-  Belotti Andrea  -  22/12/2012

LE VENDITE INFRAGRUPPO SOTTOCOSTO NON SONO DI PER SE' ELUSIVE - Cass. 23551/2012 – Andrea BELOTTI

Tema ricorrente nel contenzioso tributario è l"esame dei rapporti di acquisti e vendita tra società che appartengono allo stesso gruppo, in quanto possibili strumenti atti a conseguire indebiti risparmi di imposta, ad esempio nel caso di vendite sottocosto.

Secondo la Suprema Corte tali operazioni non sono di per sé elusive quando sia possibile dimostrare che alla loro base vi siano valide ragioni di natura economica.

La sentenza in esame precisa che:, "per l"ipotesi in esame (…) occorre tener presente come questa Corte abbia già chiarito, in ordine alla detta nozione, che il comma 3 dell"art. 9 del t.u.i.r. "indica per la determinazione del valore normale dei beni il "riferimento (…) ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito beni o servizi (…) tenendo conto degli sconti d"uso", i quali sono da individuarsi in quelli usualmente praticati sui propri listini per le operazioni concluse in condizioni di libera concorrenza, cioè con soggetti estranei al proprio gruppo economico e non, quindi, nelle riduzioni percentuali del prezzo praticate nei soli rapporti infragruppo" (Cass. n. 7343 del 2011). Il giudice di merito, dopo aver evidenziato che "entrambe le società risiedono sul territorio nazionale e quindi non vi è stata sottrazione di materia imponibile", ha rilevato che "i prezzi praticati fra le due società sono prezzi all"ingrosso in quanto entrambe le società commercializzano e vendono il prodotto in contestazione", osservando essere "prassi, nel comune commercio anche fra concorrenti (ed a maggior ragione in questo caso, visto il sottostante rapporto di partecipazione) "vendersi" delle merci di cui si è rimasti sprovvisti, ad un prezzo superiore il reale prezzo d"acquisto, al fine di dividersi l"utile fra le due imprese, tenendo presente che il prezzo di mercato (per l"utilizzatore finale) deve essere allineato alla concorrenza: ecco spiegate le ragioni economiche che hanno determinato una vendita a prezzi più bassi", ed ha infine rimarcato che "non risulta che i verificatori abbiano confutato e messo a confronto i prezzi praticati alla (..) con quelli praticati ad altri grossisti, ma il raffronto è stato effettuato esclusivamente con quelli relativi alla genericità dei ricavi". Il giudice ha così correttamente escluso che nel trasferimento, per così dire "interno", della merce tra due società, entrambe residenti, facenti parte dello stesso gruppo ed operanti nella stessa fase di commercializzazione ("all"ingrosso") potesse farsi ricorso al criterio del "valore nomale", vale a dire al "prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari", in quanto difettavano due dei requisiti stabiliti dal comma 3 dell"art. 9 del t.u.i.r. del 1986, le "condizioni di libera concorrenza" ed il "medesimo stadio di commercializzazione"".




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