-  Faccioli Marco  -  26/05/2017

MI PIACE su facebook: Istruzioni per l'uso - di Marco Faccioli

Alzi la mano chi, tra i quasi due miliardi di iscritti alla piattaforma di Facebook, non ha mai, almeno una volta, messo un "MI-PIACE" ad una foto, ad un commento, o ad una notizia. Probabilmente, anzi sicuramente, nessuno. Mettere "MI-PIACE" su Facebook è come farsi scappare un urlo quando la propria squadra passa in vantaggio al 90simo, ovvero è la cosa più ovvia e naturale che ci si possa aspettare da un normalissimo utilizzatore di un social network. Un "MI-PIACE" è infatti semplice, veloce, basico, non costa nulla, e non crea nessun tipo di problemi ...ma siamo davvero sicuri che sia proprio così? Dovremmo chiederlo a colui che, forse primissimo in Italia, è balzato suo malgrado agli onori della cronaca per aver avuto dei casini (per dirla in modo comprensibile a tutti) per il solo fatto di aver messo "MI-PIACE" ad un commento ad un post su Facebook. Vediamo come sono andati i fatti, facendo una brevissima cronistoria giudiziaria dell'accaduto. Partiamo dal titolo di un articolo della Gazzetta di Parma del 30 gennaio 2014: "Per un MI-PIACE su Facebook rischia una condanna da sei mesi a tre anni, o una multa di 516 euro. La procura di Parma ha chiesto il rinvio a giudizio di un uomo per concorso in diffamazione aggravata." Ma esattamente cos'è successo? Un iscritto a Facebook era intervenuto in una disputa tra due donne (quindi in una situazione da cui è comunque sempre meglio stare alla larga) appartenenti a un movimento politico e aveva espresso il proprio gradimento per un insulto rivolto ad una delle due ...da qui il rinvio a giudizio della Procura parmigiana per il suo "MI-PIACE", con l'accusa di concorso in diffamazione aggravata. Si trattava di uno degli ultimi insulti di una lunga lista di quasi una trentina di commenti, che le due donne si erano scambiate sul post incriminato. L"uomo, pur essendo estraneo alla vicenda, leggendo la querelle, si era schierato con una delle due battibeccanti che, nel post, si rivolgeva alla rivale e a suo figlio con frasi offensive. La polizia postale, in tempo zero, era risalita non solo a chi aveva scritto il post offensivo sulla pagina di Facebook, ma anche a chi, in qualche modo, lo aveva commentato o semplicemente apprezzato, come in questo caso l"ignaro utente di Parma, che si è buscato tutte le conseguenze penali di quello che credeva un semplice e banalissimo gesto. L"uomo quindi, insieme ad altre persone che avevano non solo cliccato, ma anche scritto affermazioni legate al post incriminato, ha scoperto solo con la notifica della denuncia quanto grave fosse in realtà il suo semplice "MI-PIACE". Per farla breve, a rispondere dell"accusa di diffamazione aggravata non è stato solo chi ha scritto parole offensive, ma anche chi, con un semplice clic, ha dato manforte agli insulti, rendendosi in qualche modo complice della diffamazione medesima. Ignoro come sia finita l'intera vicenda (se l'accusato sia stato assolto, condannato, o se il processo sia ancora in corso), ma non è tanto questo il punto. Quel che qui importa è rilevare come l'utilizzo di un social network, anche nella sua forma più semplice e basica, quella del cliccare "I-LIKE", possa nascondere delle insidie e dei pericoli. Ciò sta a significare che, lungi dall'essere più "sicuro" e "protetto" rispetto al mondo reale, il terreno virtuale dei social network può essere molto più accidentato, ed è quindi necessario percorrerlo con la massima cura. "Occhio a quel che ti piace, può far male", dicevano una volta i dietologi. Fate attenzione che lo stesso consiglio, oggi, lo danno anche i magistrati. I Van Damme della tastiera sono avvisati.




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