-  Redazione P&D  -  09/08/2008

Trib. Chiavari, 9 agosto 2008, n. 373, g.u. Grasso - RISARCITO IL DANNO DA SUONO DI CAMPANE

[...] Pur avendo parte attrice esposto in modo sufficientemente chiaro il petitum e la causa petendi, risulta opportuno premettere alla decisione del caso in esame una sintetica esposizione delle disposizione e dei principi normativi implicati dalle domande attrici.
In materia di immissioni rumorose vengono in rilievo le seguenti norme:
art. 844 c.c., in base al quale le immissioni rumorose tra fondi sono consentite solo ove esse non superino il limite della normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi (comma 1), dovendosi contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e potendosi tener conto della priorità di un determinato uso (comma 2);
art. 2043 c.c., quale norma fondante la responsabilità da fatto illecito;
D.P.C.M. 14.11.1997 (oltre al precedente D.P.C.M. 1.3.1991), che fissa i limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno;
legge n. 447/95, c.d. legge quadro sull’inquinamento acustico;
art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone), art. 674 c.p. e altre previsioni della normativa antinquinamento, per i profili di rilievo penale.
Nella presente sede è superfluo riportare l’evoluzione storica dell’interpretazione giurisprudenziale delle predette norme, risultando sufficiente chiarire e affermare che:
l’art. 844 c.c. individua un’azione di natura reale (“che rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della proprietà, che mirano... a far accertare l’inesistenza di qualsiasi diritto e l’illegittimità di turbative e molestie in danno del fondo, al fine di conseguire la cessazione di queste ultime”, Cass. n. 4086/97), dunque posta a tutela del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento, strumento di tutela che consente di ottenere la cessazione del comportamento lesivo, oltre ovviamente al risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla lesione del diritto dominicale;
detta norma affida al giudice il compito di risolvere i conflitti derivanti da usi incompatibili di proprietà immobiliari, deferendo allo stesso il compito di individuare nel caso concreto la soglia di “normale tollerabilità” dell’immissione rumorosa;
si condivide al riguardo la cosiddetta lettura dicotomica dei due commi della norma, così che il contemperamento delle ragioni della proprietà con le esigenze della produzione deve individuarsi come momento indipendente e successivo rispetto al giudizio di (in)tollerabilità: una volta accertata una situazione di intollerabilità, la necessità di detto contemperamento (e la facoltà di tener conto del preuso) dovranno guidare il giudice nella scelta dei vari rimedi (inibitoria negativa, inibitoria positiva, indennizzo) da riconoscere a tutela del soggetto leso dalle immissioni (in questo senso cfr., tra le tante, Cass. n. 13334/99);
la normativa pubblicistica posta a tutela della salute e dell’ambiente è irrilevante e ininfluente nelle controversie tra privati relative alla intollerabilità (così come alla illiceità) delle immissioni, non essendo corretto utilizzare, nei rapporti tra privati, criteri ai quali generalmente si ispira la disciplina pubblicistica in tema di inquinamento acustico, che investono l’ambiente esteso e che, per loro natura e filosofia, non possono essere strutturati per considerare le esigenze precipue del singolo nei rapporti con il proprio vicino (cfr. Cass. n. 5398/99) [1]; ne deriva che, se il superamento degli standard pubblicistici di esposizione al rumore impone la scelta della tutela inibitoria, non può escludersi che risulti intollerabile (o illecita) nel singolo caso un’immissione che rientri nei limiti della normativa pubblicistica;
ne consegue ulteriormente che, ai fini della valutazione di tollerabilità del rumore, va escluso l’uso del criterio cosiddetto assoluto, che fa riferimento ad una rumorosità ammissibile in una certa zona (ossia un rumore è da considerare tollerabile o meno a seconda che oltrepassi i valori di soglia stabiliti dall’Autorità), dovendosi correttamente ricorrere ad un criterio cosiddetto relativo-comparativo, che valuti in concreto la tollerabilità; a tal fine la ormai costante giurisprudenza di legittimità e di merito fa riferimento al differenziale esistente tra rumorosità di fondo della zona [2] (intesa quale complesso di suoni di origine varia, continui e caratteristici della zona) e intensità massima del rumore prodotto dalla fonte sonora oggetto di verifica, così correntemente individuando come intollerabile il rumore che superi di 3 decibel la rumorosità di fondo [3];
l’art. 2043 c.c. è il fondamento e la fonte dell’azione risarcitoria spettante sia al soggetto proprietario del fondo che subisce le immissioni, sia a qualsiasi altro soggetto che a causa di dette immissioni patisce un danno alla salute (cfr. per il profilo dominicale Cass. n. 4937/81, ove si afferma che “l’inibitoria ex art. 844 c.c. e l’azione ordinaria di responsabilità aquiliana conservano reciproca autonomia”; per la lesione del diritto alla salute si veda per tutte Cass. SS. UU. n. 4263/85, ove si afferma che “l’art. 844 c.c. disciplina i rapporti inerenti al diritto di proprietà, mentre dal suo ambito esula... il diritto alla salute considerato dall’art. 32 della Costituzione, con la conseguenza che per la tutela di quest’ultimo... vengono in considerazione e sono applicabili, mediante opportune statuizioni riparatorie, ripristinatorie e inibitorie, le norme dettate in via generale dagli art. 2043 e 2058 c.c.”);
detta “separazione” di ambito tra le disposizione degli art. 844 e 2043 c.c., pur imponendo di mantenere giuridicamente distinti i concetti di (e l’indagine sulla) intollerabilità e di illiceità del rumore (rispettivamente rilevanti ai sensi delle predette norme), non impedisce, data l’identità del fatto (l’immissione sonore) generatore della reazione legale, di utilizzare nelle rispettive valutazioni il medesimo, sopra delineato, criterio tecnico scientifico di individuazione della “soglia” oltrepassata la quale l’ordinamento riconosce tutela al soggetto che subisce le immissioni (cfr. in questo senso Cass. n. 2396/83 e Cass. n. 4093/90, secondo cui “qualora un’immissione ecceda la normale tollerabilità è dovuto al proprietario del fondo danneggiato il risarcimento... consistendo la immissione in un fatto illecito ex art. 2043 c.c.”;
detta impostazione risulta infine aver avuto avallo dalle SS.UU. con la sentenza n. 10186/98, in cui la Suprema Corte, sia pure con specifico riferimento ad una statuizione inibitoria, ha espressamente fatto coincidere il superamento dei limiti di tollerabilità con la compromissione degli aspetti del diritto alla salute collegati al godimento fondiario).
Alla luce delle norme e dei principi appena esposti, nei termini che seguono risultano fondate e meritevoli di accoglimento, considerata l’istruttoria esperita, entrambe le domande avanzate dall’attrice.  [...]




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