento tra gli stessi.

La Corte di Strasburgo riconosceva nella legge Francese (n. 2002-93 del 22 gennaio 2002) quella che meglio di ogni altra è riuscita a contemperare i due interessi in questione, rafforzando le possibilità per la donna di revocare la sua decisione e permettendo mediante l"istituzione di un organismo ad hoc (il Consiglio nazionale per l"accesso alle origini personali) di gestire la reversibilità del segreto condizionandolo all"accordo espresso dalla madre e dal figlio e rendendo concreta ed effettiva l"interpellabilità della madre sulla richiesta del figlio di rimuovere il segreto.

Con la sentenza Godelli v. Italia (Corte eur. dir. uomo, 25.9.2012, ric. 33783/09), la Corte di Strasburgo ha condannato l"Italia per violazione dell"art. 8 Conv. eur. dir. uomo, in quanto «la normativa italiana non dà alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l"accesso ad informazioni non identificative sulle sue origini o la reversibilità del segreto».[2]

La  decisione della Corte costituzionale con la sentenza del  18 novembre 2013, n. 278 sembrerebbe aver posto fine al delicato problema circa gli effetti della scelta di non essere nominata nella dichiarazione di nascita effettuata dalla partoriente al momento del parto, allorquando il figlio adottato sia divenuto adulto e richieda informazioni sulle proprie origini genetiche e familiari. Con una pronuncia additiva di principio, la Consulta ha dichiarato l"illegittimità costituzionale dell"art. 28, comma 7, della l. 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo modificato dall"art. 177, comma 2° del d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede, attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.

La sentenza della Corte costituzionale sembra delineare sia pure sommessamente, la configurabilità una nuova situazione giuridica di rilevo nell"ordinamento: quella del ripensamento e della revoca dell"anonimato, che sembra spostare in qualche modo il baricentro dell"istituto dell"adozione legittimante, già ripetutamente ritoccato dal legislatore ed oramai impoverito del suo contenuto. La Corte costituzionale, quindi, ha modificato il comma 7 dell"art. 28, L. n. 184/1983, introducendo così la possibilità che, su richiesta del figlio, la madre, che al momento del parto avesse dichiarato di non voler essere nominata, potesse essere interpellata al fine di verificare se intendesse revocare la propria dichiarazione di anonimato. In sostanza, l"irreversibilità della scelta materna all"anonimato, è costituzionalmente illegittima, stante la necessità di bilanciare il diritto all"anonimato materno da un lato e, dall"altro, il diritto a conoscere le proprie origini, quale espressione del diritto alla identità personale

Mentre nella sent. n. 425 del 2005, la Corte Costituzionale aveva escluso la reversibilità del diritto all"anonimato della madre ritenendo la sua eventuale previsione in contrasto con la ratio sottesa alla disciplina impugnata, nella sent. n. 278 del 2013, invece, il ragionamento è ribaltato: la disposizione impugnata è censurabile – dice la Corte – «per la sua eccessiva rigidità».

Ciò che prima doveva, secondo una lettura costituzionalmente orientata, essere escluso, deve ora, sempre secondo una lettura costituzionalmente orientata, essere ammesso: la preminenza del diritto alla salute (della madre e del nascituro) è abbandonata, determinando la tendenza alla sua assolutezza un sacrificio eccessivo del diritto dell"adottato all"identità.

Nel panorama giurisprudenziale, due sono gli orientamenti che si sono venuti a delineare, a seguito della pronuncia della Consulta:

- un primo, seguito anche dai Tribunali per i minorenni di Milano, di Catania, di Bologna e di Salerno, attribuiva alla sentenza n. 278 del 2013 natura di "pronuncia additiva di principio", in quanto la Consulta con l"inciso "attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza" istituiva una riserva di legge nell"individuazione del procedimento d"interpello per non vanificare la garanzia di segretezza sul parto riconosciuta dall"ordinamento alla donna. Pertanto, l"interpello della madre non poteva avvenire con modalità direttamente individuate dal giudice risultando tale intervento indebito nonché invasivo degli altri poteri dello Stato;

- un secondo invece, seguito dai tribunali per i minorenni di Trieste, Piemonte, Valle d"Aosta e dalla Corte d"appello di Catania (Sezione famiglia, delle persone e dei minori) che, in forza dei principi enunciati dalla sentenza Cedu (Godelli c. Italia) e per effetto della sentenza sopracitata della Consulta, ammetteva la possibilità di interpello riservato anche senza la legge. L"art 28 comma 7 della L. 184/1983, infatti, in quanto dichiarato incostituzionale non poteva essere più applicato.

Sulla questione è ritornata la Cassazione civile che con una decisione resa a Sezioni Unite (sentenza 25 gennaio 2017 n. 1946) ha affermato che "in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità."

Nella sentenza le Sezioni unite fanno pure riferimento a due protocolli seguiti dai Tribunali dei minorenni che, a seguito della sentenza additiva della Consulta, ritennero opportuno di dare seguito alla richiesta del figlio.

Un primo metodo in base al quale "il Tribunale per i minorenni, una volta ricevuto il ricorso del figlio, forma il relativo fascicolo, secretato sino alla conclusione del procedimento e anche oltre; alla luce della visione del fascicolo della vicenda che portò all'adozione, incarica la polizia giudiziaria di acquisire, presso l'ospedale di nascita, notizie utili alla individuazione della madre del ricorrente; ove la madre risulti in vita, incarica il servizio sociale del luogo di residenza di questa (per via consolare, in caso di residenza all'estero) di recapitare, esclusivamente a mani proprie dell'interessata, una lettera di convocazione per comunicazioni orali, indicando diverse date possibili nelle quali le comunicazioni verranno effettuate, presso la sede del servizio o, ove preferito, al domicilio di quest'ultima. Ove la madre biologica, in sede di notificazione, chieda il motivo della convocazione, l'operatore del servizio sociale dovrà rispondere "non ne sono a conoscenza", osservando in ogni caso il più stretto segreto d'ufficio; il servizio notificante informa il giudice delle condizioni psico-fisiche della persona, in modo da consentire le cautele imposte dalla fattispecie; il colloquio avviene nel giorno e nel luogo scelto dall'interessata, tra quest'ultima - da sola, senza eventuali accompagnatori - e il giudice onorario minorile delegato dal giudice togato. A questo punto, secondo le direzioni pratiche, l'interessata viene messa al corrente dal giudice che il figlio che mise alla luce quel certo giorno ha espresso il desiderio di accedere ai propri dati di origine, e viene informata che ella può o meno disvelare la sua identità e può anche richiedere un termine di riflessione. Se la donna non dà il suo consenso al disvelamento, il giudice ne dà semplice riferimento scritto al tribunale, senza formare alcun verbale e senza comunicare il nome del richiedente; se invece la persona dà il suo consenso, il giudice redige verbale, facendolo sottoscrivere alla persona interessata, solo allora rivelando a quest'ultima il nome del ricorrente".

Un secondo metodo prevede che "il Tribunale dei minorenni provvede alla convocazione del rappresentante dell'Ufficio provinciale della pubblica tutela, che consegna la busta chiusa contenente il nominativo della madre: il rappresentante dell'Ufficio della pubblica tutela viene fatto uscire dalla stanza; il giudice apre la busta e annota i dati della madre, inserendoli in altra busta, che chiude e sigilla, redigendo un verbale dell'operazione; la prima busta viene nuovamente sigillata e, siglata dal giudice con annotazione dell'operazione compiuta, viene riconsegnata al rappresentante dell'Ufficio, a questo punto fatto rientrare e congedato. Tramite l'Ufficio dell'anagrafe, il giudice verifica la permanenza in vita della madre e individua il luogo di residenza. Il fascicolo rimane nell'esclusiva disponibilità del giudice ed è indisponibile per il ricorrente, che non potrà compulsarlo, essendo abilitato soltanto a estrarre copia del suo ricorso. Ove la madre sia individuata, il giudice, avuta nozione delle caratteristiche del suo luogo di residenza, considerando le caratteristiche personali, sociali, cognitive della donna, prende contatto telefonico con il soggetto ritenuto più idoneo nel caso concreto (responsabile del servizio sociale o comandante della stazione dei carabinieri), senza comunicare il motivo del contatto e chiedendo solo di verificare la possibilità di un colloquio con la madre in termini di assoluto riserbo. Solo ove sia concretamente possibile l'interpello in termini di assoluta riservatezza, viene delegato il responsabile del servizio sociale (ovvero un giudice perché si rechi in loco) al contatto della madre e alla manifestazione a questa della pendenza del ricorso da parte del figlio. Il responsabile del servizio o il giudice raccolgono a verbale la determinazione della madre, di conferma ovvero di revoca dell'anonimato; solo ove la madre revochi la originaria opzione per l'anonimato, il ricorso, sussistendo le altre condizioni di cui all'art. 28 della legge n. 184 del 1983, viene accolto, e il ricorrente accede al nominativo materno".

La Corte di Appello di Salerno, con il decreto del 7-8 febbraio 2017 (est. Colucci), ha statuito che, pur mancando ancora una disciplina procedimentale attuativa del diritto del figlio a conoscere l"identità materna, il figlio, tuttavia, può richiedere al giudice di conoscere la propria storia familiare, interpellando la madre che alla sua nascita abbia chiesto di non essere nominata, ai fini della revoca della dichiarazione di anonimato. Ciò sempre nel rispetto della riservatezza e della dignità della madre, tenuto conto che il diniego della madre a consentire che venga resa nota la propria identità, costituisce un limite insuperabile a riproporre nuovamente la richiesta per conoscerne l"identità.

Si deve, peraltro, rilevare come i tribunali per i minorenni abbiano già attivato prassi che consentono indagini sulla identificazione della madre, nonché l"accertamento della sua sussistenza in vita.

Pertanto, mediante la prassi che si sta creando nelle Corti di merito, si può evincere che il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, trova concreta attuazione, sebbene ancora non siano state indicate dal Legislatore le modalità procedurali entro cui inserire l"esercizio di tale diritto.

Presupposto fondamentale però è che a seguito delle pronunce richiamate e della giurisprudenza di merito che sta creando, caso per caso, una prassi sul tema, il diritto a conoscere le proprie origini si iscrive nella tutela costituzionale dell"art. 2.

Il Tribunale di Trieste con il decr., 5 marzo 2015 ha indicato i primi criteri ai quali attenersi enunciando i passaggi che, in via di prassi, devono essere seguiti, una volta identificata la madre biologica, in modo da dare concreta attuazione alle indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale.

Tali passaggi possono, in estrema sintesi, essere così sintetizzati: 1) recapito alla madre biologica, in forma assolutamente riservata per il tramite di un operatore dei Servizi Sociali, di una lettera di convocazione proveniente dal Tribunale; 2) colloquio con la donna alla sola presenza del Giudice Onorario delegato dal Giudice Togato; 3) richiesta alla madre biologica di consenso al disvelamento della sua identità; 4) in caso di consenso della madre biologica, rivelazione alla stessa dell"identità del figlio/figlia ricorrente.

Successivamente l'Assemblea della Camera approvava il 18 giugno 2015 il testo unificato di alcune proposte di legge, finalizzato ad ampliare la possibilità del figlio adottato o non riconosciuto alla nascita di conoscere le proprie origini biologiche. Il provvedimento è all"esame del Senato.

Queste le novità principali della riforma:

- estensione anche al figlio non riconosciuto alla nascita da donna che abbia manifestato la volontà di rimanere anonima la possibilità, raggiunta la maggiore età, di chiedere al tribunale dei minorenni l'accesso alle informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici;

- possibilità di accesso alle proprie informazioni biologiche nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata;

1. accesso consentito nei confronti della madre che abbia successivamente revocato la volontà di anonimato;

2. accesso consentito nei confronti della madre deceduta;

3. procedimento di interpello della madre per verificare il permanere della sua volontà di anonimato;

- I legittimati ad avviare l"istanza di interpello (può essere presentata una sola volta, al tribunale per i minorenni del luogo di residenza del figlio) sono:

1. l'adottato maggiorenne;

2. il figlio maggiorenne non riconosciuto alla nascita, in assenza di revoca dell'anonimato da parte della madre;

3. i genitori adottivi, legittimati per gravi e comprovati motivi;

4. i responsabili di una struttura sanitaria, in caso di necessità e urgenza e qualora vi sia grave pericolo per la salute del minore.

- Se la madre confermi di volere mantenere l'anonimato, il tribunale per i minorenni autorizza l'accesso alle sole informazioni di carattere sanitario, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all'eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili;

- modifica dell"art. 2 del codice della privacy con riguardo al certificato di assistenza al parto: il vincolo dei 100 anni viene meno in caso di revoca dell'anonimato, di decesso della madre o di autorizzazione del tribunale all'accesso alle sole informazioni di carattere sanitario;

- modifica del regolamento sullo stato civile in relazione alle informazioni da rendere alla madre che dichiara di volere restare anonima. La madre dovrà essere informata, anche in forma scritta:

1. degli effetti giuridici, per lei e per il figlio, della dichiarazione di non volere essere nominata;

2. della facoltà di revocare, senza limiti di tempo, tale dichiarazione;

3. della possibilità di confermare, trascorsi 18 anni dalla nascita, la volontà di anonimato;

4. della facoltà di interpello del figlio.

In data odierna, la Presidenza del Tribunale per i minorenni di Bologna ha inoltrato una circolare (cfr. allegato) sulla procedura da seguire per le istanze di accesso alle origini presentate da soggetti nati da madri che non hanno acconsentito a essere nominate.

L"ennesimo monito per il legislatore di adempiere al compito demandatogli dalla Corte Costituzionale, ormai, ben quattro anni fa.



[1] Nel sistema vigente anteriormente alla declaratoria di incostituzionalità, la facoltà della partoriente di non riconoscere il nato al momento della nascita interferiva stabilmente con il diritto dell"adottato di accedere ai dati anagrafici dei genitori biologici, in quanto impediva, in via definitiva ed assoluta, il perfezionamento della fattispecie conoscitiva di cui all"art. 28, commi 4o , 5o e 8o , l. n. 184/83: l"operatività della condizione era senza eccezioni (adottato minore, maggiore di età, ultraventicinquenne, adottato i cui genitori adottivi erano morti o divenuti irreperibili) e rispecchiava una scelta legislativa di opportunità politica, che ha mostrato, sino ad oggi, la propria longevità e persistente continuità temporale.

La Corte di Strasburgo, con la sentenza Godelli, depositata il 25 settembre 2012, ha condannato l"Italia per la violazione dell"art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell"uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la l. n. 848/55. Ha, infatti, accolto il ricorso presentato in data 16 giugno 2009 dalla signora Anita Godelli, che, abbandonata alla nascita senza essere stata riconosciuta dalla madre biologica, veniva affiliata all"età di sei anni, e cominciava, all"età di sessantaquattro anni, una lunga e fallimentare ricerca giudiziaria di acquisizione di informazioni sulle sue origini, vedendosi privata anche della possibilità di accedere a dati di carattere non identificativo. Sul presupposto che il diritto alla identità e allo sviluppo della persona – nel quale confluisce l"interesse vitale protetto dalla Convenzione ad ottenere informazioni necessarie alla scoperta della verità riguardante un aspetto importante della identità personale, qual è l"identità dei propri genitori – è riconducibile alla nozione di vita privata di cui all"art. 8 della Convenzione, la Corte osserva che la legislazione italiana (e segnatamente l"art. 28, comma 7o , l. n. 184/83) non realizza un equilibrio ed una proporzionalità sufficienti tra gli interessi in causa, ovvero quello della madre biologica a rimanere anonima – che sottintende quello della protezione della sua salute e della vita del nascituro – e l"interesse dell"adottato (o dell"affiliato) di ricostruire la sua storia personale e familiare. Non è previsto, invero, alcun meccanismo di reversibilità del segreto né è regolato l"accesso alle informazioni non identificative. Conclude dichiarando che l"Italia ha ecceduto nel margine di apprezzamento e di discrezionalità, che pure sono consentiti dall"art. 8 della Convenzione, nella scelta delle misure da adottare per raggiungere tale bilanciamento. Per la consultazione del testo integrale della sentenza, v. il sito ufficiale della Corte europea dei diritti dell"uomo, http://www.echr.coe.int/echr/, o quello del Ministero della giustizia, http://www.giustizia.it




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