-  Santuari Alceste  -  11/12/2013

MA I COMUNI POSSONO ANCORA COSTITUIRE FONDAZIONI DI PARTECIPAZIONE? – Alceste SANTUARI

La domanda rappresenta una questione importante per l"azione degli enti locali territoriali, specie per quanto riguarda le attività culturali. Come è stato recentemente correttamente evidenziato "[l]a cultura non dovrebbe essere trascurata in tempo di crisi, considerata la sua intrinseca forza trainante quale volano di sviluppo economico" (G. Romano, La fondazione di partecipazione per i servizi culturali: un modello ancora attuale?, in www.giustamm.it, n. 11-2013, p. 1).

 

E quindi gli enti locali dovrebbero essere liberi di agire in funzione della promozione di uno scopo che rientra senza dubbio tra i compiti istituzionali ad essi affidati dal nostro ordinamento.

 

Ma come è noto, purtroppo, gli enti locali, in specie negli ultimi anni, sono stati assoggettati a tanti e tali vincoli (si veda per esempio la c.d. spending review) che, spesso, ci si interroga sull"effettiva libertà di cui essi possono ancora godere. La ratio di questi provvedimenti normativi è quella di produrre risparmi di spesa nella gestione dei servizi pubblici, welfare e cultura compresi. Quale conseguenza di tale approccio si registra dunque una tendenziale richiesta agli enti locali di provvedere alla reinternalizzazione da parte dell"apparato burocratico-amministrativo di quelle gestioni che nel corso dei decenni sono state "esternalizzate" a soggetti terzi.

 

Tra queste gestioni non può revocarsi in dubbio che il settore culturale abbia conosciuto una forte espansione del modello fondazionale (di partecipazione), considerato, appunto, quale strumento giuridico-organizzativo maggiormente adeguato per creare positive sinergie tra soggetti pubblici e soggetti privati (for profit e non profit).

Preme evidenziare che la fondazione di partecipazione:

  1. si colloca tra le organizzazioni private senza scopo di lucro
  2. prevede la presenza di soggetti "fondatori", che partecipano alla costituzione della fondazione, "partecipanti istituzionali", che contribuiscono alla realizzazione delle sue finalità con contributi economici e attività e "partecipanti", che contribuiscono alla fondazione in via non continuativa;
  3. consente la compresenza di enti pubblici territoriali (Regione, Provincia e Comune) e di soggetti privati (società e organizzazioni non profit), sia in veste di fondatori ovvero di soggetti aderenti in un momento successivo alla costituzione
  4. è dotata di proprio patrimonio, vincolato in modo perpetuo al perseguimento delle finalità statutarie
  5. accanto al patrimonio iniziale, tipico requisito fondazionale, può prevedere che i soggetti partecipanti contribuiscano annualmente alla gestione attraverso conferimenti ricorrenti nella misura da stabilirsi nello statuto
  6. persegue scopi di utilità sociale: a questo fine, può utilizzare tutte le modalità consentite dalla sua natura giuridica di diritto privato, tra cui spicca la possibilità di costituire/partecipare a società strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali
  7. è dotata di agilità e flessibilità gestionale;
  8. presenta un chiaro sistema di vincoli delle risorse disponibili e apportate al perseguimento dello scopo.

 

 

Come sottolineato, la fondazione di partecipazione, strumento giuridico-organizzativo spesso impiegato per la realizzazione di progetti condivisi e concertati tra soggetti pubblici e soggetti privati ha subito una battuta d"arresto a seguito dell"approvazione del d.l. n. 95/2012, recante"Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario", volto alla razionalizzazione ed al contenimento della spesa pubblica. Si tratta di un decreto legge che è stato al centro di ripetute censure da parte della Corte costituzionale e che anche in ragione del suo contenuto complesso e contraddittorio non ha certo spiegato gli effetti programmati dal legislatore.

Tralasciando questo ultimo aspetto e soffermandoci sugli interventi della Corte costituzionale, quest"ultima ha ritenuto (si vedano i numerosi commenti pubblicati su questo sito), in termini sintetici, di "ripristinare" il perimetro di libertà e di azione in capo agli enti locali. Questi ultimi, pertanto, devono essere messi nelle condizioni di ricorrere agli strumenti giuridico-organizzativi ritenuti più idonei per conseguire le finalità istituzionali che ad essi sono attribuite dall"ordinamento costituzionale.

 

E ciò perché il legislatore stesso, laddove si riferisce genericamente ad "enti, agenzie e organismi comunque denominati" (d.l. n. 95/12), che, da un lato debbono essere liquidati e, dall"altro, non devono essere costituiti, ha adottato un"espressione talmente ampia che, in prima lettura, ha indotto l"interprete a ritenere che in essa fossero ricomprese pure le organizzazioni non profit operanti nel settore culturale, ivi comprese le fondazioni di partecipazione.

Sul punto non hanno certo aiutato le pronunce (diverse e contraddittorie) dei giudici contabili, che possono essere suddivise, in sostanza, in due filoni interpretativi distinti. Uno più restrittivo e formalistico (cfr. Corte Conti sez. controllo Toscana n. 460/2012; Corte Conti sez. controllo Lombardia n. 403/12 e 485/12), che intende attrarre nell"ambito delle prescrizioni di legge anche le fondazioni di partecipazione che erogano servizi culturali. L"altro, meno restrittivo (cfr. Corte Conti sez. controllo Puglia n. 97/12) e più orientato a sostenere il dato sostanziale, che, invece, si esprime in senso favorevole alla possibilità di istituzione ex novo di modelli fondazionali con funzioni culturali.


Come sopra ribadito, nel coacervo interpretativo e applicativo delle disposizioni contenute nella c.d. spending review, è intervenuta la pronuncia n. 236 del 2013 della Corte Costituzionale, la quale, sulla base di un"interpretazione costituzionalmente orientata dell"articolo 9, comma 6, del d.l. 95/2012, ha chiarito che tale disposizione deve essere necessariamente coordinata con quanto stabilito nei commi precedenti e, in particolare, nel comma 1, che impone l"obbligo di riduzione del 20% dei costi degli organismi esistenti. In questo senso, i giudici costituzionali hanno, infatti, precisato che "l"obiettivo del legislatore è esclusivamente la riduzione dei costi relativi agli enti strumentali degli enti locali nella misura almeno del 20%, anche mediante la soppressione o l"accorpamento dei medesimi. Pertanto la disposizione in esame deve essere interpretata nel senso che il divieto di istituire nuovi enti strumentali opera solo nei limiti della necessaria riduzione del 20% dei costi relativi al loro funzionamento. Vale a dire che, se, complessivamente, le spese per «enti, agenzie e organismi comunque denominati», di cui ai commi 1 e 6 del citato art. 9, resta al di sotto dell"80% dei precedenti oneri finanziari, non opera il divieto di cui al comma 6".

 Si tratta di una interpretazione costituzionalmente orientata che "si rende necessaria anche per consentire agli enti locali di dare attuazione al comma 1 mediante l"accorpamento degli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite. In tal modo, infatti, gli enti locali potranno procedere all"accorpamento degli enti strumentali esistenti anche mediante l"istituzione di un nuovo soggetto, purché sia rispettato l"obiettivo di riduzione complessiva dei costi".

Anche su questo sito abbiamo sottolineato l"importanza "strategica" della pronuncia in commento, in quanto essa interviene a "smontare" le interpretazioni eccessivamente vincolistiche che le sezioni controllo della Corte dei Conti hanno inteso attribuire al dato normativo, aderendo al principio secondo il quale agli enti locali fosse "in ogni caso" vietato di istituire nuovi organismi. Organismi, che come è noto e come abbiamo in altre occasioni ricordato, "servono" agli enti locali per poter organizzare autonomamente i servizi che essi sono chiamati ad erogare in quanto ricompresi nelle funzioni di cui sono titolari.

Per quanto riguarda, nello specifico, l"impiego della fondazione di partecipazione nel comparto delle attività culturali, l"intervento della Corte costituzionale risulta coerente con le previsioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio. L"art. 112, rubricato "Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica", comma 5, consente, infatti, anche agli "altri enti pubblici territoriali" (tra i quali i Comuni), la opportunità di costituire "appositi soggetti giuridici" ai fini della funzione di valorizzazione dei beni culturali. E secondo il noto brocardo "lex specialis derogat lex generali" la previsione del Codice resiste alla previsione ex art. 9, comma 6 del d.l. 95/2012. Ai sensi del Codice in parola, dunque, la fondazione di partecipazione integra il modello prescelto dagli enti locali per gestire i servizi che, ricorrendo ad una terminologia non più in uso, possiamo definire "privi di rilevanza economica".

 

Alla luce delle riflessioni su esposte pare dunque possibile affermare che la fondazione di partecipazione, in ragione del principio di auto-organizzazione riconosciuto dalla disciplina comunitaria in capo agli enti locali e delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia ancora un modello a disposizione delle amministrazioni locali per gestire interventi e attività nel comparto della cultura.




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film