-  Redazione P&D  -  01/04/2014

STATO SOCIALE, EMERGENZE COSTITUZIONALI E SOLIDARIETÀ INFRANTA - Fabio CEMBRANI

Direttore U.O. di Medicina Legale,

Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento

----------------------------

SOMMARIO. 1. Introduzione. 2. Le parole d"ordine dell"attuale dibattito politico: cambiamento (rottamazione), rigore (austerità) e responsabilità. 3. Il significato delle priorità costituzionali. 4. Alcuni indicatori macroeconomici e statistici che rafforzano l"idea di solidarietà infranta e la prospettiva dell"indebito condizionamento dei diritti garantiti alla persona umana. 5. Dalle parole all"azione. 6. Conclusioni.

 

1. Introduzione.

Questa nostra epoca postmoderna è un tempo davvero segnato dalle grandi trasformazioni sociali in corso, dalla complessità e dalla confusione. E la complessità si è sicuramente inasprita a causa della crisi economica che ha investito, sia pur con intensità diversa, tutti i Paesi industrializzati e che non può non condizionare, sotto il peso della perdita di speranza per il futuro e dei conflitti intra ed inter-generazionali, la nostra personalità e le nostre biografie personali.

Tuttavia, mi sembra troppo semplicistico ricondurre la complessità del nostro tempo alla sola recessione economica che sta attraversando anche il nostro Paese la cui stabilità è minacciata, oltre che dagli interessi personali di molti, dalle incomprensibili oscillazioni del mercato finanziario, dal walzer giornaliero dello spread, dall"incredibile disavanzo pubblico contratto da una classe politica spesso purtroppo attenta ai soli interessi personali e, di conseguenza, troppo concentrata sulle preferenze degli elettori e sulle promesse impossibili da mantenere, da una esagerata pressione fiscale che ha ridotto i consumi ed impedito la ripresa del mercato, da un tasso di disoccupazione che è drammatico e da una diffusa povertà (sono oltre 4 milioni le persone che, nel nostro Paese, vivono sotto la soglia di povertà) che, se non si interverrà, è destinata a trasformare la crisi economica in una vera e propria crisi sociale. Essa è, infatti, da ricondurre a molti fattori, tra cui voglio ricordare: l"affievolimento (se non addirittura la perdita) della forza dei principi e dei valori di rango costituzionale che appaiono coerentemente ordinati ad illuminare, di luce non riflessa, l"idea di persona e la sua inviolabile dignità; quella sospettosa atassia[1] che, accanto alla banalizzazione ludica della cultura imperante[2] il cui valore supremo è quello di divertirsi e divertire al di sopra di qualunque altra forma di conoscenza e di ideale, è una delle caratteristiche strutturali salienti di questa nostra epoca; il progressivo impoverimento degli ideali sociali anche se, oramai, l"abitudine e la gogna mediatica hanno finito con il condizionare il disincanto, la sfiducia e la perdita di speranza; l"indebolimento di quella capacità virtuosa di porsi solidaristicamente al servizio della comunità e dell"appartenenza sociale anche in prospettiva intergenerazionale; il trasformismo di convenienza politico che, dissolti i grandi partiti di massa e le robuste ideologie post-belliche, ha minato il senso più autentico del rapporto tra lo Stato ed i cittadini non solo nella non-pretesa di affermare primati o esclusività[3] per salvaguardare il principio di laicità della democrazia costituzionale ma anche delegittimando il sano legame che pur esisteva tra gli elettori ed i diversi gruppi organizzati per cui il sostegno è oggi dato solo in cambio di promesse e di favori clientelari; le profonde antinomie non sempre affrontate in termini di dialettica costruttiva che esistono in campo bioetico e biogiuridico e che investono, senza distinzione alcuna, tutti i temi eticamente sensibili, compresi anche quelli sui quali un accordo di tregua sembrava oramai raggiunto tra la schiera di chi si professa aderire alla tradizione cattolica e la schiera di chi appartiene, invece, al pensiero laico[4].

Le conseguenze di tutto ciò sono, purtroppo, evidenti nella loro attuale drammaticità: alla nostra Costituzione sono state inferte ferite vitali, lo Stato sociale è stato messo in discussione dai tagli apportati alla spesa pubblica, gli interessi dei più deboli sono stati messi da parte e la solidarietà è stata indiscutibilmente infranta.

 

 

2. Le parole d"ordine dell"attuale dibattito politico: cambiamento (rottamazione), rigore (austerità) e responsabilità.

Purtroppo, solo molto raramente le cose corrispondono alle parole[5] anche se queste ultime non sono mai neutrali come ci ha insegnato la filosofia linguistica moderna: molto spesso esse sono vere e proprie pietre scagliate nell"agone retorico con precise finalità, vuoi per imbonire il pubblico, vuoi per alleviare le nostre ansie vuoi, ancora, per riportare a galla le sommerse ed ancestrali paure di chi ha ancora il coraggio di interrogarsi sul significato della vita, sulle prospettive intergenerazionali e sul destino finale del mondo.

Se rifletto serenamente sul dibattito politico in corso a me sembra esistano alcune parole ripetute all"infinito nel tentativo di dare risposta alle molte questioni: una di esse è la parola "rinnovamento" (o "rottamazione"), un"altra la parola "rigore" (o "austerità"), una terza è la parola "responsabilità".

La parola "rinnovamento" è spesso usata nell"agone politico e qualcuno, addirittura, l"ha sostituita con il termine "rottamazione" che. È bene ricordarlo, ha un duplice significato linguistico designando: (1) la raccolta e la demolizione di macchine di vario genere in funzione del recupero dei materiali riutilizzabili; (2) una strategia politica finalizzata ad incoraggiare la demolizione di autoveicoli e motoveicoli tecnologicamente superati ritenuti dannosi per l'ambiente o per dar fiato al mercato. In questa prospettiva esistono i "rottamati" (che sono cosa diversa dagli "esodati" anche se non è detto che i primi possano trasformarsi nei secondi) ed i "rottamatori", ovverosia quei singoli individui o quegli specifici gruppi costituiti che si auspicano di chiudere definitivamente con il passato per dare rinnovata luce all"opacità di una certo modo di fare politica. Traendone comunque qualche beneficio perché chi rottama è una persona in posizione di forza che, di regola, è nelle condizioni di vendere i materiali recuperati o di barattarli con altra materia prima. Anche se quest"idea di "rottamazione" a me sembra essere particolarmente bizzarra: a volte siamo spettatori di proposte di rinnovamento lanciate sul palcoscenico pubblico senza accorgerci che esse altro non sono che il tentativo di restaurazione di un passato recente, tirato nuovamente in ballo anche attraverso il recupero di nomi, di emblemi e di simboli; altre volte ascoltiamo proposte di rinnovamento più aspre intese a "rottamare" tutti i partiti politici che la Costituzione indica, ricordiamolo, come strumenti per la nostra partecipazione attiva alle determinazioni della politica nazionale. E così la parola "rinnovamento" viene usata all"infinito per alesare il cuore dei problemi drammatici posti dall"oggi anche se il suo contenuto è spesso nebuloso, per non dire altrettanto opaco come lo è stato quel modo di fare politica che i "rottamatori" vorrebbero definitivamente cancellare restaurando anche il passato.

L"altra parola, oggi di gran moda, è quella di "rigore" (o di "austerità"). Il termine, molto spesso usato da chi è più o meno esperto di finanza, sembra avere oramai assunto un significato catartico e purificatore pur continuando a veicolare il suo contenuto tragico: a mali estremi, rimedi estremi. Ecco, quindi, la parola magica cui ci si aggrappa nel tentativo di dare qualche soluzione al nostro debito pubblico che ha oramai superato i 200 miliardi di Euro e che è in continuo e rapido incremento essendosi attestato, nel secondo semestre del 2013, su oltre il 133% del nostro prodotto interno lordo (PIL): "rigore" ("austerità"), ovverosia, per dirla in termini più pratici, "risanamento" del deficit pubblico attuato operando tagli trasversali indistinti a tutte le voci di spesa di bilancio, quasi che sulla priorità delle stesse sia impossibile impossibile raggiungere un accordo. Perché, come è stato osservato da valenti costituzionalisti[6], se andiamo ad analizzare i vincoli di spesa rispetto alle priorità costituzionali e non già alle tante alchimie propinateci nei talk show televisivi pur da valenti economisti che hanno comunque avuto il merito di farci capire che la loro disciplina è tutt"altro che esatta, esse possono essere differenziate in tre distinte sottocategorie: (a) le voci di spesa "doverose"; (b) quelle "consentite"; (c) quelle addirittura "vietate". Le voci di spesa "doverose" sono, naturalmente, quelle che devono essere finanziate per rendere esigibili i principi ed i valori fatti propri nostra Costituzione e gli obiettivi da essa indicati con la sua trama complessiva; quelle "consentite" (si pensi, ad es., al finanziamento delle scuole private) sono, invece, quelle voci di spesa sulla quali esiste un certo margine di discrezionalità affidato al legislatore ordinario che, tuttavia, non può operare a suo piacimento ma solo dopo aver soddisfatto i bisogni ed i beni primari costituzionamente garantiti; le voci di spesa "vietate" sono, invece, quei finanziamenti ed investimenti che contrastano con il tessuto costituzionale. Dette in questa maniera le cose appaiono relativamente semplici perché orientarsi non è certo difficile. Perché, in ogni caso, la Costituzione non può essere messa in discussione dalla scarsità delle risorse economiche e perché i diritti inviolabili (o fondamentali) della persona umana non possono diventare diritti per così dire condizionati: ne andrebbe di mezzo la stessa democrazia costituzionale perché –è bene ricordarlo- quei diritti e quelle libertà inviolabili sono sottratti alla disponibilità del legislatore ordinario che, eventualmente, potrà legittimamente intervenire su quelle voci di spesa consentite augurandoci, naturalmente, che quelle vietate restino davvero tali. Anche se restano intoccabili i finanziamenti dedicati alle grandi opere pubbliche di dubbia utilità, all"acquisto di grandi aerei da combattimento che ci renderanno invincibili in un ipotetico conflitto bellico, alla nostra partecipazione attiva ad azioni di guerra camuffate sotto l"idea degli interventi di carattere umanitario ed alla digitalizzazione della nostra macchina militare; per non dire delle spese non certo virtuose della politica messe in risalto dallo scandalo dei finanziamenti dati ai partiti, dei costi dei veicoli di rappresentanza, dei tantissimi incarichi dati a manager pubblici di dubbia capacità, al numero troppo elevato di onorevoli, di parlamentari, di assessori regionali e provinciali, di sindaci e di assessori comunali e delle comunità di valle e chi più ne ha più ne metta.

Sul significato della parola "responsabilità" non mi dilungo anche perché essa è stata oggetto di un mio preciso intervento, già pubblicato su questa Rivista[7], ancorchè io l"abbia riferita alla prospettiva professionale.

 

 

3. Il significato delle priorità costituzionali.

In maniera più o meno velata si pongono, oggi, numerosi interrogativi a cui non possiamo sottrarci di dare risposta. Può la Costituzione cedere il passo ai vincoli di bilancio?. Questi vincoli, ancorchè legittimi, possono o meno mettere in discussione i diritti e le libertà fondamentali, altrettante legittime, iscritte nella persona umana ad illuminare la sua dignità? È consentito al legislatore ordinario di disattendere la Costituzione e di negare i suoi principi informatori sia pur con l"obiettivo di contenere il disavanzo pubblico?

Queste domande si affacciano, naturalmente, nella nostra vita professionale di ogni giorno che ci pone spesso a fronte di diritti negati ma è davvero paradossale la circostanza che nessun opinionista le proponga né a chi in questo momento regge il timone della responsabilità politica né a chi si propone la sua discutibile rottamazione. Eluderle non è ragionevole; se non proviamo a dare ad esse una risposta, costituzionalmente guidata, il prezzo che sarà pagato dai nostri figli e dai figli dei nostri figli sarà drammatico anche perché, a quel punto, la democrazia sarà solo un ricordo. Perché la Costituzione non è cambiata anche se qualcuno lo ha auspicato a più riprese, perché il suo disegno complessivo è del tutto chiaro pur nella sua essenzialità e perché la crisi economica non può cancellare, con un colpo di spugna, i diritti di libertà indicati dai nostri Padri costituenti e rafforzati da altre fonti normative di provenienza esterna quali, ad es., la Carta fondamentale dei diritti dell"uomo e la Carta fondamentale dei diritti dell"unione europea.

Di questi diritti e di queste libertà è possibile stilare un catalogo generale ma non è questo ciò che qui interessa visto che le norme costituzionali, sovranazionali (europee e comunitarie) e quelle internazionali appaiono ordinate intorno ad un asse centrale che le illumina di significato: la persona umana e la sua dignità. Dignità che transcolora dalle previsioni indicate dall"art. 3, secondo comma, Cost. che affida alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l"eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l"effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all"organizzazione politica, economica e sociale del Paese» e che, guarda caso, rubrica il Capo I della Carta fondamentale dei diritti dell"unione europea. Carta che, all"art. 1, proclama l"inviolabilità della dignità umana, il suo rispetto e la sua incondizionata tutela. La nostra Carta costituzionale delinea, dunque, un progetto chiaro indicandone senza tentennamenti anche la direzione verso la quale il legislatore ordinario è tenuto ad andare: essa eleva i diritti sociali al rango di libertà fondamentali iscritte nella persona umana e, come tali, sottratti alla sfera di disponibilità del legislatore che non può disporne incondizionatamente trovando l"azione legislativa «un limite nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati»[8]. Con la conseguenza che il legislatore non può certo interferire negativamente sull"esigibilità di quei diritti né modularli a suo piacimento, anche quando ciò sia il risultato di chiare scelte destinate a contrarre la spesa e l"indebitamento pubblico se queste scelte vanno, appunto, ad incidere irragionevolmente su di loro.

E questo occorre ricordare ad un legislatore probabilmente sbadato che non può certo assestare altre ferite mortali alla Costituzione anche se a me pare sia oramai inarrestabile la caduta di quei diritti sociali di cui si fa strenuo interprete l"art. 3 Cost. collocato, non certo a caso, dai nostri Padri costituenti nei "Principi fondamentali" della medesima.

 

4. Alcuni indicatori macroeconomici e statistici che rafforzano l"idea di una solidarietà infranta e la prospettiva dell"indebito condizionamento dei diritti garantiti alla persona umana.

È l"invecchiamento della popolazione e l"allungamento della speranza di vita il fenomeno che accomuna tutti i Paesi industrializzati anche se la mortalità infantile continua ad essere un grande problema dei Paesi più poveri: l"UNICEF ha stimato in 200 milioni i bambini malnutriti presenti al mondo e, nel 2011, i bambini sotto i cinque anni di età deceduti a causa della malnutrizione sono stati oltre 2,3 milioni.

Focalizzandoci sugli anziani va detto che l"Istituto centrale di statistica (ISTAT) ha stimato che la popolazione sulla quale si concentra il maggior fabbisogno assistenziale -gli over-80enni- passerà dal 6% del 2011 al 15,5% nel 2060 e che, nel 2030, queste persone raggiungeranno i 7,7 milioni di unità con un incremento, altrettanto esponenziale, delle persone non autosufficienti: queste persone, dagli attuali 2 milioni di unità, diventeranno circa 3,5 milioni. Lo stesso ISTAT, con un"indagine Multiscopo effettuata alcuni anni fa ed aggiornata nel 2011 con lo strumento dell"intervista telefonica, ha stimato l"esistenza, nel nostro Paese, di 2,6 milioni di persone disabili alle quali vanno aggiunte le circa 161.000 persone non autosufficienti ricoverate a tempo pieno nelle strutture residenziali. Queste proiezioni appaiono, tuttavia, sottostimate se si guarda ad altre fonti informative statistiche italiane: il CENSIS stima, infatti, l"esistenza nel nostro Paese di 4,1 milioni di persone non autosufficienti, la prevalenza delle quali (3,5 milioni) sarebbero over-65enni.

Queste fonti statistiche ci dicono, dunque, che in Italia la non autosufficienza è un pianeta ancora poco conosciuto, stimabile numericamente in via ancora presuntiva visto che il numero di queste persone sarebbe compreso tra 2,6 e 4,1 milioni di unità rappresentando, ad ogni modo, una percentuale non trascurabile della popolazione. Con una prima forte criticità con la quale siamo costretti a confrontarci: il nostro sistema di sanità-welfare è caratterizzato da un"ampia dispersione delle fonti informative che, a parte qualche esperienza locale, non consentono di avere dati certi ed aggiornati in tempo reale sul numero, sulle caratteristiche e sui bisogni delle persone non autosufficienti.

Peraltro, le conseguenze di questa vera e propria transizione epidemiologica ed il loro impatto sull"incidenza delle malattie neurodegenerative sono, purtroppo, conosciuti. Il numero di questi malati è destinato a crescere progressivamente in tutte le nazioni occidentali avanzate: il numero delle persone dementi (stimato al momento in 35,6 milioni) è destinato, infatti, a raddoppiare ogni 20 anni cosicchè, nel 2050, questi malati saranno 115,4 milioni. Se guardiamo al nostro Paese le persone dementi, che si stimavano essere circa 800 mila alcuni anni fa, diventeranno 1,13 milioni nel 2020 ricordando che questa malattia colpisce il 20% circa delle persone over-85enni con una percentuale che sale oltre il 30% negli over-90enni. Parallelamente a ciò incrementeranno i costi sociali per la cura e l"accudimento di questi malati che, a livello mondiale, sono stimati in circa 600 miliardi di dollari pur con la precisazione che quasi il 90% di questa cifra è sostenuta dai Paesi occidentali industrializzati dove però si trova solo il 46% dei pazienti dementi. Per questa voce di spesa si stima un incremento dell"85% entro il 2030 anche se è da dire che, almeno nel nostro Paese, si stima che il 71,4% dei costi (circa 60 mila Euro all"anno) grava sulle famiglie e solo il restante sul Servizio sanitario nazionale. Peraltro, queste stime non tengono conto dei costi dell"accudimento familiare in termini di perdita di salute perché si stima che una percentuale variabile tra il 40 ed il 75% dei caregivers soffrono di significativi disturbi e che il 15-32% di essi sviluppino disturbi depressivi gravi: nel Regno Unito si stima, addirittura, che i costi sociali prodotti dalle malattie di cui è impegnato nell"accudimento di questi pazienti siano superiori a quelli sostenuti per la malattia e che la spesa complessiva per le demenze sia superiore a quella per le malattie oncologiche benchè la ricerca in quel settore riceva finanziamenti pari ad un dodicesimo di quelli destinati a queste ultime. Ciò a dimostrazione dello scarso investimento della ricerca promossa dall"Industria che resta, purtroppo, il più importante attore nello sviluppo delle conoscenze condizionandole, naturalmente, alle esigenze di mercato.

A questo progressivo incremento del numero di persone anziane non autosufficienti si associa, almeno in Italia, la mancanza di un univoco modello di politiche destinate alla Long term Care ed il graduale indebolimento della rete familiare che non ha più le caratteristiche e la tenuta di un tempo e che si è trovata, per così dire costretta, ad impegnare nell"assistenza domestica oltre 840 mila persone immigrate, poco formate e spesso assunte senza un contratto regolare. Ciò a causa dell"allungamento della vita lavorativa dovuto alla riforma previdenziale che ha interessato anche il nostro Paese nel tentativo di arginare la spesa previdenziale (il 16,1% del PIL avendo la gestione previdenziale superato, nel 2011, i 167 miliardi di Euro con un plus di spesa, rispetto all"anno precedente, del + 2,8%), perché la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è stata fino a qualche anno fa in incremento anche se il tasso di disoccupazione è oggi diventato una vera e propria emergenza sociale, perché l"esigenza di avere una doppia entrata reddituale è oramai una caratteristica comune a moltissime famiglie italiane, perché sono aumentate le strutture familiari atipiche e poco numerose e, non da ultimo, per l"incremento dell"età media in cui la famiglia decide i tempi della maternità. Con la conseguenza che, molto spesso, la donna si trova impegnata nel lavoro, nel suo compito genitoriale e nell"assistenza parentale prestata alla persona non autosufficiente quando non sia possibile ricorrere alla sua istituzionalizzazione.

Se si guarda alle politiche italiane dedicate alla Long-term care è, invece, da ricordare che il nostro Paese è il solo tra le Nazioni europee a non aver anche se questa riforma è stata più volte annunciata con deleghe date dal Parlamento al Governo ma mai portate, purtroppo, a compimento. L"impresa non è riuscita nemmeno al precedente Governo dei tecnici presieduto dall"On. Mario Monti, Governo che sembrava godere di un"ampia immunità rispetto agli interessi elettorali ed a quelle "larghe intese" che sembrano oggi bloccare l"attività legislativa sotto l"incubo dei veti incrociati, dei voti palesi, della rottamazione portata avanti da qualcuno e degli interessi personali di qualcun"altro. La conseguenza è che non esiste, nel nostro Paese, un modello uniforme di tutela della popolazione anziana non autosufficiente coesistendo soluzioni variabili da Regione a Regione e da Comune a Comune con ampie e profonde disuguaglianze che si sono probabilmente acuite con la decisione assunta dall"ultimo Governo Berlusconi di eliminare, per ragioni di stabilità finanziaria, il Fondo nazionale per la non autosufficienza: differenze che sono all"origine dell"esistenza di tante Italie e che si ripercuotono sulla tenuta solidaristica del sistema creando forti ed inaccettabili disuguaglianze tra uguali.

Senza volerle qui analizzarle compiutamente è da ricordare che gli interventi a titolarità pubblica rivolti alle persone anziane non autosufficienti sono sostanzialmente tre: (a) i trasferimenti monetari di natura assistenziale (casch benefits); (b) gli interventi di assistenza domiciliare socio-sanitaria (ADI) e sociale (SAD); (c) gli interventi di residenzialità.

L"investimento pubblico che l"Italia destina a questi interventi non è certo elevato se lo si relaziona al nostro prodotto interno lordo (PIL) ed alla nostra gestione previdenziale: il numero di trasferimenti monetari in pagamento registrati, nell"anno 2011, dalla Ragioneria Generale dello Stato è stato pari a 2,67 milioni di unità per una spesa complessiva di circa 13 miliardi di Euro (in decremento dello 0,8% rispetto all"anno precedente) che rappresenta circa lo 0,8% del PIL e che si ipotizza raggiungerà, nel 2060, l"1,5% a causa dell"ulteriore atteso invecchiamento della popolazione. A questo impegno economico si deve aggiungere quella voce di spesa che comprende la componente sanitaria della residenzialità, della semi-residenzialità e della domiciliarità erogata alle persone non autosufficienti: spesa che, a sua volta, ha rappresentato, sempre nel 2010, lo 0,86% del PIL e quella inerente a prestazioni di carattere socio-assistenziale erogate a favore delle persone disabili e non autosufficienti (2,9 miliardi di Euro) per un complessivo di spesa che ha raggiunto, nello stesso anno, l"1,86% del PIL.

Questa cifra percentuale non è assolutamente esorbitante e dimostra come il nostro Paese non alloca certo somme esorbitanti a questa voce di spesa che risulta pari a quella militare secondo le stime fornite dal SIPRI (lo Stockholm International Peace Institute) avendo l"Italia speso, nel 2012, oltre 26,46 miliardi di Euro per il mantenimento della nostra macchina militare, che quasi 22 miliardi di Euro sono stati destinati alla digitalizzazione del nostro esercito e che il nostro Paese è passato dall"undicesimo al decimo posto nella lista dei Paesi con le più alte spese militari al mondo. Vero è, peraltro, che, soprattutto nel periodo 1980-1997, il nostro tasso medio di spesa sociale è progressivamente aumentato a causa soprattutto dellla gestione previdenziale, che il 61,5% di questa spesa ha riguardato i trasferimenti monetari (tale percentuale scende al 45% nel resto dell"Europa) e che l"impegno economico pubblico per questo esborso economico è il più alto non solo nell"ambito comunitario ma anche all"interno dei Paesi facenti parte dell"OCSE.

Riassumendo. In Italia il costo sociale sostenuto per l"assistenza alle persone non autosufficienti attraverso i casch benefits risulta essere maggiore rispetto a quello sostenuto per finanziare i servizi pubblici dedicati alle persone non autosufficienti, pur rappresentando un impegno di spesa modesto in relazione al PIL. Per questa ragione il nostro sistema di welfare è di tipo sostanzialmente delegante utilizzando ancora la famiglia quale fulcro per l"accudimento di queste persone con l"ulteriore conseguenza che i servizi pubblici risultano essere molto deboli anche a causa della progressiva riduzione dei fondi nazionali per le politiche sociali: nel 2007 la cifra allocata a questa voce di spesa era di 1,339 miliardi di Euro mentre, nel 2011, l"impegno di spesa è sceso a 399 milioni di Euro dopo la soppressione del Fondo per la non autosufficienza (400 milioni di Euro nel 2009 e nel 2010) avvenuta con la legge di stabilità del 2011.

 

5. Dalle parole all"azione.

C"è da chiedersi se la situazione fotografata dai dati statistici poc"anzi riportati sia compatibile con le priorità costituzionali cui abbiamo in precedenza accennato e se il legislatore, nella sua opera di regolamentazione giuridica che pur è avvenuta con il trasferimento all"INPS della responsabilità gestionale dei processi valutativi ed erogativi riguardanti la non autosufficienza, si sia o meno attenuto a quei bisogni primari garantiti da quel nucleo forte di diritti costituzionalmente garantiti e che possiamo esaustivamente comprendere in quell"idea di libertà dal bisogno promossa da Franklin Delano Roosevelt in pieno conflitto bellico.

La risposta, naturalmente, non può essere che negativa come dimostrano ulteriori dati statistici resi noti da Cittadinanza Attiva e presentati alla Camera dei Deputati il 25 giugno del 2013[9]. La denuncia ha riguardato non solo la lentezza dell"iter burocratico per la valutazione della disabilità e della non autosufficienza se si considera che i tempi medi per la convocazione a visita medica sono in media di 8 mesi richiedendo peraltro tre pareri tecnici (quello della Commissione sanitaria dell"ASL, quello dell"INPS e quella della Commissione superiore di verifica) e che i tempi di erogazione dei benefici economici sono, a loro volta, di circa un anno dalla presentazione della domanda ma anche la leggera contrazione della spesa sociale registrata nel 2011 (-0.8%) alla quale, peraltro, si oppone l"incremento dei costi gestionali sostenuti dall"INPS: per il pagamento dei medici convenzionati che sono stati appositamente assunti anche per far fronte ai Piani di verifiche straordinarie imposte nelle leggi di stabilità (spesa che è triplicata raggiungendo nel 2011 i 34, 3 milioni di Euro) sia per i ritardi del procedimento che condizionano il pagamento di interessi passivi (oltre 37 milioni di Euro). Con un risparmio che è, dunque, solo apparente perché il leggero decremento della spesa sociale serve a pagare i costi di gestione sostenuti dall"INPS che non impattano, certo, sui diritti primari della persona se non in termini di cattiva esigibilità.

La situazione complessiva è, dunque, quella di una solidarietà infranta e di uno stato sociale in grande difficoltà sul piano della tenuta complessiva e del rispetto dei diritti sociali che, per dichiarate ragioni di austerità, sono diventati veri e propri diritti condizionati.

 

6. Conclusioni.

Le profonde e rapide trasformazioni epocali cui stiamo assistendo, la contrazione delle risorse pubbliche e le politiche di spending review in atto in tutti gli Stati europei per correggere l"indebitamento pubblico sono fattori che non possono non essere considerati per dar corso a quella riforma strutturale del nostro sistema di welfare più volte annunciata ma mai purtroppo portata a compimento. Riforma a cui, evidentemente, si deve mettere mano con il coraggio delle azioni senza rinunciare a quell"idea di solidarietà che è e deve restare il filo conduttore di tutti gli interventi finalizzati alle politiche sociali. Non dimenticando che la solidarietà è un termine impegnativo non solo perché evoca il legame sociale tra le persone e le generazioni future ma anche perché essa si propone come un luogo in cui confluiscono, oltre alla tradizione cristiana, culture diverse accomunate dall"idea di uno schema dialettico che richiede il mutuo riconoscimento tra simili ed il sostegno che non può essere negato alle persone più deboli: a patto che si voglia, naturalmente, perseguire quell"idea di cittadinanza attiva che chiama ciascuno di noi a vivere autenticamente la propria responsabilità in vista di un mondo più buono e più giusto che dobbiamo lasciare in eredità ai nostri figli ed alle generazioni future.

Nella rinnovata prospettiva della solidarietà io credo si debba andare con la forza delle idee e con il coraggio delle azioni, consapevoli che il dare di più a chi ne ha bisogno è un insegnamento valido per tutte le stagioni anche se ciò, per qualcuno di noi, significherà un cambio di prospettiva ed un arretramento rispetto ai privilegi dell"oggi. Certo, l"attuale fase di turbolenza che avviluppa le nostre biografie personali non è una buona premessa ma se si guarda, come si usa dire, alla parte del bicchiere colma e non a quella vuota, essa può essere una straordinaria occasione di revisione strutturale delle politiche italiane per la tutela della non autosufficienza e per dar sostegno alle persone più deboli: tutela che non può continuare ad essere un campo da arare con i soli tagli trasversali della spesa pubblica, sapendo guardare all"Europa ed alle buone esperienze che pur esistono e, soprattutto, sapendo uscire da quel pericolosissimo cono d"ombra che ha trasformato i diritti inviolabili in diritti condizionati da ragioni di bilancio.

Se si vuole andare davvero in questa direzione servono scelte precise ed interventi strutturali.

Occorre, in primo luogo, allocare a questo settore della spesa pubblica un maggior finanziamento pubblico non già inasprendo la pressione fiscale che ha oramai raggiunto, nel nostro Paese, livelli insopportabili ma riallocando le risorse, recuperandole coraggiosamente da altri settori di spesa pubblica: contenendo al minimo la spesa per le grandi opere e per quella militare ad esempio che ha un costo effettivo di 70 milioni di Euro al giorno, azzerando la nostra partecipazione a missioni internazionali che hanno poco di umanitario ed i programmi militari per i quali l"attuale Governo ha destinato quasi 1 miliardo di Euro.

Occorre, in secondo luogo, correggere il modello tradizionale di welfare fondato su una anacronistica differenziazione etiologica della disabilità e sul trasferimento monetario condizionante la drammatica debolezza dei servizi pubblici dedicati al sostegno della domiciliarità e la delega alla famiglia dell"accudimento della persona non autosufficiente: i servizi vanno, quindi, rafforzati con l"inserimento di forze lavoro dotate di precise competenze professionali non solo perché l"indennità di accompagnamento è un casch non sempre usato per la remunerazione delle badanti impiegate in un"economia sommersa se non addirittura illecita ma anche perché la famiglia richiede di essere sostenuta e guidata quando oggi essa è lasciata da sola a trovare una soluzione al problema. Investendo, dunque, sulla rete dei servizi sanitari e di quelli sociali dedicati alla domiciliarità oltre che sul privato-sociale e sul volontariato anche se questo potrà prevedere la partecipazione alla spesa della persona; spesa che può essere sempre modulata in relazione alla sua situazione patrimoniale se si vuole davvero invertire quella rotta di tendenza istituzionalizzante che è, oggi, una caratteristica del welfare non solo italiano.

Ed occorre, ancora, semplificare i livelli di accesso alle prestazioni economiche ed assistenziali e rivedere i criteri per il loro accesso. La semplificazione non potrà non riconsiderare il ruolo delle strutture del Servizio sanitario nazionale che, a parte qualche realtà locale, sono state messe in discussione sul piano della loro credibilità pubblica da funzionari agguerriti motivati dall"idea che il nostro sistema di welfare è un parco giochi da utilizzare per i soli tagli; anche per dare una risposta concreta a quelle lungaggini burocratiche poc"anzi accennate che si riflettono, negativamente, sull"esigibilità dei diritti azionati dal singolo cittadino. Dando fiducia ai medici ed agli operatori sociali che sono stati considerati parte attiva di quel clientelismo che continua ad essere un temibilissimo malcostume del popolo italiano affidando loro precise responsabilità anche sul piano degli outcomes di salute prodotti.

La revisione dei criteri di accesso alle prestazioni monetarie è un"ulteriore esigenza che la riforma strutturale del nostro sistema di welfare non potrà non considerare. L"accesso dovrà essere, in particolare, garantito tenuto conto non solo delle condizioni economiche della persona non autosufficiente e della sua famiglia ma anche del carico assistenziale richiesto vincolandole, comunque, all"acquisto di beni e di servizi a ciò opportunamente dedicati. Non erogandole, dunque, al solo titolo della menomazione come accade oggi per quei ciechi e sordomuti perfettamente integrati nella vita sociale e lavorativa ma scaglionandola su progressivi livelli di gravità come avviene, per esempio, in Francia dove si è scelto di privilegiare i bisogni più elevati.

Ed occorre, infine, motivare e responsabilizzare tutti i professionisti coinvolti nella rete assistenziale creando forti sinergie tra il mondo sanitario e quello sociale che poco ancora parlano un linguaggio comune, sviluppando la loro capacità sul buon utilizzo delle risorse e sulla valutazione degli outcomes di salute attenuti attraverso gli interventi pianificati e realizzati; anche perché un servizio pubblico auto-referenziato risulta sempre debole.

Sono sicuro che in questa direzione si vorrà andare indirizzando le scelte politiche e modulando i nostri comportamenti professionali rendendoli coerenti con le priorità costituzionali, in termini di giustizia e non più di carità sociale e dismettendo, una volta per tutte, quelle becere logiche assistenzialistiche che si esauriscono nella concessione di una pensione di invalidità, di un assegno o di un voucher, magari concessa con la sublimazione dell"interessamento politico. Interpretando, dunque, la solidarietà in prospettiva reale, autentica, costituzionalmente guidata e con una chiave di lettura che ci invita ad essere uomini e donne impegnati in una straordinaria missione umana: missione che ci invita, costantemente, a non ridurre i bisogni umani ad una merce, a considerare la relazionalità, la non autosufficienza e la finitezza come caratteristiche proprie dell"essere umano ed a ritenere che la liberazione di ogni cittadino dal bisogno richiede una nostra forte assunzione di responsabilità anche per limitare l"arbitro delle scelte politiche quando queste scelte limitino o condizionino negativamente i diritti sociali delle persone più deboli.



[1] Cfr., V. Jankèlèvitch, Il non-so-che e il quasi-niente, 2011, Torino, pp. 222 e 223: «In un mondo sospettoso e atassico, la ricompensa fa corrispondere espressamente e laboriosamente un"intenzione misconosciuta a un sistema di impietose forze fisiche in cui contano solo la riuscita brutale e il bluff. […]; la superficialità ci svia dall"essenza per indirizzarci all"apparenza, la lentezza in genere ci fa ritardare. Così prosperiamo in una temporalità zoppa che ci siamo fabbricati da soli e che diviene sempre più caricaturale; e non essendo la parola "prosperità" molto adatta, converrà piuttosto dire che l"uomo imputridisce nell"ingiustizia paludosa e nello scandalo».

 [2] Cfr., M. V. Llosa, La civiltà dello spettacolo, 2013, Torino, p. 108.

 [3] Cfr., S. Rodotà, Perché laico, Bari, 2009, pp. 12 e 13: «Si aveva, profondo, il senso di un rapporto tra religione e sfera pubblica che non doveva convertirsi nella pretesa di affermare primati o esclusività, di sovrapporre un ordine di valori diversi da quello che si affidava ad una libera dichiarazione dei diritti». Sui (difficili) rapporti tra la politica e la religione (o tra lo Stato e la Chiesa romana) si veda, anche, G. Zagrebelsky, Contro l"etica della verità, Bari, 2009, p. 18: «Il rapporto tra politica e religione, Stato e Chiesa, precede e si sviluppa con confusioni, equivoci, e inganni se, prima di imboccare l"una o l"altra via, non ci soffermiamo quanto occorre sul limite, per chiarire con che cosa ci possiamo trovare a che fare. La prima strada si sviluppa sotto il segno della Chiesa come istituzione sovrana che guarda allo Stato come altra istituzione sovrana e ai suoi organi; la seconda, sotto il segno della Chiesa come comunità di credenti che guarda alla società di cittadini, credenti o non credenti. Questa decisione, oggetto di controversia pratica per lo più sotterranea ma molto accesa, anche nella comunità ecclesiale, è capitale non solo per le prospettive di quest"ultima, ma anche nella prospettiva dello Stato, cioè nella prospettiva costituzionale». E, più avanti, a p. 100: «Non dalla carità, ma dalla dottrina della verità l"etica cristiana predicata dal magistero è così venuta a dipendere. Nella nuova "alleanza" di fede e ragione, l"etica della carità resta soverchiata e l"etica della verità si trasforma in precettistica, in codici di condotta non molto diversi da quelli giuridici. […]. In questo, può scorgersi l"oblio dello spirito originario evangelico […]. Per esempio, in tema di concepimento della vita, maternità, cure terapeutiche, eutanasia, questioni di bioetica in generale, il magistero della Chiesa parla più di vita che di viventi; in tema di sessualità, più di Ordine naturale che di persone sessualmente caratterizzate; in tema di unione tra esseri umani, più di Famiglia che non di soggetti che hanno tra loro relazioni di vita concreta. […] attraverso la difesa dell"astratto [… ] la Chiesa protegge l"esistenza di milioni di singole persone».

 [4] Su questa contrapposizione rinvio ai preziosissimi contributi di G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Milano, 2005 e, dello stesso Autore, Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità, Milano, 2008.

 [5] Cfr., A. Pugiotto, Le parole sono pietre?, in Diritto Penale contemporaneo, 2003, disponibile sul web.

 [6] Cfr., L. Carlassare, Priorità costituzionali e controllo sulla destinazione delle risorse, in Costituzionalismo, 2003, disponibile sul web all"indirizzo Costituzionalismo.it.: «La Costituzione non è cambiata. Le difficoltà economiche non ne cancellano norme, principi, valori. Restando questi immutati, la crisi può produrre un unico effetto importante: rendere più gravoso e rigoroso l"obbligo di un oculato impiego delle risorse e l"obbligo di destinarle soprattutto ai bisogni primari, alla realizzazione delle priorità costituzionali, lasciando ad altri obiettivi ciò che eventualmente rimane».

 [7] Cfr., F. Cembrani, Come professionisti della salute assumiamoci, finalmente, la "responsabilità" nei fatti e non solo a parole … in L"Arco di Giano, …, 2013, p. …

[8] Corte Costituzionale, sentenza n. 80 del 26 febbraio 2000 che ha dichiarato l"incostituzionalità della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nella parte in cui veniva fissato un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno.

[9] Cfr., I Rapporto sull"invalidità civile e la burocrazia, Cittadinanza attiva, Roma, 2013.

 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film