Cultura, società  -  Redazione P&D  -  31/01/2023

A Simona - Ambrogio Ercoli

Quando i giorni della memoria sono tutti quelli che hai davanti e il tuo corpo arranca verso quel breve tratto di strada che ti separa dal tuo futuro, senti di aver bisogno del caldo di una parola che ti sorregga. Le ossa stanche e artrosiche, di quel tepore hanno bisogno, come di una giornata di primavera, dopo l’inverno; hanno bisogno di scaldarsi al mattino per partire, di un motivo che trasformi una naturale deriva in un nuovo viaggio. Forse non è nemmeno questione di età, è intrinseco nell’uomo la necessità di una meta da raggiungere e se non c’è, ce la si inventa o si muore, prima nell’anima che nella carne. Lo fanno i sepolti vivi in carcere, lo facevano gli internati nei lager: ci si alza e si punta al pranzo, poi si lavora e si punta alla adunata serale, si cena e si punta alla branda. Ed alla fine, un altro giorno è passato.

Siamo ormai alla fine di quell’evento che ha spaccato a metà il novecento, in un prima e un dopo, a raccogliere gli ultimi frammenti di vita e di memoria di chi “c’era”.

E così ti ritrovi, come Primo Levi, un diploma di perito chimico in tasca, a curare la memoria del prima e del dopo in soggetti diversi; a mantenere vivi quei fiori che cercano sempre di rifiorire giorno dopo giorno, nonostante gli anni. Nonostante la battaglia già persa in partenza, in gocce di umanità.

Un grazie, sincero, solo a te, Simona; e mille altri grazie a tutti gli operatori delle RSA per ogni singolo minuto del loro operato.

E una preghiera:

Le preziosissime loro parole

già rare adesso per età,

già rare prima per pudica reticenza,

poi rare per sempre;

abbracciale tutte da parte mia.




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