-  Crovetto Monica  -  29/09/2014

SENZA STRATEGIA PERSECUTORIA NIENTE MOBBING - Monica CROVETTO

Nella recente pronuncia del 19 settembre (la n. 19782), la Cassazione torna ad occuparsi del mobbing lavorativo. Innanzitutto, la Corte richiama la definizione di mobbing elaborata dalla Corte Costituzione (sentenza n. 359 del 2003): esso "designa un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima da gruppo". Conseguentemente, affinchè possa configurarsi tale fenomeno, devono ricorrere i seguenti elementi: "a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalitò o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) il suindicato elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (vedi: Cass. 21 maggio 2011 n. 12048; Cass. 26 marzo 2010 n. 7382)". La Corte ha condiviso le conclusioni dei Giudici di secondo grado che, in ragione delle prove, avevano ritenuto non configurabile nel caso di specie alcuna strategia persecutoria attivata nei confronti del lavoratore, "difettando l'esistenza degli elementi strutturali sia sotto il profilo oggettivo, costituito dalla frequenza e ripetitività nel tempo dei comportamenti del datore ... sia sotto il profilo soggettivo, rappresentato dalla coscienza ed intenzione del primo di causare danni". Per la Corte, dunque, affinchè possa parlarsi di mobbing occorrono molteplici atti persecutori, sorretti tutti dall'intenzione di nuocere al lavoratore, alla sua salute e alla sua dignità.




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