-  Miceli Carmelo  -  16/12/2013

PROCEDURE CONCORSUALI E IL PROGRESSO NELL EDIFICIO CHE CADE- Tar Lazio, n. 10473/2013- Carmelo MICELI

 

Il decisum del Tar capitolino, attenzionato in questa sede e afferente alla tematica delle procedure concorsuali (sia pure per i limitati profili di cui infra), si inscrive, involontariamente, nella sussurrante domanda di chi si affaccia agli studi di diritto amministrativo facendo i conti con la sua storia: nell" eterno ritorno della nostra scienza, non sembra ancora impallidire l" intuizione avuta da Scalvanti sul finire dell" 800, il quale si chiedeva accorato: "Ma com" è… che malgrado le molte produzioni di diritto amministrativo e malgrado le molte cattedre da cui si bandisce il verbo della nuova disciplina… si amministra così male oggi in Italia.. di questo stato di cose v" è parte di responsabilità che risalga al modo con cui fu insegnata la scienza del diritto amministrativo o dobbiamo attribuirla intera all" impero della politica e all" inettitudine dei governanti?".

Nelle modeste righe che seguono non tenterò neppure con formule sintetiche di offrire al lettore un compendio di massime giurisprudenziali e teoriche in ordine alla vexata quaestio dei concorsi per accedere a prestigiose cariche pubblicistiche (tutto ciò che occorre al riguardo può essere trovato nelle continue rincorse giornalistiche all" ultima sentenza che insistono nelle plurime edizioni cartacee). L" intento, invece, è quello di isolare taluni passaggi della decisione de qua, misurandone l" armonia con aspetti evolutivi dell" operare dei pubblici poteri e dei relativi sindacati giudiziari. So già, che lo scritto non troverà né plausi né critiche accomodanti di certa dottrina, pur necessari per fare di un libro e del suo possesso un segno distintivo in società..insomma non resta che ripetere: "Fors" altri canterà con miglior plettro".

Il diritto amministrativo trova spiegazione e approfondimento di contenuti e valori anche in funzione del suo processo. In proposito, giova ricordare come l" avanzamento disciplinare non si presenta come assoluta rottura con la tradizione del pensiero "classico", dovendo utilizzare l" intero bagaglio culturale del passato, sussidiato dai pro e i contro della sua osservanza (o disubbidienza) rispetto all" evolversi del dato pubblico, da intendere ancora, per certi versi, come "l" esigenza che si manifesta nella realtà della vita sociale" (De Gioannis). Solo così è possibile una coerente filiazione di idee scientifiche in cui consta, con linguaggio romagnosiano, una sintesi di ragione filosofica e autorità positiva dove la teoria riesca da fonte e supplemento della legislazione.

Aderendo all" impostazione che conserva i caratteri di specialità della struttura amministrativa e del suo rito, connotato dalla vocazione alla verifica del limite funzionale del potere, si sottolinea come la crescente pregnanza del principio del giusto processo, induca agli imperativi, prima costituzionali che codicistici, di effettività e concentrazione di tutela: i corollari ideologici della montesqueiana separazione dei poteri (ritenuta da taluni operante solo per "cicli funzionali"-Silvestri-, da altri come "ferro vecchio" -Rescigno-) sono preceduti e condizionati dalla necessità della difesa degli interessi dei privati che fronteggiano la p.a., nell" eterno pendolo tra autorità e libertà.

Quand" anche si volesse continuare a definire il giudizio amministrativo come processo all" atto che raggiunge il rapporto tra amministrazione e amministrato secondo lo schema del problema concreto di invalidità provvedimentale, non può disconoscersi come il rito spiegato dinnanzi al g.a., proprio perché celebra la giuridicità dell" ordinamento, volge al risultato di assicurare la soddisfazione della parte che ha ragione, senza intollerabili dilazioni (più volte, sino al martellante tedio, abbiamo ripetuto nei precedenti scritti la visione chiovendiana del senso codicistico del D.lgs n 104/2010 e dei successivi interventi correttivi).

La giurisdizione amministrativa per tradurre il diritto nel reale (o secondo un surrogato giusnaturalista oggi di moda, "la giustizia deliberata nel concreto") deve essere piena, e quindi fruire di un armamentario istruttorio ispirato al paradigma processualcivilistico (senza che ciò conduca a facili sovrapposizioni travianti, poiché l" organo di contenzioso amministrativo non è -almeno ancora!- il giudice del mio e del tuo come quello ordinario -come vedete i giochi linguistici di Romagnosi sono ancora vivi-).

Solo un" adeguata istruzione, quale fase che si interpone tra l" affermazione delle parti e la decisione giudiziaria, può condurre a un sindacato pieno che vincoli il potere e dia un" adeguata sistemazione del contrasto sostanziale di pretese che si frappongono (poi, si tratta di essere immuni alle delusioni trattate dal diritto e convincersi con Liebman che la legge ha fiducia che il conflitto di interessi, sorvegliato imparzialmente dal giudice, giunga in modo spontaneo a soddisfare l" aspirazione collettiva alla giustizia).

Non è questa la sede per discettare sulla natura estrinseca o intrinseca, debole o forte, che contraddistingue la forza dello scrutinio del giudice sulla discrezionalità (anche e soprattutto tecnica) spesa dall" ente nel caso concreto: il traguardo resta infatti, quello di un sindacato, coerente al modello comunitario, che coniughi specificità della controversia alla effettività della tutela, ai fini della formazione della fattispecie precettiva (Scoca), in cui al giudice non è attribuito il compito di esercitare il potere conferito dalla legge all" ente, ma di verificare, senza alcuna limitazione, che questo sia stato correttamente esercitato (e ciò al fine di evitare la deriva di una "amministrazione del giudice", pericolo ben evidenziato anni fa -cfr. Ledda-).

L" implementazione probatoria che accede ora alla dinamica processuale amministrativa ha indotto qualificata dottrina a ritenere come ciò sia espressivo della crescente esigenza di avvicinare il processo alla verità materiale dei fatti "che ama nascondersi" (Pugliese).

È bene qui chiarire, sul rapporto fra verità materiale e processuale che talvolta (ripeto sono ottimista con Liebman), sembrano declinate a consumo rivale nelle aule giudiziarie. La tematica richiederebbe molto più spazio di queste mie poche (e certamente banalizzanti) righe, ma colgo l" occasione per riproporre intuizioni brillanti di un Maestro del passato. La "sentenza ingiusta" potrebbe rivelarsi, invero, un falso problema determinato dalla sovrapposizione tra statica e dinamica del processo, che si crea nelle valutazioni soggettive; del pari, un falso problema potrebbe rivelarsi l" ipotizzato conflitto tra rapporto sostanziale e giudizio, perché non vi è una realtà oggettiva nella normativa giudiziale, né vi è tale realtà nella legge o nell" ordinamento prima del processo: sussiste, invece, "una determinazione del concreto incontestabile", che a seguito della celebrazione del rito, rende irrilevante, ponendolo ai margini, ciò che prima insisteva sul piano sostanziale (S. Satta).

Ma attenzione: siamo certi, che pure con l" implementazione probatoria, ciò che residua al processo è la fedele verità dei fatti? In un breve sussulto alla memoria, sovvengono riflessioni mai remote di processualcivilisti, che pongono in evidenza come il nudo fatto materiale viene interpolato comunque dallo svolgimento del giudizio. L" accadimento patologico, varcate le forche caudine del processo, non uscirà più lo stesso, subendo continue e nuove percezioni fra diverse classi di simultaneità: dall" allegazione e introduzione da parte dei contendenti, dalla mediazione probatoria, dal prudente apprezzamento del giudicante e infine dalla composizione decisoria (assunto valido anche nell" ipotesi rara di effetto dichiarativo in sentenza di una situazione realizzatasi nel mondo giuridico a prescindere dalla pronuncia giudiziale, allorchè la sua costituzione rientri nella disponibilità della legge ovvero della parte che aziona la domanda di presa d" atto, e di cui, invero, non v"è traccia quando si controverte sulla questione di legittimità di un provvedimento).

Non voglio indulgere sui riaccesi dibattiti che tendono a reciprocare utile e giusto nei concetti e nei loro effetti sensibili, ma semmai ricordare come molti Autori da tempo hanno concentrato studi sul passaggio dalla verità alla verosimiglianza, giacchè il processo dà ragione e vittoria a chi dimostra di averla. Insomma non vince chi vanti a priori "quistioni di principio", ma la parte cui il contenzioso, prima tramite le regole processuali, poi tramite i fatti e la loro trasposizione nel mondo giuridico, attribuisce la ragione del diritto.

Ecco allora, che la verità sostanziale cui tanto si mira (e su cui vari sogni e domande di giustizia hanno travasi biliari) si traduce in possibilità di verità concreta che può essere attinta solo previa realizzazione della giustizia processuale: la correttezza della decisione svolge il suo primo passo nel rispetto delle regole di accertamento e di sussunzione, nell" osservanza del principio dispositivo con metodo contraddittorio e intermediato per effetto dell" attività acquisitiva del giudice (che non può mai, ingerirsi indebitamente nella res litigiosa trasgredendo il divieto di sapere provato ex officio su di lui gravante, come ci ricorda Proto Pisani).

Anche a voler privilegiare l" art. 32 cpa sui poteri di qualificazione e conversione delle azioni da parte del g.a. come elemento di conforto nella delineazione dell" oggetto del giudizio misurato non sul singolo atto ma sul complessivo rapporto ente-cittadino (con buona pace del "furore iconoclasta della setta dei vecchi credenti" –Merusi), resta immutabile la struttura del giudizio stesso come processo di parti, ritmato dai loro impulsi processuali "responsabili" e assolvimenti istruttori "esigibili". Quindi viene preservata l" inviolabilità della domanda nella sua accezione formale (nemo iudex sine actore) e sostanziale della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Si tratta di aspetti, riconducibili, alla precondizione del valore costituzionale dell" imparzialità del giudice, quale essenza non solo della dinamica processuale, ma dell" intero ordinamento (Carnelutti). Si ponga mente, al riguardo, ai moniti di Calamandrei, a cui tenore, finchè la giustizia sarà resa da uomini, l" onnipotenza dell" ordinamento non potrà cancellare la necessità logica e psicologica (specialmente imperiosa nella fase di cognizione) di affidare a due diversi organi due attività complementari ma ben distinte, senza che possano confondersi riducendo la giustizia a un puerile soliloquio, e consistenti nella funzione di domandare e di rispondere, di proporre un problema e di risolverlo, di lamentare un torto e di ripararlo.

Tanto delineato (spero sia rimasto ancora qualche paziente lettore che non abbia altrove dirottato i suoi sbadigli!), può aversi un sia pur minimo quadro in cui inscrivere la logica della sentenza in commento. I tratti della motivazione emarginati sembrano non contraddire (nei limiti di cui infra) la struttura del giudizio di parti, sussidiato da un loro interesse concreto e attuale, nel principiare il rito e nel darne seguito con l" eloquenza dimostrativa della prova, cui deve ancorarsi la razionalità discorsiva delle proposizioni dell" accertamento del giudice.

E quindi, non è revocabile in dubbio che costituisce principio consolidato in tema di pubblici concorsi (come, del resto, in tutte le pubbliche selezioni) quello secondo cui l"interessato è tenuto ad aggredire gli atti conclusivi della procedura, pena l"improcedibilità dell"impugnativa spiegata anteriormente.

Ciò in quanto, in difetto della contestazione dei predetti atti conclusivi (nel caso di specie, approvazione della graduatoria del concorso e nomina dei vincitori), l"eventuale epilogo favorevole all"interessato dei gravami ex ante esperiti, non avrebbe alcuna utilità in quanto l"annullamento dell"atto di nomina della commissione di concorso e di tutti quelli relativi allo svolgimento ed alla correzione delle prove scritte non sarebbero comunque in grado di travolgere in via automatica provvedimenti conclusivi del concorso di che trattasi.

Ed invero, la non necessità di impugnazione dell'atto finale, quando sia stato già contestato quello preparatorio, opera unicamente quando tra i due atti vi sia un nesso di stretta preordinazione funzionale, di presupposizione/consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l'atto successivo si pone quale inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed autonome valutazioni di interessi, né del destinatario dell'atto presupposto né di altri soggetti. Diversamente, "quando – come nel caso di specie - l'atto finale, pur partecipando della medesima sequenza procedimentale in cui si colloca l'atto preparatorio, non ne costituisce conseguenza inevitabile perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, l'immediata impugnazione dell'atto preparatorio non fa venir meno la necessità di impugnare l'atto finale (cfr, Cons. Stato, sez. V, n. 5618/2010)".

Qualche perplessità desta la liquidazione motivazionale secondo cui, si appalesano infondate le censure sulla presunta violazione della regola dell"anonimato in quanto generiche e non comprovanti la volontà di rendere riconoscibili le prove dei candidati. L"intenzione perseguita (l" episodio si riferisce alle modalità di consegna di fogli ulteriori in corso di prova per cui si rinvia allo svolgimento del processo) "..con tale adempimento è stata quella di far sì che, alla consegna degli elaborati, la commissione potesse verificare che tutti i fogli consegnati al candidato durante la prova fossero poi restituiti nella busta chiusa. Peraltro, non risulta smentito che tale elenco sia stato sigillato in una busta chiusa al termine delle operazioni concorsuali nè il ricorrente ha dedotto che la predetta busta sia stata successivamente aperta in concomitanza con la correzione delle prove scritte..". Forse la situazione prospettata dallo stesso ricorrente, nei limiti della sua sfera probatoria, avrebbe potuto essere integrata dalla spendita di poteri istruttori ex officio, stimolati dalla parte ma da questa non completamente assolti in quanto i fatti da provare non ricadevano per intero nella sua sfera disponibile, nel suo dominio dimostrativo. Ma è pur vero che la mia resta un" impressione indotta dalla suggestiva intermediazione dell" acquisizione del giudice rispetto all" iniziativa delle parti, modello che pare sopravvivere tra le maglie del cpa e che con probabilità continua ad ascrivere al giudice il ruolo di "signore della prova" (Nigro) nella distribuzione dei poteri di governo del processo.

Un" ultima notazione viene riferita al rigetto, contenuto in sentenza, delle censure inerenti al possibile contatto tra candidati e soggetti estranei al concorso, che ad avviso del Collegio, sarebbe smentita in punto di fatto:ciò in ragione dei controlli posti in essere dal personale di vigilanza e compendiati nei verbali delle prove scritte che, come noto, hanno fede privilegiata fino a querela di falso. Ecco la riprova di quanto sopra detto all" esito delle riportate intuizioni di Satta: il processo non dà ragione a chi l" ha, ma a chi dimostra, agli occhi prudenti del giudice, di averla (ragione che necessita di sforzi ulteriori per affermarsi in causa se vi si oppone una fede privilegiata nell" agire pubblico, ma che forse, potrebbe giovarsi dell" integrato accertamento del fatto ex officio, per la fisiologica inferiorità istituzionale del cittadino che ricorre contro i modi e gli esiti del potere in cui non ha fede).

Siamo giunti al termine: la scienza del processo ha le sue regole speciali, le quali, senza essere mosse dalla coltivazione cieca ed emotiva del principio di effettività (che rischia di essere un principio bon à tout faire –Feliziani-), devono dimensionarsi sulle situazioni sostanziali, di cui in rito si celebri e suggelli la verità probabile nel gioco delle parti "responsabili", delle loro prove disponibili e del giudice richiesto e necessitato ai fini del rendere giustizia e deciderne i significati costituzionali in funzione della reintegrazione dell" equilibrio giuridico.

In ciò non bisogna trascurare le riflessioni del passato, non per mutuarne passivamente concetti ed istituzioni ma per coltivarne la funzione sociale e dialettica nell" evolversi dei fatti e della loro misura contenziosa e satisfattiva. I concetti si evolvono con gli ordinamenti di cui sono espressione: ne costituiscono, per certi versi la sublimazione..e "noi giuristi siamo compiaciuti per la demolizione che attesta il progresso dell" edificio" (V.E. Orlando).

 

 




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