-  Redazione P&D  -  26/02/2016

TELECAMERE NON FUNZIONANTI SUL LUOGO DI LAVORO? E' VIOLAZIONE DELLART. 2087 C.C. Cass. Lav. 3212/2016 - I. FORTINA

In seguito ad una rapina a mano armata una nota azienda viene condannata al risarcimento dei danno biologico e morale ad una propria dipendente. La mancanza di telecamere funzionanti sul luogo di lavoro e di inferiate alle finestre, infatti, vengono considerate idonee a configurare la violazione degli obblighi di sicurezza prescritti dall"art. 2087 c.c. .

La sentenza in commento riflette sul generale obbligo di sicurezza sui luoghi di lavoro. Norma cardine di tale principio è rappresentata dall"art. 2807 c.c. che prescrive il dovere, posto in capo al datore di lavoro, di adottare tutte le precauzioni necessarie avendo riguardo, tra le altre cose, anche alla particolarità dell"attività svolta.

Tutto ha inizio da una rapina a mano armata subita da una dipendente ed avvenuta proprio sul luogo di lavoro che ha causato nella stessa un disturbo post-traumatico certificato anche da idonea CTU espletata sia in primo grado che in appello.

Entrambi i giudizi di merito si concludevano con la condanna nei confronti dell"azienda ricorrente al risarcimento dei danni - biologico e morale - in favore della lavoratrice.

Gli Ermellini confermano la decisione resa dalla Corte territoriale in merito alla violazione, da parte dell"azienda, delle norme a tutela poste dall"art. 2087 c.c. .

Ed infatti si legge in sentenza che le cautele che il datore di lavoro è tenuto ad espletare concernono non solo il corretto uso di macchinari, la salubrità dell"ambiente et simila; deve essere tenuta in debita considerazione anche l"attività concretamente svolta ed adottare ogni idonea misura volta alla tutela dei lavoratori.

Nel caso in oggetto l"azienda ricorrente praticava quale attività prevalente quella di movimentazione di somme di denaro: va da sé che il rischio di subire una rapina appare se non certo quantomeno altamente probabile.

In ragione di ciò il datore di lavoro deve munirsi di un sistema di sicurezza funzionante ed idoneo a garantire una adeguata protezione ai propri dipendenti.

Ed infatti correttamente la Corte d"Appello confermava la condanna di primo grado al risarcimento in favore della lavoratrice dei danni biologico e morale in conseguenza dell"accertato inadempimento all"obbligo datoriale di predisposizione di idonee misure di sicurezza da cui è poi scaturito l"evento criminoso oggetto di causa.

Risarcimento che appare dovuto in quanto la lavoratrice ha correttamente assolto all"onere della prova a suo carico, dimostrando il nesso causale tra inadempimento del datore di lavoro e danno patito.

Di contro, nei confronti del datore di lavoro vige la generale presunzione di cui all"art. 1218 c.c. per la quale è necessario fornire la prova di aver assolto a tutte le cautele del caso, avuto riguardo all"attività svolta ed ai rischi ad essa conseguenti. Prova che di fatto non è stata fornita dalla ricorrente. Il sistema di videosorveglianza posto sul luogo di lavoro risultava non funzionante e non erano state poste inferiate alle finestre atte a prevenire tentativi di rapina.

Tali circostanze, va" da sé, sono atte a dimostrare la mancanza di mezzi adeguati atti a tutelare l"integrità fisica e la sicurezza sui luoghi di lavoro da parte dell"azienda ricorrente.

Data la natura dell"attività svolta, tali precauzioni, nell"opinione della Suprema Corte, apparivano necessarie e conformi al dettato dell"art. 2087 c.c. ma sono state palesemente disattese dalla ricorrente.

A nulla sono valse le difese di quest"ultima che, come si legge in sentenza, si sono incentrate, più che sull"esame della norma in oggetto, su un sostanziale riesame della questione nel merito.

Per le ragioni ora esposte la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla ricorrente, confermando la sentenza resa dalla Corte d"Appello che la condannava al risarcimento dei danni biologico e morale alla lavoratrice.




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