-  Storani Paolo  -  04/09/2012

L'OSPEDALE RISPONDE DEL CONTAGIO DA VIRUS DELL'EPATITE C - Trib. Campobasso 14.11.2011 - Paolo M. STORANI

Il caso oggetto della sentenza resa nel novembre 2011 ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. dal Tribunale di Campobasso in persona del Giudice Unico Dott. Stefano CALABRIA riguarda il contagio in ospedale da virus dell'epatite C per trasfusioni da sacche di sangue infetto.

In ordine all'esistenza del nesso di causalità il Magistrato ricorda che, in tema di responsabilità civile, per l'accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di conseguenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica.

Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non soltanto quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile.

In proposito, il Monocratico del Tribunale di Campobasso segnala Cass., Sez. III, 26 giugno 2007, n. 14759, Pres. Varrone - Est. Fantacchiotti.

Prosegue la motivazione evidenziando che "la sufficienza di un credibile ed elevato giudizio probabilistico, supportato da rigorose leggi scientifiche, per dimostrare la sussistenza del nesso causale in sede di responsabilità civile, è orientamento granitico delle sezioni civili della Corte di Cassazione".

Nella fattispecie affrontata in concreto, data per provata da cartella clinica agli atti del processo e comunque incontestata la costituzione del rapporto contrattuale fra l'attrice e la struttura ospedaliera, "risulta altamente probabile che in occasione del suddetto ricovero dell'autunno del 1984" la paziente "contrasse il virus dell'epatite C".

Era avvenuto che, in conseguenza di forti perdite ematiche, le vennero somministrate quattro sacche di trasfusioni.

Escluse altre possibili forme di contagio, il magistrato molisano ricorda che "proprio le emotrasfusioni costituiscono una delle più frequenti modalità di contagio per il virus HCV".

Infine, anche il riconoscimento a vantaggio dell'attrice dell'indennizzo ai sensi della l. 210/1992 depone quale argomento di prova per la sussistenza del nesso causale tra le quattro trasfusioni ricevute dalla degente e la successiva contrazione del virus.

Né l'ente ospedaliero ha offerto dimostrazione della propria diligenza in relazione a due aspetti.

a) accertato che la maggioranza degli ammalati da virus HCV presenta transaminasi elevate, l'ente avrebbe dovuto escludere i donatori con valori superiori al limite massimo di normalità, riducendo il rischio di verificazione dell'evento lesivo;

b) la prova dell'esatto adempimento dell'ente poteva dirsi raggiunta qualora la struttura ospedaliera avesse prodotto gli esami ematochimici dei quattro donatori del sangue poi trasfuso alla paziente; ma non si è documentata la tracciabilità del sangue proveniente da costoro.

"Possiamo dunque concludere - espone il Monocratico del Tribunale molisano - che le accortezze e le attività preventive svolte dal personale sanitario ...non erano idonee ad evitare con sufficienti margini di certezza la trasmissione di agenti virali e patogeni, tra cui quello dell'epatite C".

La significativa decisione resa in forma incorporata al verbale dell'udienza del 14 novembre 2011 è interamente leggibile nell'allegato sottostante.  




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