-  Fedeli Giuseppe  -  13/10/2014

NON PREVALEBUNT - G. FEDELI

 

"Io che sono l"E", il Fu e il Sarà/accondiscendo al linguaggio/che è tempo successivo e simbolo"(Borges, Giovanni I, 14)

 

Il lancio delle colombe dalla finestra del palazzo apostolico alla fine della recita dell'Angelus in Piazza San Pietro non è sempre riuscito: quando sedeva sul soglio Benedetto XVI, spaventati dall'assalto di un gabbiano, gli uccelli, simbolo della Pace, trovarono riparo sulla finestra del Pontefice. Domenica 26 gennaio: al termine dell'Angelus, subito dopo essere state attaccate da un corvo nero e da un gabbiano, le colombe liberate sopra la folla da Papa Bergoglio sono volate via, ma una di esse è rimasta vittima del corvo, piombato insieme al gabbiano sulla preda; l'altra, sfuggita all'attacco, si è rifugiata sul davanzale della finestra sottostante a quella del Pontefice. La "sacra" rappresentazione della dialettica -dell'eterna lotta- Bene/Male, con la fitta simbolica che la sottende (la colomba è anche il simbolo dell'innocente candore), è resa ancor più "attuale", "avvincente" nella sua tremenda significazione dacché Paolo VI denunciò con parole memorabili: «Attraverso qualche fessura(...) il fumo di Satana è entrato nella Chiesa». Un grido angoscioso, che lasciò attoniti e scandalizzò molti, anche all"interno del mondo cattolico. La domanda capitale è: "cos"è" Dio? Dov"è Dio? Che intendiamo quando adottiamo a paradigma il Concetto-Dio, o meglio: dove sfocia il loqui, qual è il punto di non ritorno del verbo umano di fronte all"inesplicabile, all"indicibile? Ogni religione ha tentato di dare una risposta." Qualsiasi conoscenza del divino urta contro un paradosso: perché il divino è proprio quanto si sottrae allo sguardo, il nascosto, l'occultato, l'incomprensibile e irriducibile enigma, il santuario al quale nemmeno gli uccelli possono avvicinarsi. Le sfingi davanti ai templi egiziani ci ricordano che ogni teologia è «intessuta di sapienza enigmatica». Allora ciò che dovremmo conoscere ci resterà per sempre celato? In un punto mirabile di "Iside e Osiride", Plutarco ci assicura che possiamo conoscere la verità intorno all'Essere. Non è una verità filosofica né un racconto mitico, ma una rivelazione estatica, come quella appresa dalle anime di Platone nel Luogo Sopraceleste: un lampo luminosissimo e velocissimo accende la nostra anima una volta sola nella vita; ma, in quel lampo intemporale di bea­titudine, noi possiamo contemplare, toccare con gli sguardi il divino(…)" (P. Citati, La luce della notte). Il "salto" successivo, cruciale è la constatazione che quando l"uomo si chiude alla Trascendenza, compie un attentato contro se stesso, "si autoespropria di quell"apertura all"Infinito che gli permette di esprimere integralmente la sua grandezza" (sono parole del Cardinal Ruini). Si pensi alla costruzione della torre di Babele, e alla confusione delle lingue che ne conseguì; al fratricida Caino, che fonda la prima città terrena sul sangue del fratello ucciso Abele. Oppure a Romolo e Remo, l"altro fratricidio che getta le fondamenta dell"urbe. E l"Iliade, il poema omerico, non si apre forse con l"immagine accecante della città di Troia in fiamme? A proposito dei figli di Ciro, Platone dice: "L"uno dei due uccise l"altro, non sopportando che fosse suo uguale". Il Male esiste: ma è un'Entità o o un quid consustanziale alla natura umana, alla sua fragilità e corruttibilità? Senza voler scendere nelle disputazioni manichee, o nel mistero del "Male in Dio" (la cd "Teodicea", che ha tanto affaticato e continua ad affaticare le menti di biblisti e apologeti del Verbo, nel tentativo di trovare il punto di sutura, la solutio, l'anello debole della catena in virtù del quale gli estremi si compongono: pensiamo fra tutti al Pareyson), il Male soggioga l'uomo, che ne è posseduto, al punto da smarrire "il ben dell'intelletto", e perdere la sua anima. Esso è strisciante, seducente, tenta in ogni maniera di passare inosservato, s'insinua sinuoso nelle intime latebre dell'uomo, fino a scardinarne l'armonia e la compiutezza. L'unico antidoto è resistere al suo lascivo corteggiamento, alle sue appetibili quanto lubriche lusinghe, vivendo secondo i tre precetti "laici" che costituiscono l'architrave di ogni civiltà (honeste vivere, alterum non laedere, suum unicuique tribuere), e, per il credente, mediante l'adesione al Decalogo e, in definitiva, a un'etica e a un'estetica che -sia pure attraverso un cammino di durissima ascesi-salvano: in una parola, la Fede nel Dio fattosi Uomo, Crocifisso e Risorto, che morendo ha vinto il mondo, lavandone i peccati. Pensiamo alla travagliosa ricerca che condusse Kierkegaard ad approfondire la definizione della disperazione dell"essere umano nel rapporto con Dio quale paradosso, "malattia mortale", nominazione ultima che esprime lo stato della propria incompiutezza ontologica: di qui l"eutanasia del pensiero logico e la morte cui esso deve volontariamente condannarsi di fronte al Mistero della fede. 

Corvi e rapaci si avventano sulle colombe "del papa": per chi è abituato a leggere i "segni" è un presagio nefasto...




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