-  Redazione P&D  -  16/05/2013

LA 'NUOVA' LEGGE PINTO: LE PRIME PRONUNCE - App. Roma, 57923 e 57924/2013 - Laila PERCIBALLI

Con le due sentenze in commento, due cittadini italiani, distintamente, hanno fatto valere, per cure del proprio Avvocato, il loro diritto all'equa riparazione presentando ricorso alla Corte di Appello territorialmente competente e, per tale via, denunciato l'abnorme durata dei loro giudizi innanzi al Tribunale civile.

Giudizi durati nel solo primo grado, rispettivamente, 12 anni, 5 mesi e 17 giorni e 18 anni, 1 mese e 19 giorni. Ed al cui esito, una volta esaminati gli atti dei due fascicoli e data l'eccessiva ed irragionevole durata dei processi, la Corte di Appello di Roma ha indennizzato i due cittadini, l'uno, per Euro 4.500/00 e, l'altro, per Euro 6.500/00.

Le sentenze in esame sono interessanti in quanto intraprese a pochi giorni dall'entrata in vigore della recente riforma in materia di equa riparazione (d.l. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 Agosto 2012 n. 134) che ha modificato l'ambito di applicazione della legge Pinto, specie in ordine alla procedura di presentazione del ricorso.

In particolare, nel primo caso, il Consigliere designato (dott.ssa Anna Maria del Santis) della Corte di Appello di Roma così disponeva

<<-ritenuta la propria competenza e dato atto della tempestività del ricorso;

-considerato che il ricorrente denunzia come abnorme ed irragionevole la durata del processo, protrattosi per 12 anni, 5 mesi e 17 giorni in primo grado;

-rilevato che a norma dell'articolo 2 comma 2 bis L.89/2001 il termine ragionevole di durata del processo di primo grado risulta fissato in tre anni, sicchè il ritardo imputabile, valutati a tal fine i verbali di causa e gli atri atti allegati, è nella specie pari ad anni 9, mesi 5 e gg 17;

-ritenuto che alla luce dell'esito dell'azione promossa ed in applicazione del disposto di cui all'articolo 2 bis comma 3, L. 89/01, l'indennizzo richiesto può essere quantificato nell'importo annuale di euro 500,00, dovuto per nove annualità;

e così per a somma di euro 4.500,00 a titolo di equo indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonché delle spese del procedimento liquidate in euro 208,00 >>.

Nel secondo caso, lo stesso Consigliere designato così disponeva

<< - considerato che il ricorrente denunzia come abnorme ed irragionevole la durata del processo, protrattosi per 18 anni, 1 mese e 19 giorni in primo grado;

-rilevato che a norma dell'articolo 2 comma 2 bis L.89/2001 il termine ragionevole di durata del processo di primo grado risulta fissato in tre anni, sicchè il ritardo imputabile, valutati a tal fine i verbali di causa e gli altri atti allegati, è nella specie pari ad anni 12, mesi 11, dovendo detrarsi dalla durata complessiva oltre il termine triennale legislativamente fissato, quello ulteriore di anni due e mesi uno relativo a cinque rinvii accordati a richiesta delle parti per bonario componimento della lite, periodo non ascrivibile a disfunzione del sistema;

-ritenuto che alla luce dell'esito dell'azione promossa ed in applicazione del disposto di cui all'articolo 2 bis comma 3, L. 89/01, l'indennizzo richiesto può essere quantificato nell'importo annuale di euro 500,00, dovuto per tredici annualità;

e così per a somma di euro 6500,00 a titolo di equo indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonché delle spese del procedimento liquidate in euro 208,00 >>

La differenza degli importi scaturisce, ovviamente, dal diverso numero di anni di durata degli "irragionevoli processi"; difatti, chi è stato coinvolto in un processo per un periodo di tempo "irragionevole", cioè troppo lungo, può ottenere il risarcimento del danno morale da ingiusta attesa, che consiste mediamente in 500/00 euro per ogni anno di durata eccessiva del processo.

In base alla richiamata normativa, la durata ragionevole del processo è considerata di tre anni per il primo grado, di due per il secondo, di uno per la Cassazione.

Le due sentenze in commento, munite di formula esecutiva, sono state poi notificate al Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro-tempore ed ora se ne attende la pronta liquidazione degli importi ai cittadini che dovranno avvenire non oltre 6 mesi dal deposito della sentenza, giacchè la Corte Europea ha ripetutamente invitato lo Stato Italiano ad adottare tutte le misure necessarie per fare in modo che le decisioni nazionali siano eseguite entro i sei mesi che seguono il loro deposito in Cancelleria (Cfr. ricorso n. 36812/07, con sentenza del 29 marzo 2006, paragrafo 240; ricorso n. 22644/03 del 31 marzo 2009, paragrafo 54).

Come detto, le sentenze in esame sono degne di attenzione in quanto i ricorsi sono stati presentati seguendo i dettami del d.l. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 Agosto 2012 n. 134, di modifica della legge Pinto.

Con il nuovo rito, il ricorso deve essere iscritto innanzi alla competente Corte di Appello solo entro i 6 mesi successivi al passaggio in giudicato della sentenza.

Con la conseguenza che, ove mai, il ricorso venga presentato in corso di giudizio o quando la sentenza non sia passata in giudicato, la Corte di Appello adita provvederà a dichiarare l'inammissibilità del ricorso ed a condannare il cittadino ad una sanzione amministrativa, definita in una forbice di valore da Euro 1.000.00 ad Euro 10.000.00. E ciò nonostante, il cittadino sia già stato vittima di un ingiusto processo.

A tal riguardo, non sono poi mancate le critiche di diversi autori in ordine alla dubbia costituzionalità di tali modifiche. La riforma, infatti, non permettendo di presentare il ricorso per l'equa riparazione prima del passaggio in giudicato del giudizio, limiterebbe di non poco i diritti fondamentali del cittadino all'equo processo, dato che quest'ultimo dovrà comunque attendere un ulteriore ampio lasso di tempo, dato dal lungo iter processuale a cui si lega il passaggio in giudicato della sentenza.

Come anche diverse critiche, condivise, hanno riguardato i diversi arresti giurisprudenziali secondo cui il processo tributario non sarebbe interessato dall'applicazione dei principi sanciti dall'art. 6 della "Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo".

Questi arresti appaiono, infatti, poco ragionevoli e basati su una lettura meramente formale della L. 89 del 2001, in quanto invero l'equa riparazione dovrebbe ricomprendere ad es. le richieste di rimborso di somme, rifluenti nell'area delle obbligazioni privatistiche, o anche le pretese tributarie dell'amministrazione qualora connesse a sanzioni, essendo queste suscettibili di rientrare nella seconda parte del paragrafo 1 dell'art. 6 della Convenzione stessa (Cfr. Cass. Civ., sez. VI, sentenza n. 16212 del 24.09.2012).

Superfluo aggiungere come la scelta di escludere il giudizio tributario ci appaia, di per sé, poco ragionevole ed in contrasto con i principi di rango costituzionale a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Sul punto si confida in un cambiamento di rotta degli Ermellini affinché venga riconosciuto l'equo indennizzo anche ai cittadini incastrati per decenni nelle tenaglie del contenzioso tributario. Del resto, sono numerosi i casi di soggetti interessati da giudizi tributari durati per oltre trenta (30) anni e che, per via di tale orientamento della Suprema Corte, potrebbero non essere indennizzati.

Essendoci sempre il rischio di una pronuncia di inammissibilità e di una condanna alle spese per mancato rispetto dei dettami della riforma, si consiglia, sempre, al cittadino di rivolgersi ad un professionista valido per ottenere, come nei casi in esame, il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla legge Pinto.




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