-  Mazzon Riccardo  -  13/09/2012

RESPONSABILITA' DEL PRODUTTORE: IL CASO DEI PRODOTTI COSMETICI CHE PROVOCANO ALLERGIE - Riccardo MAZZON

Il produttore risponde, è detto comunemente, per responsabilità oggettiva, in caso di danno derivante da difetto di fabbricazione: più precisamente, il legislatore prevede che egli possa liberarsi dal risarcire il danno (da prodotto difettoso) solo se dimostri di non aver messo in circolazione il prodotto medesimo oppure se provi che al momento dell"immissione in circolazione il prodotto non era difettoso o non si poteva considerare tale alla luce delle conoscenze tecniche e scientifiche.

L"articolato disposto ha fatto dubitare circa la natura di tale responsabilità,

"in tema di responsabilità da prodotti difettosi il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224, recependo nell'ordinamento nazionale la disciplina di matrice comunitaria (direttiva Cee 25 luglio 1985 n. 374), ha introdotto in Italia una forma di responsabilità extracontrattuale - di cui è ad oggi dibattuta la riconducibilità nell'ambito della responsabilità oggettiva o della colpa presunta - che prescinde dalla esistenza di un rapporto negoziale tra produttore e consumatore, e che trova la sua "ratio" nella fallibilità dei moderni sistemi di produzione di massa. Il legislatore nazionale, dando attuazione alla citata direttiva comunitaria, ha anche inteso superare i rigorosi limiti che la tutela del consumatore incontrava in precedenza nella materia "de qua", ancorata com'era tale tutela ai presupposti e ai limiti temporali della garanzia per vizi nella vendita, oppure agli oneri probatori imposti dalle regole in tema di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c." (Trib. Trapani 23 settembre 2005, Redazione Giuffre', 2005: cfr., amplius, da ultimo, "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012);

ma il tenore del dettato legislativo, secondo il quale, qualora il produttore abbia effettivamente messo in circolazione il prodotto medesimo e quest"ultimo, al momento dell"immissione in circolazione, fosse difettoso (o si potesse considerare tale alla luce delle conoscenze tecniche e scientifiche), legittima la tesi favorevole a considerare tale fattispecie come disciplinante un caso di responsabilità oggettiva:

"fermo restando che se la causa dell"incidente è ignota il produttore risponde (salvo quanto previsto in tema di esclusione), nel silenzio della legge può dubitarsi se il caso fortuito esima dall"obbligo risarcitorio o non rientri invece nel rischio che il produttore assume, come appare più logico atteso che i limiti alla responsabilità del danno non possono che derivare da una espressa previsione di legge, che, nel caso di specie, manca con riguardo al fortuito" (Gazzoni 2003, 709).

Certamente da segnalare, a mo' d'esempio, l'interessante pronuncia della Cassazione civile, sezione III, n. 6007 del 15 marzo 2007.

La sentenza origina da fattispecie in cui l'attrice, avendo riportato lesioni a seguito di reazione allergica a tintura per capelli - alla stessa applicata, in data 28 giugno 1989, nella parruccheria di fiducia -, chiedeva la condanna della società produttrice di tale tintura, nonché della titolare della paruccheria, al risarcimento dei danni, addebitando al predetto produttore di avere posto in commercio la tintura composta con elementi tossici - e comunque pericolosi per la salute - ed al titolare del negozio di avere applicato la tintura senza le prescritte cautele:

"disattendendo le difese della società Wella e di Jo Mascali, che avevano negato i presupposti della domanda della S., il tribunale di Ancona, con sentenza in data 6 luglio 1999, ha accolto la domanda condannando entrambi i convenuti, in solido, al pagamento della somma di L. dieci milioni.Pronunciando sull'appello della società Wella, la Corte di appello di Ancona ha parzialmente riformato la predetta sentenza rigettando la domanda proposta alla S. nei confronti della predetta società appellante. Dopo avere precisato che il rapporto di causalità tra l'utilizzazione del prodotto sulla persona della S. e le lesioni da questa subite deve considerarsi, in mancanza di gravame sul punto, definitivamente accertato dal giudice di primo grado, la Corte territoriale ha evidenziato che la responsabilità del produttore, ai sensi della L. n. 224 del 1988, espressamente invocata dalla S., presuppone la prova del difetto del prodotto, che a sua volta ricorre, per espressa disposizione della citata L. n. 224, oltre che della direttiva CEE n. 374 del 1985, solo nei casi in cui il prodotto non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni, le avvertenze fornite, l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato ed i comportamenti che in relazione ad esso si possono ragionevolmente prevedere. Tale prova, che, chiarisce la Corte territoriale, è onere dell'attore fornire, deve considerarsi mancata nè può comunque presumersi dato che la tintura risulta applicata da decenni senza effetti pregiudizievoli per la salute del consumatore e che neppure vi è allegazione e prova della violazione delle specifiche norme sulla produzione dei cosmetici dettate dalla L. n. 713 del 1986. La sentenza è stata impugnata con ricorso per Cassazione dalla S.. La società Wella resiste con controricorso. La ditta Jo Mascali non ha spiegato attività difensiva. Sono state depositate memorie nell'interesse della ricorrente e della controricorrente" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. farmaceutico 2007, 5, 1209

Il primo motivo di ricorso, prodromico alla pronuncia in esame, denunciava la violazione e la falsa applicazione della disciplina sulla sicurezza dei prodotti, ex D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 e L. 11 ottobre 1986, n. 713, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la questione medesima.

In particolare, la ricorrente sosteneva che la Corte territoriale avesse errato, nell'escludere la responsabilità della società produttrice, nonostante l'accertata prova del nesso di causalità tra l'utilizzazione del prodotto e la reazione allergica dalla quale la ricorrente medesima aveva riportato lesioni.

Chiariva, in particolare, il motivo in esame, come la prova del nesso di causalità, secondo le disposizioni della legge n. 224 del 1988, implicasse di per sé responsabilità del produttore, qualora questi non fosse riuscito a provare alcuna delle circostanze esimenti indicate dall'articolo 6, legge medesima: prova che, nel caso in esame non era stata affatto offerta e, tanto meno, fornita.

L'errore, esplicitava la ricorrente, era pertanto dipeso dalla violazione delle norme che governano l'onere della prova, dato che la Corte territoriale aveva ritenuto che fosse onere dell'attrice provare non solo il nesso di causalità tra l'impiego del prodotto ed il danno, ma anche il vizio del prodotto - in altri termini: che lo stesso non presentava garanzie di sicurezza -, quando doveva invece ritenersi che, accertato l'evento dannoso, fosse onere del produttore dimostrare che il proprio prodotto era conforme alle norme di legge ed offriva quindi adeguate garanzie di sicurezza; in ogni caso, rilevava sempre la ricorrente, la Corte territoriale aveva creduto di poter vincere la presunzione di pericolosità del prodotto - che logicamente avrebbe dovuto e potuto trarre dal fatto che un danno si era in concreto verificato, a seguito e per effetto della utilizzazione della tintura -, servendosi, senza motivazione di sorta e con un iter logico irrazionale (donde il vizio di omessa e contraddittoria motivazione), di elementi di debole rilevanza, quali:

  • la circostanza che il rischio di allergie fosse stato indicato nelle istruzioni d'uso;
  • l'assoluta assenza di analoghi eventi, nel corso del ventennio, in cui il prodotto sarebbe stato utilizzato in tutto il mondo (ritenuta, quest'osservazione, mera illazione tratta da fatti del tutto privi di ogni prova);
  • la circostanza che i componenti chimici del prodotto erano presenti nei limiti delle percentuali ammesse dalla legge (e ciò nonostante la indicazione di opposto tenore che avrebbe dovuto trarsi dal comportamento processuale della parte, che si era rifiutata di indicare la percentuale di resorcina, diamminotolueni, alfa naftolo e ammoniaca che componevano la tintura - nonostante fossero componenti rispettivamente idonee a provocare dermatiti, allergie, orticaria -).

Concludeva, pertanto, il primo motivo di ricorso proposto dalla ricorrente che

"peraltro, indipendentemente dalla prova desumibile dalla concreta esistenza del danno e dall'accertamento del nesso di causalità con l'utilizzazione del prodotto, il difetto del prodotto avrebbe dovuto farsi automaticamente derivare dalla violazione della disposizione della L. 11 ottobre 1986, n. 713, art. 7 (di attuazione delle direttive CEE sulla produzione e la vendita dei cosmetici) che espressamente dispone che i prodotti cosmetici debbono essere fabbricati, manipolati, confezionati e venduti in modo tale da non causare danni per la salute nelle normali condizioni di impiego" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. farmaceutico 2007, 5, 1209

La Suprema Corte, tuttavia, riteneva il motivo infondato, chiarendo come l'errore - caratterizzante la prima delle due censure che lo componevano - fosse proprio quello di ritenere che la responsabilità del produttore, introdotta dalla disposizione del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, art. 1, al fine di uniformare la legislazione nazionale alla direttiva Comunitaria del 25 luglio 1985, n. 374, presupponesse solo la prova del nesso di causalità tra la detenzione del prodotto o la sua utilizzazione e l'evento e che, accertato il predetto nesso, fosse, quindi, a carico del produttore che pretendesse di sottrarsi alla predetta responsabilità, l'onere di dedurre e provare che il prodotto non fosse difettoso o che ricorressero le altre cause di esclusione della responsabilità, analiticamente indicate dall'art. 6 della medesima legge:

"è, invece, del tutto evidente dalla formulazione letterale della norma, che l'art. 1 della legge lega la speciale responsabilità del produttore dalla stessa introdotta al nesso di causalità tra il danno ed il difetto del prodotto al quale (difetto) viene così attribuito il carattere di un prerequisito della responsabilità e la funzione delimitativa dell'ambito di applicazione di tale responsabilità che, proprio perchè tale, piuttosto che causa di esonero della responsabilità, spetta al danneggiato provare secondo il principio generale sull'onere della prova stabilito dall'art. 2697 c.c. e la regola, quindi, che pone a carico di colui che intende fare valere un diritto l'onere di provare gli elementi costitutivi di tale diritto" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. farmaceutico 2007, 5, 1209

Non molto diversa, sempre secondo il Suprema Consesso, la conclusione alla quale si deve approdare nei casi in cui, come quello in esame, il danno (alla salute) sia stato prodotto dalla applicazione di un cosmetico, quale è la tintura per capelli ai sensi della L. 11 ottobre 1986, n. 713, art. 1 e del relativo allegato 1.

E' vero, infatti, che la L. 11 ottobre 1986, n. 713, art. 7 impone che i prodotti cosmetici siano fabbricati, manipolati, confezionati e venduti in modo tale da non causare danni per la salute, nelle normali condizioni di impiego, ma tale norma, sia essa letta con riferimento al contesto normativo della legge di cui fa parte, sia essa letta in coordinamento con quelle della sopra citata L. n. 224, non conduce alla conclusione che, per i prodotti cosmetici, il livello di sicurezza prescritto - ed al di sotto del quale il prodotto deve, perciò, considerarsi difettoso -, sia quello della sua più rigorosa innocuità e che per i predetti prodotti, la responsabilità del produttore assuma, quindi, i caratteri propri di una responsabilità oggettiva assoluta - in quanto esclusivamente legata alla prova del nesso di causalità tra l'utilizzazione del prodotto ed il danno alla salute che ne è seguito -:

"la rigidità della enunciazione iniziale contenuta nella predetta disposizione è, infatti, espressamente attenuata dal riferimento alle normali condizioni di impiego che delimita l'ambito del dovere di cautela del produttore escludendo la garanzia di sicurezza in presenza di anormali condizioni di impiego le quali possono logicamente dipendere non solo dall'abuso o dall'uso non consentito, come potrebbe ritenersi ad una più sommaria lettura, ma anche da circostanze anomale che, ancorchè non imputabili al consumatore, rendano il prodotto, altrimenti innocuo, veicolo di danno (alla salute), tra queste circostanze possono e debbono ricomprendersi le particolari proibitive condizioni di salute in cui versi il consumatore, anche solo temporaneamente, nel momento in cui utilizza il prodotto ed, in particolare, l'anomala reattività immunitaria del suo organismo verso sostanze estranee normalmente innocue, che appunto rende il prodotto, o alcuno dei suoi componenti, un imprevisto allergene per il consumatore" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. Farmaceutico 2007, 5, 1209.

Neppure la seconda censura, contenuta nel primo motivo di ricorso, è ritenuta dalla Corte fondata, in quanto erronea nel ritenere che la prova del nesso di causalità, tra il danno e l'utilizzazione o la detenzione del prodotto da parte del consumatore danneggiato, sia inequivoco elemento di prova indiretta del difetto del prodotto, secondo una sequenza deduttiva che, considerando difettoso ogni prodotto che di per sé presenti una qualsiasi attitudine a produrre un danno, trae la certezza di questa attitudine dalla circostanza che un danno è in concreto derivato dalla utilizzazione o dalla detenzione del prodotto (solo in questa prospettiva è, infatti, logicamente possibile riconoscere che il danno è necessariamente rivelatore della insicurezza del prodotto o, più precisamente, della carenza del requisito della sicurezza assoluta, che, di per sé, escluderebbe la astratta possibilità del danno che si è, invece, verificato).

Senonché, chiarisce la Suprema Corte, l'art. 5 della legge definisce difettoso - non ogni prodotto insicuro ma - quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all'uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, ed ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

Il difetto del prodotto non si identifica, dunque, con la mancanza di una assoluta certezza o di una oggettiva condizione di innocuità dello stesso, ma con la mancanza dei requisiti di sicurezza, generalmente richiesti dall'utenza, in relazione alle circostanze specificamente indicate dall'art. 5 o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali, ovviamente, possono e debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia.

Quanto ai cosmetici in particolare, la norma deve essere coordinata, ovviamente, con le disposizioni della L. 1 ottobre 1986, n. 713 sopra citata (non anche, nel caso in esame, con le successive direttive CEE sulla sicurezza dei prodotti - n. 59 del 29 giugno 1992 e n. 95 del 3 dicembre 2001 - o i decreti legislativi che ad esse hanno dato attuazione - rispettivamente D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 115 e D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 172 - siccome successivi all'evento subito dall'attrice):

"ma anche per questa categoria di prodotti la conclusione non è radicalmente capovolta dalla disposizione dell'art. 7 che vieta la fabbricazione e vendita di prodotti insicuri per la salute se è vero che, per espressa disposizione normativa, la garanzia di sicurezza attiene, come si è detto, alle normali condizioni di impiego. Dalla predetta disposizione, e dalla lettura coordinata con la disposizione dell'art. 5 della legge sulla responsabilità del produttore, deriva, infatti, che il requisito di sicurezza che, per i cosmetici, il produttore è tenuto a garantire, ed in mancanza del quale il prodotto deve ritenersi difettoso, si pone solo in relazione alle "normali condizioni di impiego" del prodotto medesimo (nel medesimo senso, è appena il caso di evidenziare, dispongono le norme successive sulla sicurezza generale dei prodotti sopra richiamate). Il danno non prova indirettamente, di per se, la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per se insufficiente per istituire la responsabilità del produttore se non sia anche in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. farmaceutico 2007, 5, 1209.

Tornando alla fattispecie concreta in esame, il giudice di legittimità nota come il giudice di merito, accertato che la tintura era astrattamente idonea a provocare reazioni allergiche - dato che tale effetto si era in concreto prodotto sulla persona dell'attrice e che il prodotto, quindi, non presentava una garanzia di sicurezza assoluta -, abbia, appunto, negato la prova che quella insicurezza dipendesse dal superamento degli standard esigibili, anche alla luce della specifica disciplina della L. n. 713, evidenziando come le possibilità di reazioni allergiche - notoriamente dipendenti solo o prevalentemente dalle condizioni individuali del soggetto che entra in contatto con la sostanza, di per se normalmente innocua -, fossero specificamente indicate nelle istruzioni per l'uso del prodotto.

In effetti, risultava agli atti come, nelle predette istruzioni, fosse anche espressamente prescritta la necessità che l'applicazione del prodotto fosse preceduta da un controllo di tollerabilità, mediante applicazione di modesto quantitativo sulla cute del cliente; risultava, inoltre, come queste istruzioni dovessero considerarsi sufficienti dato che il prodotto era destinato "ad uso professionale" e, perciò, "distribuito solo attraverso una rete di professionisti notoriamente qualificati" (i gestori, in altri termini, delle parruccherie); ulteriormente, non vi era prova alcuna della violazione di specifiche norme di sicurezza e delle norme, in particolare, della L. 11 ottobre 1986, n. 713 sulla produzione e vendita dei cosmetici, dato che tutti componenti della tintura erano ammessi (sia pure con limitazioni quantitative):

"la Corte territoriale non ha, così, negato che la prova del danno e della relazione causale con l'utilizzazione del prodotto potesse essere indizio inequivoco della presenza di una qualche attitudine del prodotto a provocare, in certi soggetti predisposti, delle reazioni allergiche e di un certo grado, quindi, di insicurezza del prodotto medesimo, ove applicato nei confronti di soggetti con reattività immunitaria ai componenti della tintura, ma ha negato che il predetto rapporto di causalità potesse anche provare che quel livello di insicurezza fosse tale da rendere il prodotto difettoso ai sensi e per gli effetti della L. n. 224 del 1988; non, dunque, un argomento che irrazionalmente nega una illazione logicamente obbligata ma un argomento che, pur secondando il procedimento deduttivo che conduce alla prova della non assoluta sicurezza del prodotto, evidenzia come la prova offerta da questa illazione non sia ancora sufficiente per giustificare la responsabilità del produttore" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. Farmaceutico 2007, 5, 1209.

Relativamente alle altre censure del motivo in esame, anch'esse sono disattese dalla Suprema Corte; esse infatti, a detta del giudice di legittimità,

"investono confusamente l'apprezzamento del giudice di merito sulle prove di alcune circostanze di fatto considerate dal giudice di merito nella valutazione del carattere difettoso del prodotto e sulla rilevanza di queste circostanze ai fini del giudizio sulla responsabilità della società produttrice del prodotto cosmetico. Ma alcune di queste censure si pongono in una errata prospettiva, altre muovono da una errata lettura della motivazione della sentenza impugnata, altre si basano su presupposti di fatto non accertati in sede di merito. L'errore di prospettiva caratterizza, infatti, la censura relativa alla importanza assegnata, nella sentenza impugnata, al contenuto delle istruzioni d'uso del prodotto dato che la Corte di merito non considera affatto l'indicazione, nelle istruzioni d'uso, della possibilità di reazioni allergiche una causa di esonero della responsabilità ma elemento di valutazione del difetto del prodotto, secondo le prescrizioni della L. n. 224 del 1988, art. 5 che appunto annovera la "presentazione" del prodotto tra gli elementi di valutazione del livello di sicurezza offerto dal prodotto, in relazione alle aspettative legittime del consumatore (medio)" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. farmaceutico 2007, 5, 1209.

Dalla errata lettura della sentenza muove anche, sempre a detta del Supremo Consesso, la censura che addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto del tutto pacifico che il prodotto è usato da molti anni in tutto il mondo senza provocare danno ai consumatori,

"atteso che nella sentenza impugnata la predetta conclusione è tratta non solo dal silenzio serbato, in proposito, dalla S. a fronte delle affermazioni contenute nella ordinanza del tribunale di nomina del consulente tecnico di ufficio (ove, appunto, si evidenzia come il prodotto debba ritenersi in commercio da oltre dieci anni data la esistenza di una antica controversia promossa dalla società Wella per inibire ad altra società commerciale l'uso di un prodotto analogo con denominazione atta ad ingenerare confusione e come non vi sia traccia alcuna, in questo lungo periodo di presenza del prodotto sul mercato, di conseguenze nocive per la salute di quanti lo abbiano utilizzato) ma anche e soprattutto dal ragionamento logico che sostiene le predette conclusioni e che la S. non ha sotto alcun profilo criticato"  Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. farmaceutico 2007, 5, 1209.

La conclusione predetta assume, per altro, marginale rilevanza nella economia complessiva della motivazione che, come si è detto, fa leva, principalmente, sul principio che pone sull'attrice l'onere di prova del difetto del prodotto e sulla mancanza di una sufficiente prova al riguardo.

Quanto alla censura che fa leva sulla presenza, nella composizione del prodotto, di alcune sostanze chimiche dannose per la salute, essa muove dall'affermazione di un fatto che non risulta accertato dal giudice di merito; nella sentenza impugnata si chiarisce, infatti:

  • che nel parere del consulente tecnico di ufficio la presenza di sostanze proibite è stata puntualmente esclusa,
  • che la presenza di sostanze potenzialmente nocive in percentuale eccedenti i limiti autorizzati dalla legge è stata solo genericamente dedotta,
  • che non vi è riferimento di sorta nelle difese dell'attrice alla presenza di ulteriori sostanze che, ancorché non vietate specificamente dalla L. n. 713, possano considerarsi nocive.

Un tanto, di per sé, esclude la possibilità di addebitare alla Corte di merito il vizio di motivazione dedotto con la censura in esame.

Peraltro, nota ancora la Suprema Corte, nonostante l'assenza, nell'epigrafe, di ogni riferimento ai principi dell'art. 116 c.p.c., la censura predetta si risolve nell'addebito di non avere valorizzato il rifiuto, da parte della società produttrice, di fornire indicazioni sulle percentuali dei componenti della tintura e di non avere, perciò tratto da questo rifiuto la prova della illegalità delle percentuali presenti:

"essa si rivela, così, inammissibile non solo perchè non indica (come l'esigenza di autosufficienza dei motivi di ricorso impone) se quel rifiuto sia da porsi in relazione ad una richiesta di informazioni del giudice o del suo perito o solo ad una sollecitazione di parte ma soprattutto perchè, come questa Corte ha ripetuta-mente chiarito, l'art. 116 cod. proc. civ. conferisce al giudice di merito solo un potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti per cui il mancato uso di tale potere non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, allorchè il giudice abbia deciso di non utilizzare tale argomento sussidiario, avendo già acquisito i necessari elementi di prova in base alle risultanze dell'istruttoria (sent. n. 18128 del 10/08/2006 (Rv. 592679). Se, poi, specificando, attraverso l'elencazione delle sostanze, il contenuto della allegazione genericamente prospettata dinnanzi al giudice di merito, la censura volesse addebitare alla Corte territoriale l'omesso accertamento specifico delle percentuali delle predette sostanze chimiche, che asserisce presenti nella tintura, in funzione della possibilità che alcuna di queste percentuali eccedesse i limiti consentiti, essa si rivelerebbe egualmente inammissibile siccome sostanzialmente diretta a criticare l'apprezzamento del giudice di merito sulla opportunità di avvalersi, di ufficio, dell'ausilio del consulente tecnico per un accertamento che neppure la parte gli avrebbe sollecitato e che, per di più, avrebbe avuto carattere meramente esplorativo" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. Farmaceutico 2007, 5, 1209.

Quanto al secondo motivo, proposto dalla ricorrente a supporto della propria tesi – con il quale si denuncia "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la riforma della condanna alle spese del giudizio di primo grado a favore della ditta produttrice -, in esso, si afferma che la Corte territoriale ha errato nel porre interamente a carico dell'attrice le spese dei due gradi di giudizio, sulla base di una asserita soccombenza della predetta parte, senza accorgersi che, invece, la soccombenza avrebbe dovuto considerarsi solo parziale, dato che la società produttrice aveva senza successo contestato il rapporto di causalità tra l'utilizzazione del suo prodotto ed il danno:

"anche questo motivo è manifestamente infondato dato che il rigetto di una domanda per l'accertata carenza di una delle necessarie condizioni dell'azione implica comunque soccombenza della parte attrice indipendentemente dalla astratta fondatezza delle altre condizioni e che, conseguentemente, il rigetto della domanda proposta dalla S. contro la società Wella per l'assenza di prova del difetto del prodotto, che, come si è detto, deve considerarsi condizione dell'azione risarcitoria contro il produttore prevista dalla L. n. 224 del 1988, determina, comunque, la soccombenza della predetta parte indipendentemente dalla fondatezza, o meno, della altre condizioni della domanda. Con il terzo motivo si denuncia la "violazione e falsa applicazione egli artt. 323 e ss. c.p.c., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la riduzione del quantum della condanna". La Corte territoriale ha arbitrariamente ridotto, nel quantum, la condanna della ditta Jo Mascali, riliquidando il danno in L. 4.000.000, nonostante fosse del tutto mancato un appello sul punto della predetta ditta, che si era solo limitata, come espressamente chiarito dal giudice di merito, a sollecitare una riduzione dell'ammontare complessivo del danno. Il motivo trae alimento da un evidente errore della ricorrente perchè non tiene conto che l'adesione, da parte della ditta Jo Mascali, al motivo della Wella sul quantum del danno ha dato luogo ad un appello incidentale adesivo (sent. 3295/93; sent. 5601/90) legittimamente proposto con comparsa di risposta ai sensi dell'art. 343 c.p.c. senza necessità di notificazione alle parti costituite (sent. 4747 del 2000). Esso deve ritenersi pertanto infondato, al pari dei precedenti motivi. La rilevata infondatezza dei motivi che lo sostengono conduce al rigetto del ricorso. Le particolarità della vicenda che ha dato luogo alla controversia e le ragioni del rigetto del ricorso giustificano la compensazione delle spese del giudizio in cassazione tra la ricorrente e la controricorrente. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio in cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte, il 13 febbraio 2007. Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2007" Cassazione civile, sez. III, 15/03/2007, n. 6007 Soc. Wella it. Labacos c. Soc. J.M. Rass. dir. Farmaceutico 2007, 5, 1209.

 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film