-  Crovetto Monica  -  23/06/2014

ONERE DELLA PROVA IN TEMA DI INFORTUNIO E MALATTIA - Monica CROVETTO

Con tre pronunce a breve distanza la Sezione Lavoro della Cassazione torna a ribadire i propri principi in tema di responsabilità ex art. 2087 cod. civ. e di riparto dell'onere della prova. Con la sentenza n. 12562/2014 conferma il proprio orientamento circa la natura contrattuale dell'art. 2087, in quanto "riconducibile alla particolare natura del contratto di lavoro, il quale non si configura quale contratto di semplice scambio fra prestazione e retribuzione, implicando anche l'insorgenza di obblighi di natura non patrimoniale, quale quello di tutela dell'integrità fisica e morale del lavoratore". Già in numerose pronunce la Suprema Corte aveva ritenuto integrato, ai sensi dell'art. 1374 cod. civ., il contenuto del contratto individuale di lavoro dalla disposizione che "impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale" (Cass., sez, lav., 18.07.2013, n. 17585). Attesa dunque la natura contrattuale dell'art. 2087 e la conseguente applicazione dell'art. 1218 cod. civ. - dice la Corte - "ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio subito dal dipendente o per la tecnopatia contratta, grava su quest'ultimo l'onere di prova la sussistenza del rapporto di lavoro, dell'infortunio o della malattia ed il nesso causale tra l'utilizzatore del macchinario o la nocività dell'ambiente di lavoro e l'evento dannoso", mentre grava sul datore "l'onere di dimostrare di aver rispettato le norme specificamente stabilite in relazione all'attività svolta nonchè di aver adottato, ex art. 2087 cod. civ., tutte le misure che - in considerazione della peculiarità dell'attività e tenuto conto dello stato della tecnica - siano necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore, vigilando altresì sulla loro osservanza". Responsabilità dunque che deve fondarsi sulla sua colpa, non prevedendo la norma de qua una responsabilità oggettiva (v. anche sentenza n. 13957/2014). In tale seconda pronuncia, la Suprema Corte ha escluso ipotesi risarcitorie laddove dalla C.T.U. medico legale è emerso che non sussisteva alcun nesso tra le pregresse infermità del lavoratore e l'infortunio successivamente occorso, essendo quest'ultimo "dovuto ad un accidentale urto contro un gancio ferma cancelletto del ponte di comando, e non già per le ridotte capacità fisiche del lavoratore conseguenti i pregressi infortuni". Dello stesso tenore anche la sentenza n. 13863/2014 che, nel ribadire la natura contrattuale della responsabilità ex art. 2087 cod. civ., torna ad affermare che "la parte che subisce l'inadempimento non dove dimostrare la colpa dell'altra parte - dato che ai sensi dell'art. 1218 cod. civ. è il debitore - datore di lavoro che deve provare che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile - ma è comunque soggetta all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate ..." (in senso conforme, Cass., se. lav., 11 aprile 2013, n. 8855). Vale la pena di ricordare la giurisprudenza prevalente ritiene che il lavoratore non debba anche individuare le misure di sicurezza che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare per evitare il pregiudizio alla salute e alla sicurezza del prestatore (Cass., sez. lav., 22.12.2011, n. 28205). Anche la dottrina ritiene che un tale onere costringerebbe il lavoratore ad una indagine di tipo tecnico che attiene esclusivamente alla organizzazione datoriale.




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